Bonus bebè, congedo parentale, l’assegno familiare, il contributo all’affitto o l’integrazione al reddito per famiglie con minori.
Alcune di queste misure le conosciamo, se ne è parlato ampiamente nel nostro dibattito politico, altre non le abbiamo mai viste, e molto probabilmente non le vedremo mai. Cose come il Kindergeld tedesco, secondo cui sono garantiti a tutti 194 al mese a tutti per il primo e secondo figlio, e 200 per il terzo, o ancora di più l’Elterngeld, l’indennità per congedo parentale, che è garantito per 14 mesi anche a chi fa un lavoro part time fino a 30 ore settimanali, ed è proporzionato al reddito che si percepiva prima della nascita del figlio, anche per non scoraggiare l’occupazione delle madri.
È questo uno dei gap più rilevanti, e con maggiori conseguenze sul futuro, tra quelli che attraversano la Ue. Quello riguardante la spesa per famiglia e minori. In Italia corrispondeva nel 2016 solo al 6% del totale della spesa sociale. La media europea è del 8,4%, in Germania del 10,9%. Come in altre occasioni siamo tra i peggiori.
E lo rimaniamo anche se consideriamo la spesa per la famiglia in euro. Superiamo di poco, questo sì, i Paesi dell’Est con reddito molto inferiore al nostro, ma i nostri 486 euro pro-capite impallidiscono rispetto ai 773 francesi o i 1.203 tedeschi.
Nel Nord Europa e in Germania non c’è stata alcuna austerità, nessun braccino corto con la spesa pubblica, come viene spesso rimproverato, bensì un modo molto diverso di intendere il welfare
Si tratta di dati che fanno il paio con quelli che riguardano altri ambiti del welfare, come la spesa per l’edilizia popolare e l’abitazione, che ci vedono ancora tra gli ultimi (1% sul totale contro il 4% medio nella UE) e un’altra che conosciamo bene, la spesa pensionistica o per la vecchiaia, dove invece risultiamo, come si sa, ai primi posti, subito dopo la Grecia, con il 55,6% del totale destinato a tale scopo, contro il 43,9% medio.
Nel complesso solo il 44,4% della spesa sociale è dedicata a chi ha meno di 65 anni, nella UE è il 56,1%, in Germania il 62,9%, in Irlanda il 67,8%
Queste statistiche, non nuove per nessuno, da un lato dimostrano il fatto che nel Nord Europa e in Germania non c’è stata alcuna austerità, nessun braccino corto con la spesa pubblica, come viene spesso rimproverato, quanto un modo di intendere molto diverso il welfare.
Dall’altro mostrano come il nostro modo di intenderlo invece abbia ben poco a che fare con la programmazione del futuro e molto di più con la soddisfazione di richieste elettorali del momento.
È infatti evidentissimo il legame tra la spesa media per famiglia e minori e il tasso di fertilità. Là dove negli ultimi 10 anni è stata inferiore nascono meno figli per donna, in Italia, in Grecia, in Spagna, in Portogallo, appunto. Mentre è maggiore là dove si arriva intorno al 10% sul totale del welfare.
Naturalmente vi sono altri fattori. È chiaro che nascono più figli là dove, a parità di quota di welfare dedicata alla famiglia, i redditi e l’occupazione femminile sono più alti, ma i sussidi per chi ha figli a carico, i congedi e le indennità parentali, i bonus per gli studi, ecc, hanno un ruolo fondamentale.
Non solo, nel caso italiano sembra esserci anche un effetto politico di questa mancanza di attenzione, di questa latitanza dello Stato nell’assistenza ai giovani genitori, specie quelli in difficoltà.
È facile immaginare che là dove non vi è mai stato un ruolo del pubblico ci si rifugi nelle reti familiari, nella tradizione, diventa consolatorio pensare a un mitico passato in cui “ci si conosceva e ci si aiutava tutti”, la frustrazione per uno Stato lontano si sfoga verso coloro che si pensa attraggano la sua attenzione al posto di coloro che ne avrebbero bisogno. No, non i pensionati, che sono quei nonni irrinunciabili nella cura dei figli, per questo intoccabili, ma gli immigrati, i cui figli “passano davanti “ all’asilo, vista la penuria di posti disponibili.
Ed è anche così che il voto degli over 30-35 diventa così diverso, quasi opposto, a quello dei 20enni, con i partiti della protesta ( nonostante siano al governo) che vedono i consensi impennarsi quando si giunge in quell’età in cui la conciliazione di famiglia e carriera diventa un elemento critico.
Questo succede anche altrove in Europa, ma in particolare in Italia. È accaduto alle politiche del 2018 e alle ultime europee, in cui è emerso come i più insoddisfatti e sfiduciati siano i 35-55 enni, che soffrono uno Stato assente che non riesce ad attenuare la difficoltà di crescere dei figli nel precariato che colpisce molti di loro.
Anche queste sono le conseguenze, probabilmente non preventivate, di una spesa pubblica inefficiente e squilibrata oltre che insufficiente.