Il Milan salvo ripensamenti dell’ultimo minuto dovrebbe rinunciare all’Europa League. Ebbene sì, uno dei tre club più titolati al mondo dice no alla seconda competizione per prestigio – dopo aver mancato l’obiettivo Champions – del Vecchio Continente. Lontani i tempi in cui il patron Silvio Berlusconi chiosava a Papa Giovanni Paolo II “Santità, mi lasci dire che lei assomiglia un po’ al mio Milan: tutti e due andiamo spesso in trasferta a portare nel mondo un’idea vincente”, e nostalgici i ricordi da teca del Milan dei record, il Diavolo si trova a dover fare i conti con i severi vincoli di bilancio.
Questioni di finanza aliene al rettangolo verde, hanno portato i rossoneri di fronte a un bivio: lasciare il posto conquistato in Europa League in cambio di più tempo per rispettare i paletti del Fair Play Finanziario, ed evitare così il rischio di una sanzione di triennio in triennio per ogni pareggio di bilancio non raggiunto.
Per i rossoneri non giocare la coppa vorrebbe dire, sulla carta, perdere circa 15 milioni della qualificazione, più gli introiti diretti (biglietti, diritti Tv) e indiretti legati al torneo; mentre decidere di scendere in campo, significherebbe credere in un miracolo in grado di far lievitare le plusvalenze nelle casse di Milanello senza smembrare una rosa che, dopo anni di sindrome da ex numeri uno, comincia a rivedere la luce in fondo al tunnel.
In altre parole, il Diavolo di oggi, messo da parte l’album dei ricordi, rinunciando all’Europa League trarrebbe soltanto vantaggi. Vantaggi spalmati negli anni, capaci non solo di riportare giocatori e allenatori di livello alla corte della proprietà Elliott, ma anche di ristabilire una serenità fiscale assente ormai dalla stagione 2013/2014.
Il Milan deve mettere da parte l’orgoglio – il club potrebbe paradossalmente decidere di pagare dazio e preferire l’avventura europea – e frugarsi nelle tasche
Un epilogo, quello della rinuncia al torneo, che tuttavia è affatto scontato. Il Milan di fatto non è artefice della sua rinuncia (la quale farebbe perdere un posto nelle Coppe all’Italia) ma solo soggetto vincolato ad una sentenza. Dirigenza e giocatori attendono il responso da Nyon, anche se ormai è un segreto di Pulcinella il fatto che da tempo i contatti con il Club financial control body, organo indipendente dall’Uefa che si occupa delle violazioni del fair play finanziario, vedono come unico obiettivo della società la conquista di un anno in più di tempo per cercare il pareggio di bilancio programmato al 2021 dalla Camera giudicante.
Una pena tutto sommato accettabile, in vista anche della zavorra che in alternativa il club dovrebbe trascinarsi nella prossima stagione. In questo momento i rossoneri rischiano già una doppia sanzione, una per il periodo 2014-2017 e una per il triennio 2015-2018: la Camera giudicante dell’organo di controllo finanziario Uefa ha congelato il giudizio sulle violazioni del Fair Play Finanziario degli ultimi tre esercizi, in attesa della decisione del Tas di Losanna (Tribunale arbitrale dello sport) sulle violazioni del triennio 2014-2017.
A margine delle previsioni fatte, con i conti della stagione 2018-2019 che senza un aumento di ricavi capaci di far leva sulle plusvalenze potrebbe chiudere con un rosso compreso tra i 70 e gli 80 milioni di euro, il Milan deve mettere da parte l’orgoglio – il club potrebbe paradossalmente decidere di pagare dazio e preferire l’avventura europea – e frugarsi nelle tasche. Sul tavolo della trattiva, in caso di mancato pareggio di bilancio entro il 2021, la Uefa ha proposto una multa da 12 milioni di euro e l’esclusione da possibili competizioni europee nei futuri anni. Il Milan attende intanto il responso dell’appello fatto al Tas, che potrebbe decidere la via dell’austerity o quella dell’ammonimento.
