Se fosse stata un uomo avrebbe vinto il Pallone d’Oro e firmato contratti milionari. E tutti i bambini d’Italia avrebbero il suo poster in camera. Carolina Morace è stata per anni la Cristiano Ronaldo del calcio femminile, una fuoriclasse di uno sport ignorato e sminuito in Italia. Per la Fifa è una “legend” da invitare a tutti gli eventi più importanti, ma in Italia pochi ricordano le sue imprese perché il calcio in questo Paese sembra un gioco per soli uomini. Eppure Morace ha vinto dodici scudetti con otto squadre diverse, per undici volte consecutive è stata capocannoniere della Serie A e ha segnato 105 gol in 153 presenze con la Nazionale, tra cui quattro goal a Wembley contro l’Inghilterra, impresa mai riuscita neanche a un calciatore maschio. Nel 1995 è stata premiata miglior calciatrice al mondo e nel 1999 è diventata la prima allenatrice donna di una squadra di calcio maschile professionistica, la Viterbese. E oggi che di anni ne ha 54, dopo una stagione sulla panchina del Milan donne commenterà per SkySport il campionato mondiale di calcio femminile, iniziato il 6 giugno in Francia. Perché da quando ha esordito nel 1978 in serie A a soli 14 anni le cose sono cambiate. Il movimento del calcio femminile sembra sempre più libero da pregiudizi e stereotipi, piace al pubblico e alle tv. Piano piano si avvicina agli altri Paesi del mondo dove ormai nessuno si stupisce per uno stadio pieno per ventidue ragazze che corrono dietro a un pallone.
Morace, da giocatrice le sarebbe piaciuta tutta questa attenzione che oggi si ha verso il calcio femminile?
Certo che mi avrebbe fatto piacere. Ma non c’è invidia, solo un po’ di rammarico. Quando giocavo io sia tecnicamente che tatticamente il calcio femminile era uno sport bellissimo da guardare. In Italia erano arrivate le migliori giocatrici straniere, c’è il rimpianto di non aver fatto vedere a tante persone il nostro talento.
Però è stata un modello per le calciatrici di oggi.
Sì, ci sono state parecchie ragazze che mi hanno detto di aver iniziato a giocare a calcio grazie a me. Però all’epoca era diverso l’impatto che poteva avere una giocatrice nell’immaginario femminile. Ora è tutto diverso. Addirittura hanno fatto la barbie a immagine e somiglianza di Sara Gama (giocatrice italo-congolese della Juventus, ndr). Se avessi giocato ora, col mio talento il mio impatto sarebbe moltiplicato. Ma ripeto, nessuna invidia, solo un po’ di rammarico.
Come andranno le azzurre al mondiale?
L’Italia può superare il suo girone. Australia e Brasile sono più forti di noi ma stanno avendo molti problemi in questo periodo. Se passiamo il girone tutto può succedere. In ogni caso sarà un successo per il movimento calcistico femminile a livello di pubblico e attenzione dei mass media. C’è stato un miglioramento dal mondiale del 2011 a quello del 2015 e ci sarà anche adesso.
Si rivedere in qualche calciatrice di oggi?
Nella nazionale no. Sono tutte calciatrici brave ma non c’è un talento assoluto che emerge sulle altre. Se guardo all’estero mi rivedo in Ada Hegerberg, l’attaccante norvegese dell’Olympique Lione che ha vinto il Pallone d’Oro femminile.
Secondo un’indagine Uefa una bambina in Italia deve percorrere per spostarsi dal luogo di residenza a un campo da calcio dove potersi allenare tra i venti e i quaranta chilometri. In Germania la stessa distanza è dimezzata. Non è un caso che le tesserate tedesche siano dieci volte di più rispetto a quelle italiane
Come si spiega questo interesse verso il calcio femminile?
Il calcio femminile è migliorato perché dopo tanti anni finalmente c’è stata la volontà di iniziare un processo per allargare la base di iscritte. Sono entrati i grandi club professionistici e le ragazze si possono allenare ogni giorno. Una grande mano l’ha data Sky che ha scommesso su questo sport comprando le partite e si è visto che alle persone piace vedere giocare le ragazze. La serie A femminile fa più share di alcune partite di Premier League e serie B.Fino a pochi mesi fa però in Italia non se ne parlava molto. È un problema culturale?
