La battaglia di chi salva i migranti contro frontiere e porti chiusi ha ormai una faccia e un nome. Quelli di Carola Rackete, la 31enne capitana tedesca della Sea Watch 3, che ha forzato l’alt della Guardia di Finanza per far sbarcare a Lampedusa i 41 migranti a bordo, nonostante il divieto del governo italiano. Una scelta che le è costata l’arresto e l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ma il suo caso non è l’unico. Negli ultimi anni, diverse ong si sono viste sequestrare le proprie navi e centinaia di attivisti, volontari, medici, giornalisti e cittadini comuni hanno affrontato le conseguenze legali delle loro azioni nelle aule di tribunale di tutta Europa. Dal 2015, secondo la piattaforma Resoma (Research Social Platform on Migration and asylum), almeno 158 persone sono state indagate o processate in almeno 49 diversi procedimenti giudiziari per aver fornito assistenza umanitaria e migranti e rifugiati in 11 Paesi europei. Soprattutto tra Italia e Grecia.
Tra questi, c’è anche Francesca Peirotti, che alcuni hanno già ribattezzato la “Carola italiana”. Trentenne di Cuneo, residente a Marsiglia, è stata condannata dalla Corte d’Appello di Aix En Provence a sei mesi di carcere con la sospensione condizionale della pena per aver aiutato nel 2016 otto migranti ad attraversare il confine di Ventimiglia. E sempre nella stessa area, contadini, insegnanti e pensionati riuniti sotto il nome “Roya Citoyenne”, il colelttivo che offre aiuto ai migranti non appena oltrepassato il confine, hanno ricevuto qualche mese fa le perquisizioni della gendarmerie in tenuta antisommossa subendo più di 24 ore di fermo.
Il report di Resoma parla di una “preoccupante criminalizzazione della solidarietà”, aumentata “drammaticamente” negli ultimi anni: solo nel 2018 i procedimenti giudiziari per azioni umanitarie a favore dei migranti sono stati 24 in sette Paesi, coinvolgendo 104 persone, il doppio rispetto al 2017. E questo nonostante gli sbarchi sulle coste italiane e greche siano diminuiti del 90%. Solo nel primo trimestre del 2019, risultavano aperti 15 casi con 79 persone coinvolte in sei Paesi. E questo numero è destinato a crescere nelle prossime settimane estive, con le ong che hanno ripreso il largo nel Canale di Sicilia e la Libia che sta usando i migranti irregolari come arma di ricatto per l’Europa.
Almeno 158 persone sono state indagate o processate in almeno 49 diversi procedimenti giudiziari per aver fornito assistenza umanitaria e migranti e rifugiati in 11 diversi Paesi europei. Soprattutto tra Italia e Grecia
Dei 49 procedimenti giudiziari avviati, 37 riguardano indagini per aver facilitato l’entrata in un Paese o il transito dei migranti. Altri sei hanno a che fare con l’accusa di aver facilitato la permanenza dei migranti in un territorio (vedi il caso di Mimmo Lucano), e altrettanti coprono capi di imputazione e ipotesi di reato diverse, alcuni con aggravanti come riciclaggio di denaro, appartenenza a organizzazioni criminali, sabotaggio e uso improprio della documentazione.
Le organizzazioni non governative e le associazioni coinvolte sono 16: Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (Anafé), Are you Syrious (AYS), Calais Action, Calais Solidarité, Jugend Rettet, Habitat et Citoyenneté, Open Arms, Médecins Sans Frontières, Mediterranea Saving Humans, Plateforme pour le Service Citoyen, 26 PROEM-AID, Team Humanity, Emergency Response Centre International’s, Roya Citoyenne, Sea Watch, Walking and Borders ngo. La maggior parte concentrate tra Francia, Grecia e Italia.
Al primo posto per numero di persone coinvolte nei processi c’è la Grecia, con 53 tra indagati e imputati. A seguire l’Italia con 38 e la Francia con 31. In Italia, oltre al processo a carico del sindaco di Riace Mimmo Lucano, ci sono le quattro indagini in corso a carico delle ong Mediterranea, Medici senza frontiere, Jugend Rettet e Open Arms. A cui si aggiunge ora il procedimento a carico della Sea Watch. In nessuno dei casi è stata provata la collusione con i trafficanti ipotizzata. E il Il giudice per le indagini preliminari di Catania, Nunzio Sarpietro, lo scorso maggio ha accolto la richiesta di archiviazione della procura per l’inchiesta a carico del comandante della nave umanitaria Open Arms Marc Reig e della capomissione Anabel Montes Mier, accusati di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in seguito al salvataggio di più di duecento persone, il 15 marzo 2018, al largo della Libia. Anche gli altri due casi in cui erano invece coinvolti gli attivisti di Open Arms, a bordo dell’imbarcazione Golfo Azzurro, sono stati archiviati.
Facilitare l’ingresso dei migranti in uno Stato oggi è un crimine “anche senza l’intenzione di ottenere benefici economici” in 24 dei 28 Stati membri dell’Ue, ricorda lo studio
Il monitoraggio effettuato da Resoma sui casi giudiziari finora ha individuato 17 procedimenti che hanno portato alla condanna di 30 cittadini che hanno agito per favorire ricongiungimenti familiari o umanitari in sei Stati membri. La maggior parte di queste condanne, ben 19, è stata pronunciata in Francia, dove cittadini comuni – accademici, contadini, ex soldati – e volontari che hanno aiutato i migranti hanno subito sentenze fino a sette anni di prigione. Compresa la cuneese Francesca Peirotti. Le altre condanne sono state comminate in Croazia, Danimarca (tre), Grecia, Svezia (quattro) e Regno Unito.
Il problema, secondo gli esperti di Resoma, è la vaghezza del cosidetto “Facilitators Package” del 2002, la direttiva comunitaria su ingresso, transito e soggiorno degli irregolari. Nel testo, spiegano, c’è ambiguità sulla distinzione tra la tratta e l’assistenza umanitaria, cosa che consentirebbe agli Stati europei di “criminalizzare” gli attivisti che si impegnano per il rispetto dei diritti umani dei migranti. Facilitare l’ingresso dei migranti in uno Stato oggi è un crimine “anche senza l’intenzione di ottenere benefici economici” in 24 dei 28 Stati membri dell’Ue, ricorda lo studio. Le eccezioni sono Germania, Irlanda, Lussemburgo e Portogallo, dove i benefici finanziari devono essere dimostrati in tribunale.
Ai sensi della direttiva, gli Stati membri oggi possono astenersi dall’applicare sanzioni se l’obiettivo di consentire al migrante in una situazione irregolare di entrare o transitare attraverso il Paese è a fini umanitari. I ricercatori chiedono che i regolamenti siano rivisti in modo che la clausola della “esenzione umanitaria” diventi obbligatoria. Anche l’Agenzia dell’Ue per i diritti fondamentali (Fra) ha avvertito negli ultimi mesi del rischio che la legislazione nazionale degli Stati membri, che spesso non include questa clausola, finisca per penalizzare coloro che forniscono assistenza umanitaria. Non solo. “Il clima di sospetto e di intimidazione in sé ha un effetto raggelante e ha scoraggiato o impedito ad alcuni protagonisti della società civile di operare, mentre altri devono ancora affrontare battaglie legali”, si legge. Volontari, attivisti per i diritti umani, equipaggi di imbarcazioni impegnate nei salvataggi, ma anche cittadini comuni, giornalisti, sindaci ed esponenti religiosi sono finiti nelle carte giudiziarie e nei tribunali di tutta Europa. Molto più dei veri trafficanti di migranti.