È ormai chiaro che il ministro dell’Interno vuole fare in modo che l’immigrazione resti un tema alla ribalta, poiché è uno dei pilastri di quella “narrazione” che gli attira molti consensi. Dopo il decreto (ora legge) sicurezza, le bozze di un decreto sicurezza bis, i proclami sulla chiusura dei porti e alcune circolari controverse, è la volta dei magistrati che hanno adottato decisioni sgradite al ministro.
Si tratta della presidente della sezione del Tar della Toscana che ha annullato il provvedimento con cui la prefettura di Firenze aveva istituito le cosiddette zone rosse, cioè aree della città in cui era fatto divieto di stazionare a persone denunciate per determinati reati (nel presupposto della loro pericolosità derivante dalla mera denuncia, nonché in contrasto con il diritto di circolare liberamente, salvo limiti posti dalla legge, ex art. 16 Cost.); della giudice relatrice della sentenza con cui il Tribunale di Firenze ha dichiarato inammissibile il ricorso del ministero dell’Interno contro l’iscrizione all’anagrafe di un immigrato; della presidente della sezione del Tribunale civile di Bologna la quale non ha accolto il ricorso dello stesso ministero contro la decisione che disponeva l’iscrizione nel registro anagrafico di due stranieri.
Salvini ha preannunciato che agirà per via giudiziaria contro tali decisioni, ma non solo: «il Viminale intende rivolgersi all’Avvocatura dello Stato anche per valutare se i magistrati che hanno emesso le sentenze avrebbero dovuto astenersi, lasciando il fascicolo ad altri, per l’assunzione di posizioni in contrasto con le politiche del governo in materia di sicurezza, accoglienza e difesa dei confini». Il ministro si riferisce a opinioni «espresse pubblicamente o attraverso rapporti di collaborazione o vicinanza con riviste sensibili al tema degli stranieri come “Diritto, immigrazione e cittadinanza” o con avvocati dell’Associazione studi giuridici per l’immigrazione (Asgi) che hanno difeso gli immigrati contro il Viminale».
Come affermato da Gian Carlo Caselli, ex procuratore capo di Torino, «anche chi va in chiesa rende pubblica la sua fede», tuttavia «nessuno si è permesso di dire che dovrebbe astenersi dal trattare processi che riguardano un parroco»
Dunque, Salvini chiederà all’Avvocatura di valutare se il fatto che i giudici avessero esposto idee in tema di immigrazione contrastanti rispetto alla linea dell’esecutivo ne abbia minato l’imparzialità, viziandone le decisioni. Al riguardo, i profili da esaminare sono diversi. Innanzitutto, il magistrato deve essere terzo e imparziale, in conformità a quanto previsto dalla Costituzione (art. 111, c. 2), e deve astenersi dal giudizio (o ciascuna delle parti può chiedere che a decidere sia un altro magistrato) qualora rischi di non esserlo: cioè quando ricorrano una serie di cause specificamente previste dalla legge (come particolari legami con le parti o con l’oggetto del procedimento) ovvero quando esistano “gravi ragioni di convenienza”.
Detto ciò, la circostanza che un giudice abbia manifestato opinioni su provvedimenti normativi o “politiche del governo” può comprometterne l’imparzialità? Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, quest’ultima non è intaccata se il magistrato, al fuori dall’esercizio delle funzioni giudiziarie, ha espresso propri punti di vista privi di riferimenti anche superficiali al processo. Quindi, il fatto che i giudici sopra citati abbiano trattato di immigrazione in scritti o interventi aventi natura scientifica o comunque culturale, esponendo concetti sgraditi al ministro, non pare ledere la loro indipendenza di giudizio. Pertanto, i dubbi di Salvini circa la loro idoneità ad essere e a sembrare imparziali paiono privi di fondamento.
Del resto, come affermato da Gian Carlo Caselli, ex procuratore capo di Torino, in una recente intervista sul Corriere della Sera, non solo sentenze della Cassazione «escludono che le prese di posizioni in un dibattito pubblico siano sufficiente motivo di ricusazione o astensione»; ma «anche chi va in chiesa rende pubblica la sua fede», tuttavia «nessuno si è permesso di dire che dovrebbe astenersi dal trattare processi che riguardano un parroco». Dunque, la libertà dei magistrati in questione di esprimere idee personali in tema di immigrazione, nelle modalità in cui ciò è avvenuto, sembra pacificamente assodata.
Un esponente del potere esecutivo che sollevi certe polemiche strumentali su componenti del potere giudiziario – con la conseguenza di aizzare così anche sui social pesanti reazioni contro di loro da parte di suoi simpatizzanti – ottiene l’effetto di sottoporli a una pressione che va evitata
Peraltro, la pretestuosità dei dubbi avanzati su di loro dal ministro dell’Interno emerge pure da un altro elemento: ai sensi di legge, eventuali situazioni che possano minare la terzietà e l’imparzialità del giudice devono essere fatte valere dagli interessati prima del processo, qualora non sia il giudice stesso ad astenersi, non dopo. Quindi, la valutazione ex post che Salvini ha chiesto all’Avvocatura non porterebbe ad alcun risultato concreto con riguardo alle decisioni che i magistrati hanno adottato. Infatti, la giurisprudenza è concorde nell’affermare che la violazione dell’obbligo di astenersi da parte del giudice non è motivo di nullità della sentenza da lui emessa. Non pare, dunque, che Salvini possa percorrere questa strada. «La garanzia del buon lavoro del magistrato sta nella motivazione. L’intervento giudiziario deve esser valutato in base alla correttezza e al rigore non in base alla utilità per questo o per quello», ha precisato Caselli nella citata intervista: quindi, se Salvini vuole contrastare certe decisioni si attenga esclusivamente a tali criteri. Perché «il passo successivo è che se non si accettano le motivazioni perché vanno contro i propri interessi si chiedono i test psicoattitudinali per i magistrati. Già se ne parla». Insomma, tutto si tiene, basta unire i puntini.
Detto questo, un ministro che pone in dubbio l’imparzialità di certi giudici, peraltro in modo pretestuoso – come sopra spiegato – col proprio comportamento pare mettere a rischio un altro principio previsto costituzionalmente: vale a dire, l’autonomia e l’indipendenza della magistratura da altri poteri dello Stato (art. 104 Cost.). In altri termini, un esponente del potere esecutivo che sollevi certe polemiche strumentali su componenti del potere giudiziario – con la conseguenza di aizzare così anche sui social pesanti reazioni contro di loro da parte di suoi simpatizzanti – ottiene l’effetto di sottoporli a una pressione che va evitata. Forse il ministro non considera che l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati costituiscono strumenti essenziali per garantire quell’imparzialità cui egli dice di tenere, ma alla quale poi sembra attentare.
Infine, Caselli ha pure detto che i giudici devono «discutere in modo equilibrato. Rispettoso degli altri. Con argomentazioni. Senza limitarsi a tweet o invettive». Se a queste indicazioni si attenessero anche i ministri, sarebbe meglio per tutti.