In Europa è finita la pacchia per l’Italia. Secondo una rivelazione di un funzionario Ue all’Adnkronos l’Italia conterà meno ai vertici dell’Ue. E la prova la vedremo subito al summit di Sibiu in Romania dove si metteranno le basi per decidere i prossimi vertici dell’Unione. Non ci voleva un insider per capirlo. Perché l’ondata sovranista di Salvini al massimo gli farà guadagnare il primo posto nell’opposizione piuttosto che una sedia nel tavolo della maggioranza. Lo ha chiarito anche il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker in un’intervista concessa una settimana fa a tre giornali dell’Est: il quotidiano liberal-conservatore polacco Rzeczpospolita, il giornale ceco Hospodarske Noviny e l’ungherese HVG «In queste elezioni coloro che hanno favorito il nazionalismo stupido pagheranno un prezzo. Non puoi costruire un’Unione contro i sentimenti delle nazioni, ma puoi costruirlo in opposizione allo stupido nazionalismo contro gli altri. Abbiamo bisogno di nazionalismo sano». Tradotto: non è automatico che il commissario proposto dai leader dei governi sovranisti come Italia, Polonia e Ungheria farà parte della Commissione europea. Tutto starà nelle mani del prossimo presidente della Commissione che sarà scelto a maggioranza nel Consiglio europeo, pescandolo dall’eurogruppo con più eurodeputati eletti. I trattati europei danno tanto potere discrezionale al presidente perché i commissari non rappresentano gli interessi della singola nazione ma quello dei cittadini europei: «Nessuno lo sa, ma l’ultima volta ho rifiutato i candidati di sei commissari che mi sono stati presentati dai governi nazionali» ha confessato Juncker.
Chi sarà il prossimo presidente della Commissione europea? Il favorito è il candidato punta del Ppe Manfred Weber, ma il mancato appoggio del premier ungherese Viktor Orban rende la vittoria meno sicura per i popolari. In ogni caso l’Italia non ci metterà bocca. Perché quando si deciderà il nome durante il Consiglio europeo, Giuseppe Conte avrà poche chance di far parte della partita. Sono mesi che il M5S prova in tutti i modi a far parte della grande coalizione europea: prima alleandosi con dei nani politici per avere mani libere di entrare in qualsiasi eurogruppo dopo il voto, poi proponendo un tema non divisivo per gli eurofili: il salario minimo europeo presente nel manifesto di Macron. Ma liberali e verdi hanno già escluso il M5S e Lega dalla grande coalizione che governerà il Parlamento.
Certo, l’Italia è uno dei Paesi fondatori e non avrà mai l’ultimo dei commissari, e di certo potrà accodarsi al presidente scelto ma nel Consiglio europeo i partiti della grande coalizione (socialisti, popolari, liberali e verdi) hanno già i loro campioni pronti a dare le carte e decidere per primi il nome. Pedro Sanchez che ha vinto da poco le elezioni in Spagna avrà probabilmente il gruppo più numeroso tra i socialisti e democratici, EnMarche! di Emmanuel Macron sarà il primo movimento nel nuovo gruppo dei liberali e ovviamente la Cdu di Angela Merkel rimarrà salda a dettare l’agenda del partito popolare europeo. La storia è sempre la stessa: Francia e Germania, Germania e Francia, con la Spagna a rimorchio pronta a sostituire l’Italia esclusa dal tavolo dei grandi e a cui rimarrà il cerino dell’alleanza sovranista con Ungheria e Polonia e al massimo il ruolo di capofila dell’opposizione europea. Contenti noi.
Salvini sta cercando di sfruttare l’unica vera chance politica a sua disposizione: spostare a destra il PPE. Un all-in rischioso, ma inevitabile che può realizzarsi solo con una remuntada come quella del Liverpool contro il Barcellona nell’ultima semifinale di Champions League. Ma il rischio è che i sovranisti dati per favoriti alla vigilia finiscano come il Milan rimonato dal Liverpool nella finale di Istanbul del 2005
Trionfo della Lega alle europee o meno, non capiterà mai più l’occupazione tricolore delle principali cariche europee che abbiamo avuto finora anche grazie all’exploit del Partito democratico di Matteo Renzi alle elezioni europee del 2014, quando ottenne il 40% dei voti e divenne il primo movimento del Continente per numero di eurodeputati. A oggi l’Italia ha Mario Draghi presidente della BCE, Federica Mogherini come Alto rappresentante dell’Ue per gli Affari Esteri, Andrea Enria alla presidenza del consiglio di sorveglianza della Bce e Antonio Tajani presidente del Parlamento Europeo. Tranne Draghi, i ruoli sembrano più prestigio che di effettivo potere, i bulbi nevralgici dell’Unione sono sempre stati in salde mani tedesche e francesi come Gunther Oettinger commissario al budget, Manfred Weber capogruppo al Parlamento europeo del Ppe e Pierre Moscovici commissario per gli affari economici e monetari. A eccezione di Draghi che grazie al suo quantitative easing ha salvato l’euro e l’economia italiana, sono stati più i successi personali (come l’accordo 5+1 con l’Iran della Mogherini, o la presidenza vivace di Tajani che ha consolidato la sua credibilità europea) dei vantaggi nazionali.
Per il principio dell’alternanza geopolitica staremo fuori per tanto tempo dal giro delle poltrone che danno visibilità a vantaggio di Francia e Germania e soprattuto Spagna che coprirà la quota destinata agli Stati del sud Europa. Jens Weidmann presidente della Bundesbank, la banca centrale tedesca, da tempo punta la poltrona di Draghi che dovrà lasciare a ottobre la presidenza della Bce, che si aggiungerebbe al sempre tedesco Weber come presidente della Commissione europea anche se rimane forte la candidatura del francese Michel Barnier che ha condotto i negoziati Brexit per conto di Bruxelles. L’Italia potrebbe essere risarcita con la conferma di Tajani alla presidenza dell’Europarlamento ma anche in questo caso sarebbe più per la capacità del politico di Forza Italia di essersi meritato la stima dei colleghi europei.
Chiariamo una cosa: nessuno ha la sfera di cristallo. I sondaggi per ora dicono una cosa ma in nazioni chiave è ancora troppo alta la quota di indecisi che deciderà quale partito premiare a poche ore dal voto. Se in Italia è sicuro il trionfo di Lega e M5S, c’è ancora un testa a testa tra EnMarche!e e Rassemblement National in Francia, così come il risultato di Afd in Germania, senza contare l’incognita Brexit Party nel Regno Unito che potrebbe raggiungere i sovranisti per fare un’azione di distubro politico all’establishment europeo in attesa dell’uscita del Regno Unito dall’Ue. La verità è che Salvini sta cercando di sfruttare l’unica vera chance politica a sua disposizione: spostare a destra il PPE e creare un’alleanza sovranista che coinvolga anche l’eurogruppo dei conservatori e riformisti di cui fanno parte Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia Jarosław Kaczyński, leader ombra die PiS (diritto e giustizia), il partito che governa la Polonia dal 2015. Un all-in rischioso, ma inevitabile che può realizzarsi solo con una remuntada come quella del Liverpool contro il Barcellona nell’ultima semifinale di Champions League. Ma potrebbe crearsi l’effetto opposto: da due anni tutti i media annunciano l’ondata sovranista che ha creato aspettative, ma guardando agli ultimi sondaggi i sovranisti aumenteranno senza travolgere. E il rischio per loro è assomigliare al Milan del tifoso rossonero Salvini che si fece rimontare 3-3 proprio dal Liverpool in una finale di Champions League.