Quando il Muro di Berlino cadde il 9 novembre del 1989, l’Unione Sovietica si dissolse nel 1991 e finì la Guerra Fredda, il politologo Francis Fukuyama disse che la storia era finita. Secondo lui da quel momento non ci sarebbero state più potenze contrapposte e guerre per imporre il proprio dominio, ma solo tanto commercio e prosperità in un mondo interdipendente, liberale e razionale. C’è stato un periodo in cui l’Occidente gli ha creduto pensando che la guerra fosse davvero sparita nel mondo. E invece era sempre lì, solo un po’ più lontana dagli occhi degli europei. Finché ci saranno gli Stati esisteranno i conflitti. Perché la pace e la guerra, come diceva il segretario di stato degli Usa Henry Kissinger, sono il «core business» della politica mondiale. Lo sostiene con numeri, fonti e dati Jonathan Holslag, professore di politica internazionale presso la Libera Università di Bruxelles e consigliere personale del vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans. Nel suo nuovo libro Storia politica del mondo (Il Saggiatore) ha studiato 3000 anni di storia e di guerre scoprendo la lezione preziosa che possono trarre i leader di domani. Compresa l’Unione europea che finora ha goduto 70 anni di pace ma il cui futuro non è scontato. Sono passati trent’anni dalla caduta del muro di Berlino e il mondo è ancora diviso in due: «L’élite aeromunita e cosmopolita è convinta che la storia sanguinosa della politica delle grandi potenze si sia conclusa e che le guerre su vasta scala siano diventate molto meno probabili. Mentre persone molto arrabbiate si radunano intorno a leader nazionalisti forti per essere protette da un mondo di ingiustizie e incertezze anche se limitano notevolmente la capacità d’azione della moderazione e dei compromessi internazionali», sostiene Holsalg.
Holslag, dopo aver letto il suo libro sembra che la guerra sia ineludibile. Eppure negli ultimi anni pensavamo che i grandi conflitti fossero finiti.
Bisogna chiedersi se l’ultimo periodo di pace, specialmente dopo la caduta dell’Unione Sovietica, sia stato davvero un periodo senza guerre. Certo, per molti Paesi è stato un periodo pacifico, pieno di prosperità sotto il dominio degli Stati Uniti. Ma per molti altri paesi è stato un periodo di umiliazione. Agli occhi della Russia, è stato solo un’epoca di miseria in cui l’Occidente ha fatto avanzare la sua influenza a svantaggio di Mosca. Lo stesso vale per la Cina, il periodo di dominazione commerciale occidentale fu per i cinesi un epoca di sfruttamento: dovevano impiegare manodopera a basso costo per produrre beni per quelli che loro chiamavano “i consumatori europei decadenti”. E non parliamo dell’Africa. Il problema principale di noi europei è che dimentichiamo di guardare oltre i confini della nostra prosperità. Senza moralismi da terzo mondo, dobbiamo essere consapevoli del fatto che ci sia molto risentimento verso l’Europa e il mondo occidentale in generale. Molti grandi paesi ritengono che sia venuto il tempo di incassare almeno quanto hanno subito.
Cosa dovrebbero imparare i leader di oggi leggendo la storia di 3000 anni di guerra e pace tra nazioni?
Due cose. La storia che abbiamo imparato a scuola è troppo eurocentrica e ci fa guardare al mondo con una prospettiva europea un po’ ristretta. Per negoziare e trattare con le potenze emergenti come Cina e India o superpotenze affermate come Stati Uniti e la Russia, è fondamentale capire la loro storia: da dove vengono, cosa li guida. e come si sono formati i loro interessi nazionali. E bisogna andare un po’ oltre la tecnocrazia che domina la nostra diplomazia di oggi. Rispetto ai colleghi degli Stati Uniti o della Cina, quando i diplomatici europei si siedono al tavolo per negoziare sono molto più tecnici. Si concentrano su regole, procedure, istituzioni e non hanno una visione ampia di come funziona il mondo. I diplomatici, politici e opinion maker per essere efficaci devono avere scopi più grandi dei singoli tecnicismi e capire i fenomeni che influenzeranno i secoli a venire.
Qual è il problema della politica estera europea?
