Sembra l’occhio di Sauron, la pupilla che ti fissa dal fitto del cosmo, ti risucchia, con inesplicabile seduzione. Per alcuni è un anello che sta realizzando la sua forma, incandescente, ad altri pare la carezza di un angelo, l’ultimo amen prima dell’incomprensibile, la traccia dell’innocente sull’oscuro che smargina.
L’uomo, intendo, è impastato di linguaggio: le cose non esistono nella loro definizione ‘scientifica’, ma per la natura linguistica che le anima. Per questo, mi sembra irritante dare al buco nero appena fotografato – impressionante: fotografare il cuore di tenebra, fermare l’assedio dell’oscurità – e alla galassia che lo ammanta la didascalia M87. Facciamo una gara lirica a chi assegna, a questo occhio indimenticabile, il nome più bello.
Quando ero piccolo avevo un libro di mitologia greca e uno sul cosmo. Mi sembravano la stessa cosa. Il mito non serve a spiegare l’ignoto, il cosmo. Al contrario, serve a tracciarlo nella nostra mente, che è linguistica, e nella nostra carne, che è affettiva. L’uomo ragiona ancora per ‘storie’, non per incestuose cronache di logaritmi.
L’Event Horizon Telescope ha fotografato per la prima volta un buco nero: l’intuizione astratta di un uomo trova conferma nella natura del cosmo. Che raffinatezza. Il buco nero M87 si trova nel cuore dell’Ammasso della Vergine, che è costituito da 87 galassie visibili, molte delle quali si chiamano Leda, altre Virgo, ovviamente, con un numero identificativo al fianco. Tra poco chiamo Ian Solo e mi getto nell’improbabile.
Da bravo cristo, fiero della propria ignoranza, sfoglio il The Astrophisical Journal Letters, dove un articolo dettagliato, First M87 Event Horizon Telescope Results. I. The Shadow of Supermassive Black Hole. Intorno a questa idea dell’ombra del buco nero sarei pronto a scrivere un poema. Ci capisco poco, va da sé. Questo è l’esordio introduttivo: “I buchi neri sono una predizione fondamentale della teoria della relatività generale (Einstein 1915). Una definizione caratteristica dei buchi neri è il loro ‘orizzonte degli eventi’, un confine casuale nello spaziotempo da cui nessuna luce può sfuggire (Schwarzschild 1916)”.