Dietro lo schermoNon solo attori e registi, ecco chi sono i 173mila italiani che lavorano nel cinema

Il centro studi di Anica (Confindustria) ha presentato il primo rapporto sull’impatto occupazionale ed economico dell’industria italiana del cinema e dell’audiovisivo: 61mila i posti di lavoro diretti, 112mila quelli indiretti. Tra di loro ci sono pure ingegneri, architetti, avvocati e fiscalisti

173mila posti di lavoro, molte donne e giovani. Quasi 8.500 imprese con oltre quattro lavoratori in media. E un indotto che va dalle attività creative all’agricoltura, abbracciando pure la manifattura e l’edilizia. Il risultato è un effetto moltiplicatore che, dopo il settore delle costruzioni, è il più alto tra tutte le attività economiche in Italia. Il centro studi dell’Associazione nazionale industrie cinematografiche audiovisive e multimediali (Anica) di Confindustria ha presentato il primo rapporto sull’impatto occupazionale ed economico dell’industria italiana del cinema e dell’audiovisivo, applicando al grande e piccolo schermo quegli indicatori che lo rendono comparabile con altri settori produttivi.

Viene fuori un immagine poco conosciuta di un settore che, seppur in affanno, si inserisce all’interno di una grande filiera integrata. Dietro a una pellicola vista al cinema o a una serie sul web si muove un mondo legato non solo alla produzione, post produzione e distribuzione, ma anche imprese che operano nel manifatturiero, nei trasporti, nei servizi. «Gli italiani sono al primo posto per Oscar vinti dopo Usa, grazie a registi e attori, ma anche grazie a sceneggiatori, costumisti, truccatori, musicisti. Figure diverse che fanno tutte parte di questa grande industria», ha spiegato Francesco Rutelli, presidente di Anica.

Si scopre così che, su 61mila posti di lavoro diretti, nel mondo del cinema si contano oltre 26mila tra ingegneri, architetti, avvocati, designer, fiscalisti. A questi si aggiungono poi i posti indiretti attivati a catena negli altri comparti, che sono quali il doppio, pari a 112mila (64%). Arrivando quindi a un bacino occupazionale di 173mila persone che a vario titolo lavorano attorno a schermi, microfoni e telecamere. Incluse quelle professionalità creative e tecniche che non hanno rapporti di lavoro subordinato con le imprese dell’audiovisivo, ma che con loro lavorano come lavoratori autonomi.

Nessun dettaglio sulle tipologie contrattuali offerte ai lavoratori. Il rapporto sottolinea la presenza maggiore nel comparto di lavoratrici donne rispetto alla media nazionale (39% contro 36%) e di under 50 (77% vs 73%). Solo dietro le quinte della produzione cinematografica, un quarto degli occupati ha meno di 30 anni.

Nell’ambito più propriamente artistico gli occupati sono solo poco più di 17mila (il 15%). Il resto è tutto indotto: servizi di rete, servizi ad alto contenuto di conoscenza, manifattura, servizi operativi, pa, costruzioni, agricoltura e silvicoltura

Andando poi a fondo nella “mappa” dei posti di lavoro diretti, si scopre che nell’ambito più propriamente artistico gli occupati sono solo poco più di 17mila (il 15%): attori, registi, sceneggiatori, costumisti, musicisti che si spostano tra un’impresa e l’altra, anche al di fuori dell’Italia. Il resto è tutto indotto. Più di 37mila (oltre un terzo del totale) posti di lavoro appartengono al comparto dei servizi di rete, dal commercio alla logistica, dai servizi di spedizione a quelli finanziari. Oltre 26mila sono poi i consulenti aziendali e informatici, gli avvocati, i contabili, gli ingegneri e gli architetti che lavorano in attività connesse al cinema. Ben 10mila posti poi sono quelli “creati” dal cinema nella manifattura e oltre 9.500 nei servizi operativi, dalla vigilanza alle pulizie fino ai servizi immobiliari e di noleggio. A seguire, si contano 7mila lavoratori che svolgono attività connesse all’audiovisivo nella pubblica amministrazione, 3.488 nelle costruzioni, 1.163 nei servizi e pure 554 in agricoltura e silvicoltura. «Sono posti di lavoro generati in altri settori», ha spiegato Andrea Montanino, capo economista di Confindustria. «Mostrando un settore che a sua volta attiva e coinvolge una lunga filiera integrata».

Con un grande effetto moltiplicatore. Il calcolo di Anica è che per ogni euro di domanda aggiunta di servizi audiovisivi in Italia si attivano 1,98 euro di maggiore produzione economica, ripartita in tutti i settori dell’economia. Gli esempi degli effetti di un film o di un festival, anche sulle economie locali, non mancano, anche se spesso sono difficili da calcolare con semplici indicatori economici. «Basti pensare», spiega Montanino, «all’effetto che ha avuto The Passion sul turismo a Matera, o ancora un film come Under The Tuscan Sun su Cortona, dove le presenze dei turisti americani sono triplicate», .

«È un settore che però va protetto», ha precisato Francesco Rutelli, presidente di Anica. «L’Italia ha bisogno di avere delle regole che permettano alle industrie di crescere e avere un’occupazione creativa fertile. Dobbiamo collaborare con tutti i nuovi soggetti che si affacciano al mercato, ma servono più regole che impediscano che l’Italia venga colonizzata ed entri nelle fauci dei grandi campioni intetnazionali». Tra le major, Natflix, Amazon e ora anche Apple Tv+, l’Italia da sola conta una cifra di 890 milioni di euro di esportazioni, poche rispetto ai big mondiali, collocandosi solo al 22esimo posto per produzione audiovisiva procapite. E nella top ten mondiale del valore della produzione, complice anche la crisi, è scesa dal settimo al nono posto. «Servono maggiori investimenti, maggiore sostegno pubblico, meno lungaggini burocratiche e una lotta più forte alla pirateria», ha detto Rutelli. In sala anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ha promesso incentivi fiscali in arrivo per gli 820 milioni di investimenti pronti da parte delle imprese italiane del comparto.

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