Occhio ai biocarburanti: sono peggio della benzina e distruggono le foreste vergini

Abbiamo tolto l’olio di palma dai biscotti e l’abbiamo messo nei serbatoi: ma se pensate sia una scelta verde, vi sbagliate di grosso: l’Impronta ecologica è peggio di quella del petrolio. E il disboscamento mette a rischio specie come l’orango. Ecco perché l’Europa deve svegliarsi

In 2 mesi, dallo scorso dicembre una petizione promossa da decine di associazioni ambientaliste in tutta Europa ha raccolto l’adesione di 625.000 cittadini alla richiesta che la Commissione mettesse finalmente fine ai sussidi alle false rinnovabili nei biocarburanti. Simbolo della protesta l’orango, primate a rischio estinzione che vive nelle foreste del Borneo, sacrificate alle coltivazioni intensive di palme da olio. Una battaglia annosa quella contro l’uso di olii alimentari, come quelli da soia e palma, nei combustibili e nel biodiesel, ma che finalmente usciva dai tavoli negoziali tecnico-politici e coinvolgere l’opinione pubblica. Già nel giugno 2018 il Parlamento europeo ha votato una risoluzione in cui delegava la Commissione, entro febbraio di quest’anno, la presentazione Atto per mettere al più presto fine al loro uso, cresciuto negli ultimi anni in Europa al punto di scalzare, per l’olio di palma, il primato nell’uso agro-alimentare.

Anche in Italia sono le compagnie petrolifere il primo importatore (450 mila tonnellate nel 2017, dati GSE) di olio di palma destinato alla produzione di biocarburanti, l’ENI che ne tratta più della metà nelle bioraffinerie di Porto Marghera e di Gela. Siamo un paese “radical-chic” che ha cacciato con furore l’olio di palma dai biscotti e dalle merendine, per metterne dieci volte di più nei serbatoi dei SUV. Nel disinteresse del consumatore finale che, nell’82% dei casi ne ignorava la presenza nel gasolio e, una volta appreso, soprattutto in Italia, si dichiarava contrario in tre casi su quattro (sondaggio Ipsos, settembre scorso).

E così l’8 febbraio, un venerdì notte, la Commissione Europea rende pubblica la proposta di Atto delegato: si condannano i biocarburanti a rischio ILUC (indirect land use change, sostituzione di ecosistemi ad elevata biodiversità), si riconoscono gli studi internazionali che stabiliscono che il 30% delle nuove coltivazioni di palma e l’8% di quelle di soia hanno comportato distruzione di foreste vergini, di brughiere e di praterie. Si stima che un litro di olio di palma determini emissioni indirette di CO2 pari al triplo dell’equivalente di petrolio e un litro di olio di soia il doppio. Ma poi si stabiliscono eccezioni e condizioni tali … da non cambiar nulla. Le importazioni di olio di palma dai grandi mulini dell’Indonesia e dalla Malesia non cambieranno e ci si limiterà a produrre scartoffie e certificati per attestarne la provenienza da “piccole” aziende (5 ettari), da terre a lungo parzialmente incolte (nel Borneo!) con danni modesti alla foresta. Si salva anche la soia, perché sotto la soglia del 10% di deforestazione. Secondo noi la deforestazione deve fermarsi, non progredire un po’ più lentamente!

Siamo un paese “radical-chic” che ha cacciato con furore l’olio di palma dai biscotti e dalle merendine, per metterne dieci volte di più nei serbatoi dei SUV

Per questa ragione la Commissione deve cambiare la propria proposta di Atto Delegato: in 3 giorni, trentamila hanno già firmato la proposta di abolire ogni eccezione e continueremo sino all’8 marzo, quando la Commissione dovrà elaborare la proposta definitiva al Parlamento. Già la Commissione Ambiente del Parlamento Europeo se è espressa in tal senso.

La pressione non deve fermarsi, perché le lobby contrarie sono fortissime: manifestazioni di agricoltori a Jakarta, delegazioni dei governi Indonesiani a Bruxelles. Ne hanno parlato anche Trump e Juncker nella trattativa sui dazi. Trump avrebbe provvisoriamente accettato di non tassare le auto europee importate in cambio di nuove aperture comunitarie all’importazione di soia (transgenica) destinata non solo agli allevamenti di maiali tedeschi e polacchi, ma anche al biodiesel. È del 28 febbraio la notizia (Reuters) che il Consiglio dei Paesi produttori di olio di palma (CPOPC), guidato da Indonesia e Malesia, prevede di inviare una missione ministeriale nell’Unione europea per contestare la proposta di direttiva sull’energia rinnovabile (RED II) volta a limitare l’uso di colture ritenute responsabili della deforestazione, anche assoldando autorevoli studi legali europei. La crisi climatica rende, nel bene e nel male, le politiche sempre più interconnesse: impossibile parlare di trasporti senza toccare le politiche agricole, separare gli obiettivi sull’energia e le rinnovabili dagli stili di vita e di mobilità nelle città del mondo.

* vicedirettore generale di Legambiente