I nostri diplomatici dovrebbero essere molto più coraggiosi. Ma per mostrare coraggio devi anche sapere quali sono i tuoi ideali e interessi. Per scrivere questo libro ho studiato l’ascesa e la caduta di diversi imperi e Paesi egemoni nella storia. E ho scoperto che la decadenza non è solo legata all’indebolimento economico o militare, ma anche alla divisione interna causata della mancanza di un destino comune. Questo a oggi è uno dei principali problemi della politica estera europea. Non sappiamo più cosa ci lega in termini di valori e interessi. La diplomazia europea è diventata sempre più un bivio dove bisogna scegliere per forza tra interessi o ideali. Ma come dice Machiavelli la vera arte della politica estera non è quella di abbandonare ideali, morali e virtù in funzione dell’interesse, ma è aumentare il potere per preservare sia i tuoi ideali che i tuoi interessi. Questo equivoco pesa molto sulla diplomazia europea. Lo si vede nelle nostre interazioni con Russia, Stati Uniti e soprattutto Cina.
Ecco, parliamo di Cina. Diversi paesi europei, tra cui l’Italia, si stanno avvicinando sempre più a Pechino che promette di avvantaggiare i suoi alleati con la Via della seta e di essere una superpotenza meno invasiva degli Stati Uniti. Possiamo fidarci?
In 3000 anni di storia qualsiasi Stato che ha voluto diventare una potenza imperiale ha usato la sua influenza e il suo potere in modo spesso non sofisticato. Lo stesso vale per la Cina. Certo, abbiamo questo ideale influenzato dal confucianesimo per cui l’imperatore cinese è stato ritratto come la figura che unisce tutti sotto di sé all’interno di un ordine armonioso. In realtà di armonioso non c’era nulla. L’impero cinese era una piramide di potere con la Cina al vertice che sfruttava economicamente i barbari nelle zone periferiche e se necessario li sottometeva militarmente. L’idea che la cultura strategica politica cinese sia meno interventista di quella americana è falsa. L’unica differenza con l’Occidente è che l’imperialismo cinese è stato più continentale. La maggior parte delle conquiste e delle spedizioni militari cinesi si svolgevano nel suo continente magari per sottomettere la Mongolia o territori limitrofi che in passato avevano regni e politiche differenti. Le lettere dell’ammiraglio Hart ci dicono che in passato la Cina ha compiuto spedizioni marittime brutali e violente in Vietnam, Filippine e Sri Lanka.
Eppure Xi Jinping presentando la Via della Seta parlò di “sogno cinese per rendere l’ambiente più verde”.
Quando le grandi potenze cominciano a predicare la giustizia e un fine più alto per far avanzare i loro interessi a livello internazionale diventano pericolose. Nel passato spesso potenze commerciali hanno usato per esempio la religione per dominare il mondo. Come Aśoka il Grande (re dell’impero Maurya nel III sec. a.C, ndr), che si converti al buddismo e usò la scusa di evangelizzare questa religione per conquistare le nazioni commerciali rivali. Non è una tecnica esclusiva delle potenze occidentali.
Dobbiamo preoccuparci?
La Cina è in una normale traiettoria imperiale, ma in questo momento è focalizzata verso il rapporto con certi stati ed è piuttosto riluttante a usare il potere a livello internazionale. Ma come abbiamo visto in passato con gli Stati Uniti o il Regno Unito, tutte le nazioni che vogliono diventare imperi commerciali arrivano a un punto in cui useranno sempre più la forza e il duro potere per difendere i loro interessi economici globali. La Cina non farà eccezione.
Si può essere d’accordo o meno su come Trump sta proteggendo l’interesse degli americani, ma l’Europa prima o poi dovrà avere un commercio equilibrato con la Cina. Abbiamo cercato per 30 anni di persuadere Pechino a essere più aperta economicamente. Non ha funzionato. Ora i politici hanno la responsabilità di affrontare il problema e di risolverlo, prima che sia troppo tardi
Pochi mesi fa lei ha scritto un altro libro, il cui titolo non ha bisogno di spiegazioni: “La via della Seta è una trappola”. Perché?
Quello che la Cina sta cercando di realizzare oggi è abbastanza naturale per una nazione in crescita. Come fecero gli ateniesi quando trasformarono la loro potenza marittima commerciale in una mliitare per avere il controllo della regione. Penso che la Cina ne segua l’esempio. È un Paese industrializzato, ma sta trasformando sempre più il suo potere economico in militare.Cosa dovrebbe fare l’Europa per non finire dominata come l’isola di Melo?
Deve assicurarsi che l’Eurasia non sia dominata dalla Cina e che Pechino non diventi una nuova potenza imperiale. Non è molto invidiabile essere dalla parte sbagliata di un impero. Non sarà facile, ma questo sforzo garantirà la sicurezza, la prosperità e la dignità per la prossima generazione dei nostri figli e nipoti europei.Come si fa concretamente?