Se fosse un problema culturale non si spiegherebbe il seguito degli ultimi tempi. Il calcio femminile è sempre piaciuto. Il problema è di chi non ha fatto abbastanza prima per far conoscere il fenomeno e soprattutto far vedere le partite. La Federazione da 15 anni aveva sul tavolo il progetto pilota di creare le divisioni femminili delle squadre professioniste. L’ho proposto io quando ero allenatrice della nazionale femminile di calcio nel 2005. Per fortuna è arrivato un vero manager che ha lavorato all’estero e ha rivoluzionato l’approccio al movimento. Però c’è ancora tanto da fare.Per esempio?
Nel mio libro “La prima punta” (edito da People) cito un’indagine Uefa secondo cui la distanza media che una bambina in Italia deve percorrere per spostarsi dal luogo di residenza a un campo da calcio dove potersi allenare è tra i venti e i quaranta chilometri. In Germania la distanza è dimezzata. Non è un caso che le tesserate tedesche siano dieci volte di più rispetto a quelle italiane.Servono dirigenti preparati che capiscono che il calcio femminile è un’opportunità e non un peso. La Juventus questo l’ha capito benissimo. E poi cominciamo ad assumere più allenatori e dirigenti donne. Chi l’ha detto che un team manager deve essere per forza un uomo?
Cosa bisogna fare per non spegnere l’entusiasmo?
Servono dirigenti preparati e consci che il calcio femminile è un’opportunità e non un peso. La Juventus questo l’ha capito benissimo. Bisogna incoraggiare nuove campagne di comunicazione e soprattutto investire denaro e tempo. Per dire la A.S. Roma investe tantissimo nella comunicazione della sua squadra donne. Tutti dovrebbero seguirne l’esempio. E poi cominciamo ad assumere più allenatori e dirigenti donne. Chi l’ha detto che un team manager deve essere per forza un uomo? Chi meglio di una donna può capire la dinamica di una squadra femminile nello spogliatoio?Si potrebbe ribattere che non ci sono così tante donne da assumere.
Incominciamo a coinvolgere in questi ruoli le ragazze che smettono di giocare, magari diamo a loro una prospettiva di crescere professionalmente. Così le famiglie manderebbero più volentieri la figlia a giocare a calcio.La sua famiglia ha mai ostacolato la sua voglia di diventare calciatrice?
Non ho mai avuto problemi da piccola. Per la mia famiglia la cosa più importante era che studiassi e l’ho sempre fatto, laureandomi in Giurisprudenza. A differenza delle mie colleghe non ho mai subito i pregiudizi degli uomini mentre giocavo. Nessuno mi ha mai chiesto perché facessi la calciatrice. Avevo talento, almeno così mi dicono. E anche quando ho fatto televisione i miei colleghi maschi hanno sempre riconosciuto la mia preparazione e conoscenza del gioco. Certo, il discorso è sempre quello. Se fossi stata uomo avrei avuto qualche zero in più in banca.È più facile allenare gli uomini delle donne. I maschi fin da piccoli sono inquadrati nella mentalità di rispettare quello che dice l’allenatore, dalla scuola calcio alla prima squadra. Mentre le donne ogni volta hanno qualcosa da ridire, rispettano meno l’autorità della coach
Non ha ricevuto offerte in questi anni?
Tre anni fa mi sono dovuta trasferire all’estero perché non avevo un lavoro in Italia anche se ho allenato la nazionale italiana e da coach del Canada ho vinto il Concacaf women’s gold cup, l’equivalente dell’europeo femminile in Nord America. Per una allenatrice donna è sempre più difficile rispetto a un uomo. Sono andata all’Inps chiedendo quale fosse la mia situazione pensionistica come allenatrice. Sa cosa mi hanno risposto?Cosa?
Mi hanno detto che non c’è nessuna donna in Italia che prenderà la pensione per aver lavorato nello sport. Non solo donne di calcio, ma di qualsiasi sport. È pazzesco. Le atlete e le allenatrici sono professioniste de facto, ma non de iure. Manca una legge.Lei è stata la prima donna ad allenare una squadra di calcio maschile professionistica, la Viterbese. Che differenza c’è tra allenare gli uomini e le donne?
È più facile allenare gli uomini delle donne. I maschi fin da piccoli sono inquadrati nella mentalità di rispettare quello che dice l’allenatore, dalla scuola calcio alla prima squadra. Mentre le donne ogni volta hanno qualcosa da ridire, rispettano meno l’autorità della coach. Per i maschi è più facile sviluppare una mentalità da professionista perché iniziano prima.Ci dica una calciatrice da tenere d’occhio in questo mondiale.
Ve ne dico due: l’attaccante australiana Samantha Kerr e la centrocampista brasiliana Thaisa Moreno che ho allenato quest’anno al Milan donne.