L’intervistaDavid Parenzo: “Di Maio e Salvini? Due falsari che raccontano balle sull’Europa”

Il conduttore de La Zanzara su Radio 24, autore de "I Falsari" (Marsilio Editore), "Siamo passati da Churchill a Salvini. I leader politici di oggi fuggono dalle responsabilità e danno la colpa sempre a Bruxelles. Fanno i selfie invece di fare scelte giuste ma impopolari"

Foto tratta dalla pagina Facebook di Matteo Salvini

David Parenzo è l’uomo più insultato in Italia. Da nove anni conduce la Zanzara, il programma radiofonico più famoso d’Italia, con Giuseppe Cruciani e ancora non ha perso la voglia di rispondere colpo su colpo a chi lo chiama in trasmissione solo per offenderlo. Parenzo è abituato a replicare ironicamente agli ascoltatori che lo definiscono «euroinomane» o «ebreo», come se fossero insulti, con una dedizione encomiabile. La stessa tecnica che ha usato per scrivere il suo nuovo libro “I falsari” (Marsilio editore) in cui smonta una per una tutte le bufale che girano sull’Unione europea. Dall’invasione dell’olio tunisino nelle tavole degli italiani ai supposti sprechi del Parlamento europeo fino all’alcolismo del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Bugie e mezze verità propagate da quelli che lui chiama i “falsari”: politici di destra e sinistra che nascondono i propri fallimenti dando la colpa di tutto all’Unione europea, il nemico perfetto perché percepito dagli italiani come un organismo lontano e anonimo. La sua non è una difesa da tifoso ma un ritratto lucido, e a tratti ironico, di cos’è, cosa fa, e soprattutto cosa non fa l’Unione europea. Una fotografia per informare al meglio chi andrà a votare alle elezioni europee del 26 maggio.

Ecco Parenzo, partiamo dai fondamentali. Chi sono i falsari?
I falsari sono quelli che in questi anni hanno raccontato bugie o verità di comodo sulle questioni europee, titillando l’elettorato di destra e di sinistra. Sono i migliori figli della propaganda. La usano benissimo per il loro tornaconto politico e personale.

Facciamo dei nomi.
Giorgia Meloni, Matteo Salvini ma anche Matteo Renzi, che in passato da premier usò spesso l’Europa come spauracchio per coprire ciò che il governo non voleva fare. Si nascondeva dietro il supposto “rigore” europeo per non realizzare le riforme strutturali che servivano e servono al Paese. Per non parlare del Movimento 5 Stelle. Fu comico il viaggio fatto da Di Maio e Di Battista in un’utilitaria verso Strasburgo in cui dissero che il Parlamento europeo ci costa 2 miliardi di euro.

Non è vero?
Sì, ma come tutte le mezze verità queste cifre devono essere inquadrate nel contesto giusto. Non ha senso sparare un numero a caso senza confrontarlo con tutto il resto. Il Parlamento europeo ci costa due miliardi ma ha 751 deputati e rappresenta oltre 500 milioni di persone. Quanto fa a testa? Vogliamo paragonarlo a quanto costa il nostro Parlamento e gli oltre 900 deputati e senatori a ogni cittadino italiano?

Però i funzionari europei sono tanti.
Sono 55 mila. Sembra un numero molto alto ma è la stessa cifra dei burocrati impiegati a Parigi che ha solo 2 milioni di abitani e non 500 milioni. E cosa dovremmo dire della Lettonia che ha 184mila funzionari per 2,2 milioni di cittadini? Poi è vero, non è tutto giustificato. Per esempio l’indennizzo di fine mandato che prendono i commissari europei è sicuramente troppo alto e da rivedere.

Nel libro citi un’altra bufala, quella sul presidente della Commissione europea Juncker, definito un ubriacone da molti politici italiani.
È la falsità più fastidiosa perché è un modo per denigrare l’avversario tipico della propaganda degli anni Trenta. Un modo per rendere l’interlocutore non soltanto un nemico da abbattere ma descriverlo come inaffidabile. L’andatura barcollante di Juncker è dovuta a un incidente stradale del 1989 dopo cui rimase in coma due settimane e da cui non si è più ripreso completamente. Ma la sua lucidità non è in discussione, ed è stata provata in diverse occasioni. Lo considero un ottimo presidente al netto di alcuni errori politici fatti in questi anni.

