Nuovi inizi (forse)La vera rivoluzione per la sinistra italiana? Smettere di sentirsi superiore agli altri

Per la sinistra, tra l'elezione di Zingaretti, il cambio della guardia in Cgil e il nuovo corso di Repubblica, può essere finalmente l'alba di un nuovo giorno. A patto che il Pd la smetta di proclamarsi bello, buono e bravo a dispetto di tutti. Se davvero è diverso, inizi a dimostrarlo

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Nel suo debutto da segretario a Torino Nicola Zingaretti si è occupato di economia, sviluppo, lavoro, scegliendo la questione Tav come dato simbolico del declino del Paese e dell’insufficienza del governo. Poche ore prima aveva dedicato la sua vittoria ai poveri, ai giovani disoccupati e, personalmente, a Greta Thunberg, la sedicenne svedese diventata icona dei movimenti ambientalisti che il 15 marzo daranno vita (anche in Italia) alla Marcia per il clima. Insomma, al momento Zingaretti si è tenuto lontano dal tipo di narrazione che da anni caratterizza il messaggio della cultura progressista, ben rappresentato anche nella recente manifestazione antirazzista di Milano: l’idea di proporsi al Paese innanzitutto come i titolari di una acclarata superiorità etica e morale, i buoni per definizione, l’unica trincea contro la barbarie razzista, illiberale e autoritaria alle porte.

Ci sono caduti tutti i leader del Pd, recitando uno dopo l’altro la parte dei Migliori prima contro il berlusconismo, poi contro l’arrembante Movimento Cinque Stelle e infine, ai giorni nostri, contro la Lega. Migliori non per proposte, soluzioni, classe dirigente, ma per una sorta di investitura divina sul terreno della democrazia: migliori in quando democratici “doc”, mentre gli altri erano tutt’al più neofiti della Costituzione e, nel caso peggiore, sabotatori e nemici occulti della medesima. Golpisti in pectore, insomma, tanto che l’espressione più gettonata dell’ultimo mezzo secolo a sinistra è stata senz’altro «rischio democratico», applicata un po’ a tutto: dalle polemiche sulle leggi del Cavaliere alla manifestazione dell’ottobre scorso contro la manovra del governo gialloverde, bollata come «deriva venezuelana» da Matteo Renzi e altri big.

Ogni volta che un leader progressista sfila in corteo dicendo «Qui c’è l’Italia migliore» esprime un giudizio di valore che irrita i milioni di italiani che a quella sfilata non ci sono, perché non la condividono o perché hanno di meglio da fare. Ogni volta che un volto noto della sinistra dice «Siamo noi i veri democratici» compie un atto di disprezzo contro chi ha votato per altri, quasi che i non-elettori Pd giochino in un girone minore, nella Serie B delle competizioni politiche

Ogni volta che un leader progressista sfila in corteo dicendo «Qui c’è l’Italia migliore» esprime un giudizio di valore che irrita i milioni di italiani che a quella sfilata non ci sono, perché non la condividono o perché hanno di meglio da fare. Ogni volta che un volto noto della sinistra dice «Siamo noi i veri democratici» compie un atto di disprezzo contro chi ha votato per altri, quasi che i non-elettori Pd giochino in un girone minore, nella Serie B delle competizioni politiche. Magari funzionava ai tempi dei partiti-chiesa, con gli italiani pressoché immobili delle rispettive casematte. Ma oggi, nell’era del consenso liquido e pronto a trasformarsi, a cambiare spiaggia, la Sindrome del Migliore è un handicap non da poco. Nessuno vuol mettersi al banco col più spocchioso della classe.

Peraltro il Pd non è stato il solo a coltivare questa insensata ostentazione di superiorità. I Cinque Stelle ancora giocano al Partito dei Più Onesti, quasi che tutti gli altri siano per definizione imbroglioni e ladri. La Lega si ammanta delle parole popolo e nazione come se fossero roba sua, come se non fossero popolo i circa 27 milioni di italiani che hanno votato per altri e come se questi altri volessero abolire l’Italia anziché governarla diversamente. L’iperbole è la categoria retorica del momento – abolita la povertà! Pacchia finita! Noi i veri democratici! Razzisti! Élite parassitarie! – in una dinamica che ricorda più il dibattito tra sette religiose intorno all’anno Mille che le dinamiche politiche di un Paese normale.

Prima o poi gli italiani si stuferanno, come sempre succede quando si esagera. Sottrarsi per tempo a tutto questo sarebbe una buona idea. La sinistra ne ha l’occasione non solo per l’elezione con larghissima maggioranza di un leader noto per il suo pragmatismo, ma anche per una sorta di fortunato “allineamento dei pianeti” che vede, in contemporanea, il cambio della guardia in Cgil e il nuovo corso di Repubblica, giornale che è stato assai influente nel determinare il sentiment delle classi dirigenti del Pd e del loro elettorato. Se davvero esiste, l’antica “diversità” decantata da Enrico Berliguer oggi dovrebbe esprimersi in questo: nuotare controcorrente nel mare magnum dell’arroganza autoreferenziale.

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