L’immagine di un blindato militare di Maduro che investe i manifestanti dell’oppositore Guidó ha costretto la memoria a un salto indietro di trent’anni, alla strage di piazza Tienanmen. Il Venezuela rischia che l’aggravarsi della rivolta tra i due “presidenti” diventi una guerra civile se i militari continueranno a dividersi in fazioni opposte: una con il fazzoletto blu sulla divisa, per ammettere l’avvenuta insubordinazione a Nicolás Maduro e il piano di Juan Guaidó di portare dalla sua parte unità importanti dell’esercito, costringendo all’isolamento la Guardia Nacional, i pretoriani che fanno muro attorno all’erede di Hugo Chávez.
L’improvviso ritorno e aggravarsi della violenza nelle strade di Caracas e di gran parte delle principali città venezuelane, con i blindati, i collectivos negros del regime e le battaglie alla luce del sole, tra militari passati all’opposizione e sostenitori di Guaidó, spinge a pensare che Guaidó, el presidente de la oposicíon, non voglia e non possa più aspettare. A quattro mesi dalla sua proclamazione a legittimo successore di Maduro, el presidente del poder, Guaidó, con l’appoggio di cinquanta Paesi al mondo, (tranne l’Italia), vuole chiudere lo scontro portando dalla sua parte chi difende militarmente Maduro, richiamando i venezuelani ogni giorno a scendere nelle piazze, a sfidare i proiettili di gomma della policiane quelli veri degli uomini neri a cavallo delle motociclette, l’ala sporca del regime, con licenza d’uccidere impunemente, colpevole di oltre duecento omicidi tra i civili, per lo più studenti universitari.
Juan Guaidó, all’alba di lunedì, liberando Leopoldo Lopez con un pugno di soldati, ha giocato non tanto la carta del golpe, ma quella dell’insurrezione, avvicinando l’ora della guerra civile. Martedì erano in corso scontri molto duri, anche davanti alla base aerea La Carlota, a est di Caracas, mentre appariva ancora calma la situazione attorno al palazzo presidenziale di Miraflores, dove si era concentrato un gruppo di sostenitori del governo Maduro. La società venezuelana è profondamente spaccata, ma non soltanto in due parti. Agli occhi dell’Europa e del mondo sembra che esista una società compatta nell’opporsi a Maduro, ma in realtà la situazione è molto più frammentata e complessa. Gli Stati Uniti hanno sottoposto il regime al potere a sanzioni durissime. La Russia e la Cina hanno invece difeso Maduro. La popolazione è in miseria, mancano spesso elettricità e acqua, ma gli aiuti sono stati respinti. E molti militari, soprattutto, non si sono schierati contro il potere chavista, come sperava Guaidó.
La società venezuelana è profondamente spaccata, ma non soltanto in due parti. Agli occhi dell’Europa e del mondo sembra che esista una società compatta nell’opporsi a Maduro, ma in realtà la situazione è molto più frammentata e complessa. Gli Stati Uniti hanno sottoposto il regime al potere a sanzioni durissime
«A Caracas esistono due presidenti: uno morale che incarna il desiderio di cambiamento dei venezuelani dopo vent’anni di governo chavista e uno effettivo che è Maduro che rimarrà al potere fino a quando l’esercito sarà dalla sua parte», spiega a Linkiesta Piero Armenti, giornalista, scrittore, imprenditore, studioso del Venezuela, dove ha vissuto per dieci anni, ha scritto due saggi: “L’altra America. Tra Messico e Venezuela” (2009) e “Hugo Chávez. Come nasce una rivoluzione” (2015). «I due potrebbero andare avanti a confrontarsi a lungo. Maduro è isolato in America Latina, dove sono al potere governi di destra, ma quella che può sembrare una debolezza, cioè l’isolamento, è anche il punto di forza perché è più facile ricompattarsi nell’emergenza, e infatti nonostante Maduro abbia un consenso minimo tra la popolazione, riesce a resistere senza troppi problemi».
Ci potrebbe essere, a breve, un intervento militare esterno? «Gli Stati Uniti non interverranno militarmente, come oramai è chiaro a tutti. Trump si prenderà tutti i meriti della caduta di Maduro, solo se questa avviene senza intervento militare, altrimenti come spesso accade, l’intervento militare verrebbe condannato da tutti. Neanche i suoi elettori lo vogliono perché oggettivamente non hanno nessun interesse a liberare il Venezuela pagando più tasse. Sono altre le priorità degli Stati Uniti sono altre, non certo il Venezuela. La soluzione auspicabile è che l’esercito decida di mettersi dal lato giusto della storia, ovvero che permetta l’organizzazione di elezioni libere in cui il popolo venezuelano possa finalmente scegliere. Ma molto difficilmente Maduro lo permetterà».
E mentre Bruxelles aspetta che s’avvi da solo un processo democratico, senza violenze, che porti alle urne, le violenze son già in atto da mesi con centinaia di morti, è logico chiedersi che cosa stiano facendo i Paesi Latino Americani, se non appoggiare o denunciare Maduro e Guaidó. Un atteggiamento omertoso o un disinteresse calcolato. Anche Brasile, Colombia e Argentina, principali oppositori di Maduro, attendono l’esplosione della democrazia. Tuttavia secondo alcuni analisti politici, basterebbe spostare due portiere americane con il via libera dell’Onu, appena fuori le acquee venezuelane, per risolvere immediatamente la situazione: Maduro perderebbe i militari che lo sostengono e proteggono, e si dichiarerebbe prigioniero politico: secondo quanto dichiarato da Mike Pompeo, segretario di Stato Usa, ci sarebbe già un piano per far abbandonare il paese a Maduro, una soluzione ,però, che non piace al Cremlino. Secondo altri, invece, la soluzione migliore, non è mostrare i muscoli dell’America, ma deve provenire dai Paesi del Sud America: creare un consiglio permanente dei governi per imporre lo stop alle violenze, permettere ai venezuelani di ricevere aiuti dal confine con la Colombia (dove i militari chavisti hanno respinto a febbraio decine di camion con alimenti e beni primari), e soprattuto creare un tavolo permanente di colloqui tra le diplomazie, un luogo sterilizzato per i due duellanti dove confrontarsi e giungere a un accordo pacifico e democratico.
Aumentano i pericoli che questa mezza insurrezione e l’altra mezza repressione diano vita a una stagione permanente di violenze da guerra civile come nella ex Jugoslavia
La ripresa degli scontri, i comizi di Guaidó rendono la situazione fluida, mentre aumentano i pericoli che questa mezza insurrezione e l’altra mezza repressione diano vita a una stagione permanente di violenze da guerra civile come nella ex Jugoslavia. E allora sì che Washington non rimarrà a guardare. Le forze americane sono dietro l’angolo, dicono che non interverranno. Anche se un centinaio di consiglieri militari russi sono da mesi a Caracas «in attuazione», spiega Mosca «di vecchi accordi governativi». Se la situazione degenerasse in un’invasione via terra dei militari Usa, come avvenne a Panama, allora ci ritroveremmo sull’orlo di un conflitto ben più grande: il primo scontro diretto tra forze di terra statunitensi contro quelle russe.
Senza abbandonarsi alla fantapolitica, che tanto fanta non lo è, analizzando la realtà, l’unica certezza che si ha è che i venezuelani sono allo strenuo delle loro forze, al limite della resistenza e chiedono aiuto e cibo.