Il decreto cosiddetto sicurezza (d.l. n. 113/2018, convertito in l. n. 132/2018), continua a essere oggetto di controversie. Dopo i dubbi sulla legittimità di alcune disposizioni e le polemiche sui numeri dei migranti irregolari, un’ordinanza della Corte di Cassazione (n. 11749 del 3 maggio scorso) si esprime in senso opposto a una precedente sentenza della Corte stessa (n. 4890 del 23 gennaio 2019) circa la retroattività del decreto per le richieste di protezione umanitaria. Infatti, mentre la prima pronuncia reputava che il provvedimento non si applicasse alle domande di permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima della sua entrata in vigore (5 ottobre 2018), con la recente ordinanza i giudici sostengono il contrario, e cioè che le nuove disposizioni siano applicabili a tutte le istanze, anche a quelle pendenti alla data di emanazione del decreto. Sulla divergenza di orientamenti dovrà pronunciarsi la Cassazione a Sezioni Unite, ma intanto può essere utile una spiegazione sulla portata di tale divergenza.
Prima del decreto sicurezza, il d.lgs n. 286/1998 (T.U. immigrazione) prevedeva che il permesso per protezione umanitaria potesse essere concesso in presenza di «seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali»: dunque, non erano sanciti casi predefiniti, ma nella norma poteva rientrare una vasta gamma di situazioni di vulnerabilità del migrante.
Con il decreto sicurezza, la protezione umanitaria è stata eliminata e sostituita da particolari permessi di soggiorno temporanei per “casi speciali”, tassativi ed espressamente tipizzati (condizioni di salute di eccezionale gravità, calamitànaturali, violenza domestica, sfruttamento lavorativo ecc.). Il fine della modifica legislativa è stato formalmente quello di evitare la «proliferazione di istanze (…) con intasamento dell’ordinaria attività delle Commissioni territoriali preposte all’esame delle stesse e un irragionevole prolungamento del soggiorno in Italia di persone in attesa di una definizione della propria posizione, con conseguenti oneri sul sistema di accoglienza»: nella sostanza, si è voluta restringere la portata di una tipologia di permesso che, data la sua genericità, consentiva la regolarizzazione di molti stranieri, e in misura prevalente rispetto alle altre forme di protezione (asilo politico e protezione sussidiaria).
La protezione umanitaria è stata eliminata e sostituita da particolari permessi di soggiorno temporanei per “casi speciali”
Quanto detto rende più chiara la differenza tra i due orientamenti della Cassazione: mentre il primo “salva” le domande presentate prima dell’entrata in vigore del decreto sicurezza dall’applicazione del decreto stesso che, come visto, circoscrive di molto i casi in cui può essere concesso un permesso per motivi umanitari, il secondo fa ricadere sotto il decreto anche le istanze antecedenti ad esso, sottoponendole così a un regime ben più restrittivo di quello previgente. Pertanto, almeno “teoricamente”, se prevalesse l’orientamento della sentenza di gennaio, chi avesse avanzato domanda di protezione umanitaria prima del 5 ottobre 2018 avrebbe più probabilità di vederla accolta; mentre, se prevalesse l’orientamento dell’ordinanza di maggio, gli risulterebbe più difficile rientrare in uno dei casi specifici e tassativi di cui al decreto sicurezza. Perché solo “teoricamente”? Perché da diversi mesi le decisioni delle Commissioni territoriali in merito alle protezioni umanitarie non sembrano essere influenzate dalle differenti interpretazioni della legge. Ciò emerge dai numeri dei permessi rilasciati.
Proviamo a spiegarlo: date le incertezze sulla retroattività o meno del decreto sicurezza – incertezze anche dei giudici, come visto – ci si sarebbero aspettate decisioni parimenti variegate, nell’uno o nell’altro senso, anche da parte delle Commissioni territoriali. E invece no. «A febbraio, quinto mese di applicazione del “decreto sicurezza” (oggi legge), il crollo della protezione umanitaria prosegue: dal 25% del 2017, è ormai sceso da gennaio al 2% dei casi esaminati», scrive Matteo Villa (ISPI), il quale stima, sulla base dei dati diffusi dal ministro dell’Interno in una conferenza stampa a metà aprile, che anche nel mese di marzo la percentuale del 2% resterà confermata. Cosa significa questo? Significa che, nonostante i dubbi esistenti circa la normativa – più ampia o più limitativa – le Commissioni per l’asilo hanno comunque dato una stretta sulle concessioni di protezione umanitaria richieste prima del decreto sicurezza, fino quasi ad azzerarle, così attestandosi in modo pressoché compatto sull’interpretazione più restrittiva della legge.
E non basta. Ci si sarebbe pure aspettati che, dopo la pronuncia della Cassazione del gennaio scorso, il numero dei permessi di protezione umanitaria risalisse, dato che – come sopra spiegato – quella pronuncia affermava la irretroattività del decreto sicurezza e, quindi, l’applicabilità della normativa più favorevole alle domande presentate prima dell’emanazione del decreto stesso (i decisori tendono a conformarsi alle pronunce dei giudici, anche al fine di evitare che i propri provvedimenti siano oggetto di ricorso).
la percentuale di protezioni umanitarie è rimasta uguale, cioè bassissima, come attestano i numeri dei permessi rilasciati
E invece niente. Anche dopo la sentenza di gennaio, la percentuale di protezioni umanitarie è rimasta uguale, cioè bassissima, come attestano i numeri dei permessi rilasciati, esposti da Matteo Villa: le Commissioni territoriali, dunque, sembrano aver ignorato l’orientamento della Cassazione. Cosa potrebbe significare questo dato? Potrebbe significare che la moral suasiondel ministro dell’Interno circa il giro di vite sui permessi umanitari, espressa attraverso vari canali – innanzitutto con una circolare del luglio 2018– abbia contato per le Commissioni più dell’interpretazione della legge data dai giudici nel gennaio scorso. Al riguardo, basta osservare l’andamento delle concessioni di permessi per motivi umanitari, il cui numero si ridusse già immediatamente dopo la citata circolare, cioè ancora prima del decreto sicurezza. Quasi che le Commissioni – le quali, si rammenta, sono istituite presso le prefetture, sotto il coordinamento del Ministero dell’interno – siano più sensibili alle sollecitazioni politiche che a quelle giuridiche.
Al momento non sembra necessario aggiungere altro. Solo i numeri e i dati che si rileveranno nei prossimi mesi potranno dimostrare se le perplessità sopra manifestate sono realmente fondate.