Regno (dis)UnitoBoris Johnson, premier per una notte: ecco perché le elezioni si avvicinano (e la Brexit si allontana)

Secondo il Sunday Times sei deputati conservatori sarebbero disposti a passare con i LibDem se Johnson oggi fosse eletto premier del Regno Unito. I Tories in Parlamento hanno una maggioranza di un solo deputato. Con le elezioni la scadenza del 31 ottobre per uscire dall'Ue sarebbe posticipata

TOLGA AKMEN / AFP

Diventerà premier del Regno Unito, ma la Brexit sarà l’ultimo dei suoi problemi. Boris Johnson ha battuto lo sfidante Jeremy Hunt nelle primarie interne del partito conservatore. Il punto non è mai stato se, ma quanto. Perché i 160mila iscritti ai tories, lo 0,4% dell’elettorato, non hanno scelto solo il loro leader ma anche il capo del governo che realizzi finalmente la Brexit, non importa come. E Boris ha promesso di farlo entro la scadenza del 31 ottobre, anche senza un accordo con l’Unione europea. La promessa di un no deal che gli ha fatto vincere le primarie interne è invece un incubo per l’ala moderata del partito e in particolare per alcuni decisivi, deputati conservatori che formano la traballante maggioranza in Parlamento. Non a caso ieri il ministro di Stato per l’Europa Alan Duncan si è dimesso. Il cancelliere dello scacchiere Philip Hammond e il segretario alla giustizia David Gauke hanno promesso di fare lo stesso non appena Johnson entrerà al 10 di Downing street.

L’aspirante premier non avrà problemi a rimpiazzare uno, due o tre ministri, ma sarà più difficile sostituire i sei deputati che secondo il Sunday Times potrebbero passare ai liberaldemocratici. Il salto della quaglia, più elegante nell’inglese cross the floor, sarebbe una mossa letale e renderebbe Johnson re, pardon premier virtuale, solo per una notte. I conservatori hanno solo due deputati di maggioranza alla Camera dei Comuni e presto potrebbe essere solo uno. Il 1 agosto nella circoscrizione gallese del Brecon Radnorshire ci saranno elezioni suppletive perché il deputato eletto lì, Chris Davies è stato condannato per aver prodotto falsi documenti sulle sue spese. Circa il19% degli elettori registrati nel suo collegio elettorale ha firmato una petizione per rimuoverlo ma Davies si è comunque ricandidato lì per i conservatori. Non sarà una passeggiata rivincere. Una piccola, grande grana per la gioiosa macchina da Brexit di Johnson. Senza contare che secondo la Bbc sono almeno 15 i deputati conservatori pronti a ribellarsi contro di lui in attesa del momento migliore per staccare la spina. Gli ultimi sondaggi non sono favorevoli: i laburisti sarebbero in vantaggio con il 25% dei consensi, secondi i conservatori di Johnson al 23%. Al terzo posto il Brexit Party di Nigel Farage al 21% e i liberal democratici al 18%. Proprio i LibDem che fino al 2014 viaggiavano intorno all’8% dei consensi hanno eletto ieri la loro nuova leader Jo Swinson che sul palco ha detto di volersi candidare alla carica di premier del Regno Unito e ha promesso di fare tutto quanto in suo potere per fermare la Brexit.

Johnson farà- di tutto per evitare un finale degno del british humor: dopo tre anni di rinvii, negoziati e incertezza finalmente arriva al potere un premier convinto veramente di voler uscire dall’Ue, ma forse non avrà neanche il tempo di poterlo fare

Poche settimane fa anche il leader dei Labour, Jeremy Corbyn ha chiesto un secondo referendum per sostenere il Remain e quindi per non far uscire il Regno Unito dall’Unione europea. I due partiti potranno formare insieme un’alleanza di governo? Difficile visto che si contendono lo stesso elettorato, hanno politiche economiche opposte, e il sistema maggioritario uninominale inglese disincentiva le alleanze. Se non al governo insieme, in campo si sta comunque formando una potenziale santa alleanza di remainers formata da Labour, LibDem e gli scozzesi dello Scottish National Party, al 4%. Senza contare gli eurofili Greens che i sondaggi danno all’7%. Questi quattro rappresentano il 50% dell’elettorato, mentre una eventuale alleanza di Leavers formata da conservatori e Brexit Party arriverebbe al 46. Ci sono i numeri per chiedere un secondo referendum. E secondo gli ultimi sondaggi: il 51% voterebbe per rimanere mentre solo il 44% per lasciare l’Ue.

Per Johnson poi rimane sempre l’elefante nella stanza. L’unico vero problema che tutti fanno finta di non vedere: il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord. E quel meccanismo di backstop previsto nell’accordo firmato da Theresa May e Commissione europea in caso di no deal. «Nessuno sapeva come raggiungere la Luna. Ma lo hanno fatto e la Gran Bretagna ora ha bisogno di recuperare quello spirito per uscire dall’Unione europea il 31 ottobre» ha scritto Johnson sul Telegraph. Magari bisognerebbe spiegare al futuro premier che gli americani sono atterrati sulla Luna perché prima di lanciare il razzo avevano capito nei minimi dettagli come farlo atterrare spendendo milioni di dollari in almeno otto anni di progettazione. L’obiettivo di Johnson è quello di ridiscutere l’accordo siglato da May con la Commissione europea togliendo la parte sul backstop. La neo presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha promesso una ulteriore proroga oltre il 31 ottobre, nel caso al Regno Unito servisse più tempo, in caso di “motivi validi”. La chiave è tutta in queste due ultime parole. Tradotto: se Johnson toglierà dal tavolo fin da subito l’ipotesi no-deal si potrà creare una trattativa e lavorare sulle sfumature, ma tutto dipenderà dalle prossime mosse del neo premier. Di certo Johnson farà- di tutto per evitare un finale degno del british humor: dopo tre anni di rinvii, negoziati e incertezza finalmente arriva al potere un premier convinto veramente di voler uscire dall’Ue, ma forse non avrà neanche il tempo di poterlo fare.

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