Provo ad affastellare qualche dato, dando priorità fisiognomica al caso.
Il 17 giugno, a Roma, incontro Sylvia Iparraguirre, la grande scrittrice argentina. Per me Roma è viva in quella sfera di versi di Iosif Brodskij: “Io sono stato a Roma. Inondato di luce. Come/ può soltanto sognare un frantume! Una dracma/ d’oro è rimasta sopra la mia rètina./ Basta per tutta la lunghezza della tenebra”. Con Sylvia non parliamo di Brodskij, ma di Borges: mi regala il libro-intervista di Victoria Ocampo, era il 1969. Tenete a mente la data, sarà importante nel viavai dell’articolo.
Sette giorni dopo – lascio a voi gestire la cabbala – incontro un’altra Silvia, che avrei dovuto vedere a Roma la settimana prima. Lascio all’enigma ulteriori dettagli: è una donna che si aureola nel pudore. Anche Silvia mi regala un Borges. La prima edizione de Il libro di sabbia, “El libro de arena”, pubblicato da Emecé a Buenos Aires nel 1975. Io possiedo, molto più modestamente, l’edizione Adelphi del 2004. Il libro è firmato da Borges, per Silvia. La firma di Borges è incerta, minuscola, pare un sigillo equinoziale, la cifra che scinde gli uccelli migratori; si conclude con due segni che hanno statura di ideogramma. Sei feticista?, mi fa Silvia. No, dico. Ma da ora lo sono.
Due Borges preziosi in una settimana. Non sono ossessionato da Borges, devo dire. Lo è, piuttosto, Piero Meldini, uno scrittore straordinario: è stato direttore della Biblioteca Gambalunga di Rimini per un lotto di lustri e 25 anni fa ha pubblicato con Adelphi, la casa editrice di Borges, un libro meraviglioso, L’avvocata delle vertigini. Meldini, se hanno senso queste didascalie, è il Borges italiano.