Lo stesso Juncker ha ammesso che c’è stata una mancanza di solidarietà nella gestione della crisi greca.
Sì e lo stesso ha fatto il Fondo monetario internazionale. Ma qui bisogna chiarire un punto: secondo voi l’Europa chiede rigore per capriccio? Lo fa davvero per dare una mano alle banche d’affari come Goldman Sachs o addirittura Soros? Non scherziamo. C’è un motivo se al netto degli errori della troika il compagno Tzipras ha deciso di rimanere nell’Unione europea nonostante i cittadini greci avessero votato a maggioranza in un referendum in cui si chiedeva l’uscita. E non è stato solo perché hanno bloccato i conti correnti di quattro bancomat per una notte. Lo stesso motivo per cui la scelta di rimanere è stata appoggiata dalla classe dirigente greca che ha rifiutato i rubli dei russi pronti a finanziare il Paese.

Qual è la ragione?
Perché si sono resi conto che rimanere all’interno del meccanismo, della storia e della tradizione europea, in un’Unione come questa è l’unica via possibile. Nel libro cito la teoria di Sabino Cassese che parla di “horizontal accountability” per dire che i governi non devono rispondere solo ai propri elettorati, ma anche, orizzontalmente ad altri governi e ad altri popoli. Gli Stati non sono interamente sovrani e non lo sono perché le economie sono interconnesse e l’Europa è l’unica in grado di creare una strategia comune. In pochi ricordano che un altro Paese Ue considerato tra i Pigs, il Portogallo, si è ripreso in poco tempo dalla crisi economica coniugando le ricette di Bruxelles con quelle del governo nazionale. La realtà è che Bruxelles è il capro espiatorio perfetto.

Dobbiamo cominciare a considerare l’Europa politica interna, non più politica estera. Quando si parla di Esteri si deve intendere ciò che succede negli Stati Uniti, in Cina o in India. Anche i giornali devono fare un salto di qualità coinvolgendo i lettori italiani in quello che succede in Francia, Germania e Spagna.

Nel 2010 tu hai scritto il libro “L’Europa si è rotta”, qualcosa non ha sempre funzionato a Bruxelles.
L’Europa si era rotta all’epoca e in realtà rischia di rompersi adesso, ma non lo farà. Perché il ruolo degli Stati nazione è sempre stato determinante rispetto alla Commissione europea. Il problema è l’Unione intergovernativa. Sono i singoli Stati ad aver bloccato o non approvato i regolamenti e le direttive, stoppando più volte il processo di integrazione. Bisogna superare l’egoismo nazionale e dare più potere al Parlamento europeo e alla Commissione. Oggi l’Europa è sotto scacco del Consiglio europeo, l’organo che riunisce i 28 leader Ue e definisce l’agenda politica dell’Unione. Lì, gli Stati nazione bloccano le cose che Bruxelles ci chiede di fare. Il solo sovranismo che oggi vale la pena rivendicare è quello europeo.

Europa first?
Sì. Dobbiamo cominciare a considerare l’Europa politica interna, non più politica estera. Quando si parla di Esteri si deve intendere ciò che succede negli Stati Uniti, in Cina o in India. Anche i giornali devono fare un salto di qualità coinvolgendo i lettori italiani in quello che succede in Francia, Germania e Spagna. Ma nei fatti è già così. Pensate a Di Maio che va a incontrare i leader dei gilet gialli. Lo fa perché li riconosce simili alla sua storia. In questa prospettiva Lampedusa non è più confine d’Italia, ma d’Europa e come tale va trattato. E sul tema immigrazione l’egoismo di Macron c’è stato, ma non è l’egoismo dell’Europa, bensì di uno Stato nazione. Il nazionalismo non è un problema che riguarda soltanto l’Italia. E i leader di oggi non sono all’altezza per capirlo. Siamo passati da Churchill a Salvini.

