Ancora tu, ma non dovevamo non vederci più? Potrebbe essere riassunta in questo celebre verso di Lucio Battisti la questione delle trivellazioni off-shore italiane. Se qualcuno aveva preso sul serio le promesse di abbandonare progressivamente le estrazioni di fonti fossili a favore delle energie rinnovabili si deve rapidamente ricredere.
Già, perché, contrariamente a quanto vuole far credere il governo, non si è affatto risolto tutto con la moratoria di 18 mesi prevista dal Decreto semplificazioni in attesa del Piano delle aree. In realtà sulle trivelle off-shore sono ancora troppe le questioni irrisolte e dopo il grave incidente di marzo alla piattaforma metanifera Barbara F., a largo di Ancona, non è più rinviabile a un loro maggiore controllo.
Tanto più considerando che già nel 2016 Greenpeace con il dossier ‘Trivelle fuori legge’ certificava impatti ambientali negativi delle piattaforme offshore. Per diverse piattaforme petrolifere e metaniere erano state riscontrate infatti forti criticità nei sedimenti e nei mitili per metalli pesanti (mercurio, cadmio, piombo, arsenico, cromo, nichel, zinco, bario), per gli idrocarburi policiclici aromatici e gli oli minerali totali.
Di solito i monitoraggi sono realizzati, con una commistione non proprio virtuosa tra controllato e controllore, da Ispra su committenza dell’azienda estrattiva (nella fattispecie Eni). Tuttavia queste analisi chimico-fisiche su campioni di acqua, sedime e mitili non vengono fatte per tutte le piattaforme offshore.
Sono circa quaranta le piattaforme metanifere/petrolifere che richiedono l’autorizzazione per lo scarico in mare e/o la reiniezione delle acque di strato e che proprio per questo sono oggetto di monitoraggio ambientale. Mentre le piattaforme offshore attive sono circa 130/140. Sono circa 90 quindi le piattaforme che non scaricano e non reiniettano per le quali non è previsto, a norma di legge vigente, alcun monitoraggio e sulle quali dal punto di vista ambientale non abbiamo alcun dato. Un vuoto informativo che preoccupa e non può essere ulteriormente tollerato.
Il governo si era vantato di aver sospeso i permessi di ricerca di idrocarburi (ma non di coltivazione ed estrazione) per 18 mesi, ma senza un provvedimento amministrativo del Ministero dello Sviluppo Economico che renda effettive le disposizioni, la sospensione annunciata non entrerebbe in vigore e le compagnie potrebbero continuare a fare ricerca
Per sapere se quando i monitoraggi ambientali evidenziano situazioni di criticità le autorizzazioni vengano, o meno, sospese o rigettate, per sollecitare un rimedio al vuoto normativo evidenziato insieme all’opportunità di promuovere un controllo ambientale preliminare sulle piattaforme ad oggi non monitorate ho presentato una interrogazione ai ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico.
Tornando poi al Decreto semplificazioni, il governo si era vantato di aver sospeso i permessi di ricerca di idrocarburi (ma non di coltivazione ed estrazione) per 18 mesi, tempo massimo previsto per l’approvazione del cosiddetto Piano delle aree. Tuttavia, come denunciato di recente dal Coordinamento nazionale No-Triv e dal costituzionalista Enzo Di Salvatore, senza un provvedimento amministrativo del Ministero dello Sviluppo Economico che renda effettive le disposizioni, la sospensione annunciata non entrerebbe in vigore e le compagnie potrebbero continuare a fare ricerca nello Ionio, sotto Santa Maria di Leuca nel Salento, nelle aree di ‘Monte Cavallo’ (tra Salerno e Potenza), ‘La Cerasa’ e ‘Pignola’ (in Basilicata), secondo le autorizzazioni rilasciate dallo stesso ministero a dicembre.
Un allarme che ho raccolto e che ho posto all’attenzione del Mise con una seconda interrogazione. Come ribadiscono i No Triv, infatti, non corrisponde alla realtà quanto sostenuto in una replica del Mise, secondo cui il Dl Semplificazioni disporrebbe direttamente e senza demandare a successivi atti amministrativi la sospensione dei procedimenti e delle concessioni in essere relativi a permessi di prospezione e ricerca di idrocarburi. Senza il provvedimento amministrativo del Mise non c’è di fatto alcuna sospensione. Altrimenti un cittadino o un’azienda che ritenesse di essere vittima di ingiustizia non avrebbe modo di ricorrere al Tar. La legge in sé infatti non è impugnabile davanti ad un tribunale amministrativo, mentre lo è un atto amministrativo che la concretizza. E sarebbe proprio per evitare i ricorsi e i potenziali risarcimenti che il Mise avrebbe evitato l’emanazione dell’atto. Il caso della Rockhopper Exploration – che nel 2016 essendo stato introdotto dalla legge di stabilità 2015 il divieto al rilascio di nuovi titoli entro le 12 miglia marine ricevette un rigetto alla sua richiesta di continuare ad estrarre petrolio dalla piattaforma Ombrina Mare e che impugnò quell’atto – insegna. Per evitare che in assenza di un apposito atto le compagnie petrolifere possano continuare ad operare indisturbate, ho quindi sollecitato Di Maio ad adottare urgentemente i provvedimenti amministrativi necessari a rendere effettiva la moratoria.
Greenpeace, Legambiente e WWF hanno fatto proposte normative per emancipare il Paese dai combustibili fossili e hanno contribuito a individuare un programma per il decommissioning per oltre 30 piattaforme offshore, ma stanno ancora aspettando le risposte di Mise e Mattm
Ma ad essere interdetti sulle reali intenzioni del governo rispetto alle trivellazioni off-shore non sono solo i No-Triv. A loro si aggiungono anche le principali associazioni ambientaliste italiane. Greenpeace, Legambiente e WWF hanno fatto proposte normative per emancipare il Paese dai combustibili fossili e hanno contribuito a individuare un programma per il decommissioning per oltre 30 piattaforme offshore, ma stanno ancora aspettando le risposte di Mise e Mattm. Le associazioni hanno da tempo chiesto, senza soddisfazione, anche segnali chiari sullo smantellamento progressivo delle piattaforme offshore situate nell’area offlimits delle 12 miglia, il superamento del titolo concessorio unico, il divieto di trivellazioni in Alto Adriatico e l’eliminazione delle franchigie grazie alle quali le aziende petrolifere sotto una soglia prestabilita di estrazione sono esentate dal pagamento delle royalties. Insomma oltre al danno c’è pure la beffa.
Ieri al Senato Greta Thunberg ha detto una cosa rivoluzionaria nella sua concretezza: “è ancora possibile affrontare la sfida climatica, che è la più semplice e insieme la più difficile da risolvere. Semplice perché sappiamo cosa dobbiamo fare per vincerla, ossia tagliare le emissioni, difficile perchè proprio sulle fonti fossili che generano le emissioni climalteranti è fondato l’attuale modello di sviluppo”. Ecco proprio qui sta il problema, non si cambia il sistema senza rinunciare alle fonti fossili, non si difende il clima senza coraggio e concretezza.