Date un’occhiata al livello del cosiddetto dibattito, degli editoriali, dei titoli. Provate a parlarne coi colleghi di lavoro di questo martedì dopo Pasquetta. Di fronte agli attentati in Sri Lanka noialtri, la nostra pregiata pubblica opinione occidentale ha fatto e sta facendo mostra di un nulla concettuale. Un’avanguardia del non-pensiero. Lo Sri Lanka -290 morti e 500 feriti al momento in cui scriviamo, tra cui il giornalista italiano Raimondo Bultrini di Repubblica, tre chiese attaccate, quattro alberghi e un complesso residenziale- è l’emblema del Grande Boh.
Tanto per dire: su twitter, il social dei pensanti, ieri non esisteva nemmeno tra i trend topic in Italia: al primo posto #pasquetta. La correlazione tra festività e attentati c’è ma non si vede, obnubilata da piogge sparse e dalla digestione di fave e pecorino. In breve: un attentato da trecento morti, al momento, è un oggetto politico -ma innanzitutto cognitivo- inafferrabile. Lo Sri Lanka è un Grande Boh. E il sangue a pioggia sulle statue dei Santi nella cattedrale di San Sebastiano fa più che orrore imbarazzo. Lo Sri Lanka per noi, prima che mostruoso è imbarazzante. Chiediamoci perché.
La prima risposta che viene in mente, banale ma in fondo no, è che lo Sri Lanka è lontano. Regola cinica dell’informazione: l’anziano che cade dalla bicicletta in paese è notizia in paese. Trecento morti a quindicimila chilometri non lo sono altrettanto. Lontano dagli occhi lontano dal cuore non una regola amorosa, è una regola di notiziabilità.
Tanto per dire: su twitter, il social dei pensanti, ieri non esisteva nemmeno tra i trend topic in Italia: al primo posto #pasquetta. La correlazione tra festività e attentati c’è ma non si vede, obnubilata da piogge sparse e dalla digestione di fave e pecorino. In breve: un attentato da trecento morti, al momento, è un oggetto politico -ma innanzitutto cognitivo- inafferrabile
La seconda risposta è che si tratta di un massacro di cristiani e cattolici. E in questo momento il cattolicesimo non è “in”, nemmeno come vittima.
Ricordare che – statistiche alla mano – in questo momento il cattolicesimo è la religione più perseguitata al mondo, quella col più alto numero di morti all’anno è una cosa che non passa.
Davanti al rogo di Notre Dame abbiamo visto il cordoglio di molti per l’eredità culturale che andava in fumo. Ma un’eredità culturale è una stupidaggine museale se non si considera il contenuto. Il fatto che qualsiasi cosa diventi battaglia identitario/sovranista non nega i dati storico culturali: Notre Dame è cattolica. Pagata, pensata, concepita, costruita, da cattolici, per cattolici. Simbolo europeo quanto si vuole, ma simbolo cattolico (a proposito, pure l’Europa è un’invenzione cattolica, vedi Novalis).
E riguardo Notre Dame la frase rivelatrice l’ha detta Valentina Nappi, confessando da libera pensatrice neoilluminista che a lei la Cattedrale in fiamme non dispiaceva affatto. Viva Valentina che sa fare liquido di contrasto dello spirito del tempo, abbasso gli ipocriti di Notre Dame come sfondo per i selfie.
E abbasso i semplificatori malilluministi per cui il cattolicesimo è un’accolta di pedofili. Eh no. È, anche, una cultura non proprio insignificante nella storia. È una comunità a cui appartenere è, a volte, rischioso. E un’organizzazione che, per esempio, fa studiare 66 milioni di persone (dati Annuarium Statisticum Ecclesiae, 2016) pare senza stuprarle tutte. Numeri giganteschi. A confronto la somma delle organizzazioni benefiche laiche fa ridere. La realtà del cattolicesimo non sta in un “in”o “out”. E questo per l’opinione corrente è già imbarazzante.
Teniamo agli atti una serie di figuracce tutte occidentali e atlantiche che sarebbero ridicole se non avessero portato centinaia di migliaia di morti
Ultimo motivo di confusione. L’idea che qualsiasi attentato a sfondo religioso rientri nel capitolo inaugurato nel 2001, quello dello “Scontro di civiltà”. Un paradigma fallito ben oltre la prosa cazzuta di Oriana Fallaci, le acute osservazioni di Bat Ye’or, i mal d’anima di Michel Houellebecq, che rientrano nell’aspetto culturale della faccenda. Il fallimento del paradigma è tutto del fronte neocon e teocon (do you remember Donald Rumsfeld?) ed è stato molto fragoroso. E sanguinoso. L’imbroglio messianico delle operazioni “Infinite Justice” (nome di atroce umorismo, col senno di poi), che sta sgocciolando proprio in questi mesi in disimpegni imbarazzati dall’Iraq all’Afghanistan parla da solo e parla male. Teniamo agli atti una serie di figuracce tutte occidentali e atlantiche che sarebbero ridicole se non avessero portato centinaia di migliaia di morti. Insomma, il paradigma teorico non tiene, occidentalisti belli. Con il correlato che seguendo coerentemente l’idea di scontro di civiltà si potrebbe contrapporre quello che è successo in Sri Lanka con il massacro di Christchurch. Suprematisti bianchi decerebrati coi loro deliranti libercoli e le loro dirette Facebook contro assassini islamici altrettanto bestiali, appena meno trendy. L’io-non io informativo sul piatto mette questo e non altro.
In mezzo ci siamo noi, signori. La nostra opinione pubblica occidentale che non sa che dire. Che filando di pregiudizio in pregiudizio, di luogo comune in luogo comune su tutti gli elementi chiave, si è aperta da sola la porta del Grande Boh, della Grande Confusione figlia di modelli culturali farlocchi. Ignoranti siamo. E ce lo meritiamo.