Churchill all’epoca non doveva partecipare ai talk show.
Non sono uno storico, non so se all’epoca dovesse confrontarsi con i terrapiattisi o Toninelli, un ministro che non sa che il tunnel del Brennero ancora non esiste. So che quella classe dirigente era formata da leader in grado di comandare e prendere decisioni impopolari. I politici che hanno guidato l’Europa dal secondo dopoguerra alla ricostruzione erano in grado di dirigere e fare scelte difficili e hanno reso l’Italia una potenza nel mondo. E questo vuol dire far digerire ai propri elettori delle scelte difficili. Nell’ora più buia Churchill disse “io non vi prometto niente se non sangue e sudore”, non titillava il proprio popolo sempre e comunque senza mai assumersi delle responsabilità. I politici di oggi fuggono dalle scelte impopolari e si fanno fotografare mentre mangiano la pizza, mentre imbracciano un fucile o si mettono una felpa in base al luogo dove si trovano. Per dire Di Maio, un altro falsario vero, ha gestito malissimo la ricostruzione del Ponte Morandi a Genova. Prima ha insultato Atlantia, la società di Autostrade per l’Italia per la caduta del ponte e poi li ha inseguiti perché gli serviva un partner per salvare l’Alitalia. Questi non sono classe dirigente, sono follower, non hanno pensieri ma cinguettii.

Eppure la gente li vota. E nei talk show vanno forte gli euroscettici come l’economista Antonio Rinaldi, candidato ora con la Lega, o Francesca Donato che propone l’uscita dall’Euro. Anche loro sono dei falsari?
Sono dei furbacchioni. Rinaldi è establishment puro. È stato uno dei massimi dirigenti dell’Eni e solo da poco ha scoperto gli errori dell’Europa sull’austerità. Così come il professor Savona è pura elites. Siede in più consigli di amministrazione di qualunque altra persona al mondo, è stato tra i fondatori della Luiss, direttore generale di Confindustria e ministro nel governo Ciampi. La gente ha la memoria cortissima. Doveva essere l’uomo del governo del cambiamento per rinnovare l’Europa ma da ministro degli Affari europei è andato una volta sola a Strasburgo, per presentare il suo progetto di riforma, chiamata “politeia”. Poi non si è visto più, ed è stato mandato alla Consob. Si proclamano governo del cambiamento e l’interim per gli Affari europei ce l’ha ancora Conte. Un’altra truffa. La verità è che siamo come nella caverna di Platone e guardiamo le ombre proiettate sul muro della caverna. Solo che non sono ombre ma fake news.

Chi può aiutarci a uscire dalla caverna?
Gli intellettuali. La chiamano élite in modo dispregiativo per me bisogna ascoltare chi ha l’expertise. La velocità della luce non si decide con un sondaggio sulla piattaforma Rousseau, sono gli scienziati a dircelo. Oppure E=mc al quadrato non è sindacabile. Non può mai essere E=mc al cubo, non si può decidere con un clic. Il ruolo dei tanto disprezzati intellettuali è quello di aiutare anche i giornalisti a decodificare e a capire la realtà che ci circonda. Ci siamo ormai dentro tutti in questa bolla dei social network. Non è un caso che i grandi manager della Silicon Valley impongano ai loro figli un uso dei social limitatissimo. Ci sarà un motivo. Forse disintossicarsi è il modo migliore per non credere alla bufala più grande di tutti.

Quale?
Che l’Europa è dalla parte dei poteri forti.

Non è così?
Basta vedere cosa ha fatto il Parlamento europeo dopo lo scandalo di Cambridge Analytica approvando il regolamento generale sulla protezione dei dati personali, il gdpr, che ora gli Stati Uniti ci copiano per limitare il potere dei giganti della Rete. Ma basterebbe anche vedere il lavoro fatto contro la posizione dominante di Google nel mercato dalla commissaria europea alla concorrenza Marghrete Vestager che l’ha multato più volte. Sul tema della tutela del consumatore si è fatto moltissimo. Fatelo notare a chi dice che l’Ue è al servizio delle multinazionali e dei poteri forti. I colossi del web non lo sono? L’Italia ha molto da imparare dall’Europa, soprattutto in materia di lobbyng.

L’Europa non ha eliminato le lobby.
Ma l’ha regolamentate. In Italia ci sono 48 progetti di legge che giacciono ancora in Parlamento sul tema e aspettano di essere votati. La colpa è di Bruxelles o della classe dirigente italiana che ha paura a toccare qualche potere forte? Nei giorni in cui si parla della lobby dell’eolico che attraverso il sottosegretario Siri avrebbe influenzato l’azione di governo, potremmo prendere esempio da Bruxelles. Ma fa troppo comodo avere un capro espiatorio.

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