Il tema dell’ecosostenibilità è estremamente complesso: riguarda molti aspetti della vita economica di ogni paese, a partire dalle scelte individuali nei consumi, politiche pubbliche, investimenti privati e mercato del lavoro. Proprio quest’ultimo nodo viene spesso agitato dai detrattori della sostenibilità per allarmare il grande pubblico sul rischio di una lenta e inevitabile diminuzione dei posti di lavoro a causa dell’avvento di un’economia ecosostenibile. L’equazione è semplice e intuitiva: più sostenibilità uguale meno lavoro. Con l’ausilio di formule efficaci come questa, si invoca il sostegno popolare per mantenere lo status quo – si veda la posizione dura del presidente Usa Donald Trump sulla decarbonizzazione dell’economia americana e il suo straordinario seguito in termini elettorali.
La verità però non sempre si presta a tali semplificazioni. I dati a disposizione sull’economia verde – italiana in questo frangente – raccontano tutta un’altra storia. Si stima che in Italia, fra il 2019 e il 2023, il fabbisogno complessivo di nuova occupazione possa raggiungere i 2 milioni e 542mila unità, con un tasso medio annuo di crescita pari al 2,21%. Il recente Focus Censis – Confcoperative “Smart &Green, l’economia che genera futuro” indica che l’occupazione in ambito ecosostenibile potrebbe coprire una quota pari al 18,9% sul totale del fabbisogno generato fino al 2023. Sarebbero 481mila unità quelle messe in campo dalle aziende ecosostenibili, circa mezzo milione di posti di lavoro; 100mila unità all’anno. Da oggi al 2023, insomma, ogni cinque nuovi posti di lavoro creati in Italia uno verrà creato da aziende ecosostenibili. Per capire l’eloquenza di questi numeri facciamo qualche confronto. Il comparto del digitale, altro grande trend innovativo di questi anni, svilupperebbe un fabbisogno complessivo di meno della metà del personale, 214mila occupanti. Invece la filiera relativa alla salute e il benessere, mercato in espansione specialmente in Italia, produrrebbe 324mila posti di lavoro nei prossimi quattro anni, 64mila unità annue.
Questi dati si legano a quelli di un’economia verde in grande espansione. Ci riferiamo qui al settore dedicato all’offerta di beni e servizi con l’obiettivo di proteggere l’ambiente – e di limitarne uno sfruttamento non sostenibile. Questo settore nel 2017 ha generato in Italia un valore della produzione per 78 miliardi di euro. Nello stesso anno l’occupazione nelle industrie ecosostenibili ha raggiunto le 388mila unità. Il valore aggiunto ha subito un incremento in termini assoluti di oltre 3 miliardi rispetto al 2014. In quattro anni, fra il 2014 e il 2017, è stata registrata una crescita del 4,6% delle unità di lavoro e dell’11% del valore aggiunto. Per quanto riguarda il valore della produzione, è aumentato nello stesso periodo del 3,6%.
Le aziende italiane non sono succubi di idiosincrasie provinciali; mettono invece in pratica best practices per il bene dell’impresa e dell’ambiente circostante
Ma in che ambiti si distribuiscono i dati occupazionali? Poco più della metà del personale (52,2%) lavora nella gestione delle risorse naturali e occupa oltre 202mila unità di lavoro. Il restante 47,8% occupa una posizione lavorativa all’interno di attività di protezione ambientale. Offrire posti di lavoro però non basta: se davvero l’ecosostenibilità vuole fare breccia nella nostra economia, deve presentarsi come il nuovo paradigma di tutto il sistema industriale italiano. Su questo le premesse sono buone: i dati di un’indagine realizzata da Istat nel 2017 sulle iniziative adottate dalle aziende per far fronte a esigenze di sostenibilità e responsabilità ambientale e sociale indicano che il sistema italiano è pronto per la svolta sostenibile.
Il 55,9% del campione ha ridotto l’impatto ambientale della propria attività. Più l’azienda è grande, e più è diffuso l’impegno a limitare l’inquinamento; si arriva a toccare addirittura quota 70,3% fra le imprese più sviluppate. A seguire troviamo i dati che fanno riferimento alla rilevanza sociale dell’attività aziendale, che ha riguardato il 48,8% del campione; mentre una pianificazione di lungo termine in grado di valutare in maniera corretta le ricadute dell’attività produttiva anche al di fuori del perimetro aziendale è stata messa in pratica dal 45,2% delle aziende.
Se guardiamo agli investimenti in economia circolare, ci accorgiamo che non c’è una grossa attenzione da parte delle aziende: solo il 13,4% è interessato a questo genere di investimenti. Meglio per quanto riguarda la protezione ambientale, che nel 2016 ha superato la soglia degli 1,4 miliardi, anche grazie agli investimenti in attrezzature e impianti collegati alle tecnologie pulite. Infine il cerchio si chiude con un’altra nota positiva: la spesa delle imprese per la tutela ambientale ha toccato nel 2016 i 3 miliardi e 261 milioni di euro, di cui un miliardo e 297 milioni per la gestione dei rifiuti e 811 milioni per la gestione delle acque reflue.
I dati dell’Istat e del Focus di Censis e Confcoperative parlano da soli. Smontano con rigore matematico i falsi miti di chi vuole restare aggrappato al passato. No, le aziende sostenibili non tolgono posti di lavoro, anzi ne offrono (molti) più di settori in espansione come il comparto del digitale e la filiera del benessere. No, le aziende italiane non sono succubi di idiosincrasie provinciali; mettono invece in pratica best practices per il bene dell’impresa e dell’ambiente circostante. La strada, una volta tanto, è quella giusta. La speranza, ora, è che la stella dell’ecosostenibilità possa brillare nella costellazione di valori che definiscono il made in Italy nel mondo.