Paul Singer, proprietario del fondo Elliott e di conseguenza del Milan, a differenza del presidente Pallotta ha le idee ben chiare, oltre a un pesante portafoglio. Nel club rossonero ha investito ben 500 milioni
Con le coppe o senza, pertanto, i rossoneri si troverebbero a lottare anche per i trienni a venire, in primis quello 2016-2019, contro le regole finanziarie Uefa. Tra settlement agreement mancati e cambi societari travagliati, adesso, la soluzione è la rinuncia al ricorso al Tas oppure una definizione consensuale.
Ma come ha fatto il Milan a ridursi in questo stato? In termini di fiscalità, a rispondere è la Figc: la quale considera solo il bilancio di esercizio della società a capo del gruppo, senza valutare le ramificazione del marchio e le aziende annesse. Nel bilancio finale quindi le plusvalenze infragruppo scompaiono, mentre i proventi vengono contabilizzati, per un patrimonio netto che, allo stesso modo di quello di Inter e Roma, passa in positivo.
Sul lato dirigenziale e spogliatoio, invece, il discorso è differente. Il monte ingaggi del Milan nella stagione 2018-2019 è cresciuto del 25% toccando i 129 milioni di euro, rispetto ai circa 103 della stagione precedente. Si tratta del secondo monte ingaggi della Serie A, inferiore solo alla Juventus di Cristiano Ronaldo. Poi ci sono i contratti non rinnovati, che peseranno per circa 19 milioni lordi annui, e la voce manager. Maldini, Gazidis, Scaroni e il nuovo arrivato Boban – anche se di quest’ultimo non si conoscono ancora le cifre precise – gravano sul bilancio con circa 10 milioni.
Come se non bastasse l’esercizio 2017-2018 è stato chiuso con una perdita netta di 126 milioni di euro, in aumento di 53 milioni rispetto ai 73 milioni di quello precedente. Non proprio argent de poche.Insomma, dopo il flop Champions da 50 milioni (il premio per chi vi accede) e l’imminente investimento di 600 milioni di euro per il nuovo stadio tanto voluto da Scaroni, la situazione del Diavolo è tra il purgatorio e l’inferno.
È ancora presto per facili allarmismi, in quanto Paul Singer, proprietario del fondo Elliott e di conseguenza del Milan, a differenza del presidente Pallotta ha le idee ben chiare, oltre a un pesante portafoglio. Nel club rossonero, per giunta, ha investito ben 500 milioni: compresi i 180 di prestito non ancora interamente resi da Yonghong Li, quelli per la gestione della società, quelli spesi per il mercato e i 100 milioni di aumento di capitale.Al momento in posizione di attacco si trova la Uefa, in attesa soltanto di un assist del Tas. In ottica SuperChampions, però, il brand Milan pesa ancora, mentre sul terreno di casa, gli avversari, del Milan si intende, sono pronti a contestare un qualsiasi compromesso istituzionale
L’attenzione e le risorse investite nel progetto tuttavia non devono essere confuse come una dichiarazione di amore in stile Ancelotti intonante l’inno “alé Milan alé”. Il fondo ha previsto infatti di spendere tre anni per riportare la squadra a brillare, rientrare del denaro investito e poi vendere la società ad una cifra fissata intorno al miliardo di euro.
Allo stato attuale, contando solo sul risparmio che arriverà dalla differenza di stipendio con i giocatori in uscita e quelli in entrata, il Milan ne vale la metà. E se nella stagione appena conclusa l’amore dei tifosi è tornato a riempire San Siro, gli incassi dovuti ai biglietti sono stati 18,1 milioni euro e gli spettatori 1.030.274 (+3% rispetto al torneo 2017/18), in questo momento il club deve mettere mano ai conti, tenendo a mente l’intero pacchetto, dalle trasferte in Europa all’aumento ingaggi degli atleti, contro una stagione (al netto della rinuncia coatta) che porterebbe invece gli incontri infrasettimanali per Giampaolo e staff a tre partite e un mercato in linea con il primo acquisto fatto – Krunic dall’Empoli per 8 milioni più bonus e un contratto quadriennale da 1,2 milioni di euro di ingaggio.
Al momento in posizione di attacco si trova la Uefa, in attesa soltanto di un assist del Tas. In ottica SuperChampions, però, il brand Milan pesa ancora, mentre sul terreno di casa, gli avversari, del Milan si intende, sono pronti a contestare un qualsiasi compromesso istituzionale. In definitiva, non rimane che mettersi comodi e attendere il triplice fischio di questa anomala partita.