Hanno già liberato le scrivanie, svuotato quasi tutti gli scaffali e fatto le ultime riunioni con i colleghi. Dal 1 giugno, poi, Anita e Serena (nomi di fantasia), 36 e 37 anni, non lavoreranno più negli uffici del Ministero del Lavoro. Per via del decreto dignità, quello voluto dallo stesso ministro del Lavoro Luigi Di Maio, i loro contratti a termine non sono più rinnovabili. Tetto massimo di proroghe raggiunto, e nessuna stabilizzazione prevista. Risultato: «Dopo cinque anni restiamo a casa: disoccupate», dicono.
Anita e Serena sono tra i 13 precari di Anpal servizi, la società in house dell’Agenzia nazionale delle politiche attive del ministero del Lavoro, che “scadono” il 31 maggio. In due sono già rimasti a casa a febbraio. E lo stesso destino, mese dopo mese, da qui a settembre 2020, toccherà ai loro oltre 650 colleghi con contratti a tempo determinato e cococo. Chi impiegato direttamente nell’Anpal guidata dall’italo-americano Mimmo Parisi, chi nei centri per l’impiego. E chi, come loro, distaccate nello stesso Ministero del Lavoro per occuparsi di politiche attive e piattaforme digitali. Proprio quelle su cui ora il governo punta per trovare un lavoro ai percettori del reddito di cittadinanza.
Lo scorso 23 maggio, i precari di Anpal hanno scioperato sotto la sede di Anpal servizi per la quinta volta negli ultimi mesi, chiedendo la stabilizzazione, ma Parisi non ha voluto neanche incontrarli. «Abbiamo scritto la prima lettera ufficiale a Di Maio nel luglio 2018, quando il decreto dignità è stato approvato, per segnalare la nostra situazione», raccontano Anita e Serena. «Probabilmente siamo stati ingenui. Il ministro ripeteva di voler abolire il precariato, proprio a partire dalla pubblica amministrazione, diceva che avrebbe puntato sulle politiche attive. “Siamo i tuoi uomini”, pensavamo. “Ci stabilizzerà”. E invece, dopo svariate lettere, non abbiamo mai ricevuto risposta. E ora siamo qui a raccogliere le nostre cose dalla scrivania del ministero, lasciate a casa senza neanche una comunicazione». «Vorrei solo che qualcuno dicesse: “Non ci servite più”», dice Anita.
Il ministro ripeteva di voler abolire il precariato, proprio a partire dalla pubblica amministrazione, diceva che avrebbe puntato sulle politiche attive. “Siamo i tuoi uomini”, pensavamo. “Ci stabilizzerà”. E ora siamo qui a raccogliere le nostre cose dalla scrivania del ministero, lasciate a casa senza neanche una comunicazione
Entro luglio 2020, circa 30 lavoratori di Anpal distaccati negli uffici del ministero guidato da Di Maio spariranno. «Come faremo?», si domandano i funzionari. E pure per gli ultimi arrivati, l’ufficio del personale ha già fatto sapere che non è previsto alcun rinnovo. Il decreto dignità, dopo 12 mesi, prevede l’obbligo della causale, che in questo caso non potrà essere avanzata. Quindi, anche loro, saranno fuori.
Un cortocircuito tra le politiche annunciate e la realtà del lavoro, nella quale lo stesso ministro finisce per non applicare le regole che lui stesso ha voluto. E gli ultimi numeri diffusi dall’Inps sul mercato del lavoro confermano gli effetti collaterali dei nuovi vincoli normativi del decreto dignità: nei primi tre mesi dell’anno il saldo dei nuovi rapporti temporanei si è fermato a poco più di 5mila unità, quando nello stesso periodo del 2018 andava oltre i 141mila. Mentre le trasformazioni a tempo indeterminato, in compenso, nei tre mesi sono circa 60mila in più dell’anno scorso. Aumentano i contratti stabili, insomma, ma non il lavoro.
«Il paradosso è che veniamo lasciate a casa non per un problema oggettivo, non per mancanza di attività o di fondi, ma per i paletti giuridici che loro stessi hanno creato», raccontano Anita e Serena. «Almeno prima con il Jobs Act, tramite i sindacati, si era sempre riusciti a trovare delle deroghe. Ora sono loro stessi che hanno complicato le cose, non ci stabilizzano e ci lasciano a casa. È assurdo».
Il paradosso è che veniamo lasciate a casa non per un problema oggettivo, non per mancanza di attività o di fondi, ma per i paletti giuridici che loro stessi hanno creato
Per entrare in Anpal, Anita e Serena – una laurea, un master e un dottorato a testa – hanno superato un concorso pubblico, con scritto e orale, per occuparsi di un progetto destinato alle politiche attive per le fasce deboli. «C’è stato un investimento di soldi pubblici su di noi. Abbiamo lavorato in questi cinque anni su un progetto che prevede un tot di personale, sviluppando competenze specifiche», spiegano. «Ora per le nostre mansioni resterà un buco. Forse utilizzeranno i navigator precari per rimpiazzarci?».
Due anni fa, i sindacati avevano raggiunto un accordo con Anpal servizi, avviando la stabilizzazione dei precari. I primi 50 contratti sono stati trasformati da temporanei a tempo indeterminato. Poi, con l’arrivo del governo Conte, l’iter si è bloccato. Unica novità: 1 milione di euro stanziato nella manovra. Che, ha fatto sapere Anpal, servirà a stabilizzare solo 20 dei 654 precari a fronte di un concorso di cui ancora, però, non si sa nulla. I sindacati hanno presentato un piano di stabilizzazione per tutti i lavoratori utilizzando anche altre risorse, ma da Anpal non hanno avuto risposta. «Come pensano di poter applicare il famoso software del Mississippi, se non riescono nemmeno a risolvere questa cosa?», si chiedono.
Intanto già da dieci giorni, ogni giorno, quando arrivano al ministero del Lavoro e accendono il computer, Anita e Serena ricevono lo stesso alert via email da Anpal: “La tua casella di posta scadrà il 31 maggio 2019”. Niente più indirizzo email, niente più lavoro. «Siamo già state al Caf per avviare la richiesta del sussidio di disoccupazione. Ora lo Stato ci manterrà», dicono. Mentre già nei primi tre mesi dell’anno, le domande di disoccupazione in Italia hanno superato quota 418mila, oltre 100mila al mese. Da tempo non se ne vedevano così tante.