Impedendo alla Cina di utilizzare essenzialmente i nostri soldi per competere contr di noi. Abbiamo un commercio sbilanciato con Pechino. La Cina guadagna annualmente oltre 180 miliardi di euro dall’export verso l’Europa. In quanto paese capitalista di stato, la sua banca centrale utilizza questi euro essenzialmente per finanziare la Via della seta. Se ci pensate è un atteggiamento suicida quello europeo: da un lato permettiamo alla Cina di avere questo deficit commerciale molto grande e poi d’altra parte i nostri governi vanno a Pechino a chiedere l’elemosina per alcuni investimenti in importazioni come il porto di Trieste. Bisogna invertire la tendenza con una forte politica commerciale.Più o meno quello che sta facendo Trump per proteggere l’economia Usa.
Si può essere d’accordo o meno su come Trump sta proteggendo l’interesse degli americani, ma l’Europa prima o poi dovrà avere un commercio equilibrato con la Cina. Abbiamo cercato per 30 anni di persuadere Pechino a essere più aperta economicamente. Non ha funzionato. Ora i politici hanno la responsabilità di affrontare il problema e di risolverlo, prima che sia troppo tardi.Come l’Ue anche le città stato nell’antica Grecia sotto Atene hanno raggiunto alti livelli di integrazione. Ma queste leghe sono fallite a causa delle disunioni interne e perché non hanno agito in modo unitario contro avversari più grandi e potenti. L’Europa si trova di fronte allo stesso problema. Si avvicina sempre più il momento de la va o la spacca e non darei per scontato che l’Europa sopravviva.
Secondo lei è giusto il metodo che sta utilizzando Trump?
Trump sta solo dando uno schiaffo imponendo i dazi alla Cina. Potrebbe anche fare diversamente con più successo. Ad esempio: se l’Europa è sincera sull’idea di creare un’economia più sostenibile, invece di limitarci a imporre dazi potremmo assicurarsi che vengano applicate regole più severe alle aziende cinesi che vogliono accedere al mercato europeo in termini di standard sociali e soprattutto ambientali. Sarebbe diverso dal protezionismo che discrimina le compagnie straniere in quanto tali. Purtroppo uno dei problemi dell’Europa di oggi è che discrimina le società europee, comprese quelle italiane. Se vuoi mantenere la produzione in Italia devi rispettare un sacco di regole, ma se importi beni dalla Cina i controlli sono meno stringenti. E invece i beni importati dovrebbero avere le stesse regole di quello che viene prodotto in Europa. L’alternativa a Trump è far valere anche le regole che abbiamo per il mercato interno anche per l’importazione. Questo impedirà alla Cina di persistere nei rapporti commerciali di squilibrio che abbiamo oggi.Quindi il sogno di una fine della storia, di un mondo senza confini e con scambi commerciali senza dazi è un sogno infranto dei liberali.
Un sogno infranto e molto pericoloso. Perché dal momento in cui tendi a dare la pace e la cooperazione per scontate perdi l’urgenza e la motivazione per continuare a investire in queste due cose e renderle più forti. Oggi esiste ancora l’interdipendenza economica ma è cambiato il paradigma. Gli Stati non stipulano più accordi di libero scambio a briglia sciolta ma cercano di controllare il flusso degli scambi commerciali e pensano a tutelare alcuni settori strategici, sostenendo le proprie compagnie nazionali. Come sta succendendo in questi giorni tra Stati Uniti e Cina per il caso Huawuei.Per secoli molti hanno sognato di vedere un’Europa senza guerre. Per ora sono passati 70 anni, anche grazie all’Unione europea. Si tratta di un’eccezione?
Non è un’eccezione. Ci sono state in passato delle leghe che hanno raggiunto un livello molto alto di integrazione, pensiamo alla lega asiatica o le città stato nell’antica Grecia sotto Atene. Bisogna ricordare che queste leghe sono fallite a causa delle disunioni interne e perché non hanno agito in modo unitario contro avversari più grandi e potenti. L’Europa si trova di fronte allo stesso problema. L’Ue è riuscita a sopravvivere per così tanto tempo grazie al fatto che durante la Guerra Fredda abbiamo avuto un avversario comune chiamato Unione Sovietica che ci ha costretti a lavorare insieme. In quegli anni siamo stati in grado di “appaltare” la nostra sicurezza nelle mani degli Stati Uniti d’America. Non sarà più possibile. Si avvicina sempre più il momento de “la va o la spacca” e non do per scontato che l’Europa sopravviva. Se la maggioranza delle persone crederà che l’Ue non svolge più un ruolo nel preservare sicurezza e prosperità, morirà.Secondo lei quale sarà la prossima guerra tra superpotenze?
Quella tra Stati Uniti e Cina per il controllo dell’Oceano Pacifico e i suoi traffici marittimi. E non dite che non vi avevo avvertiti.