Le armi di difesa di Giulio Tremonti sono gli scuotimenti di testa. Le armi di offesa sono le domande retoriche seguite dal silenzio. Parlando della Cina: «ma lei crede che farsi nominare presidente a vita sia un segno di forza o di debolezza?». Suspance. O rimettere la questione sui binari: «Guardi, ricominciamo dall’inizio». Modi di ristabilire una giusta distanza tra l’alto e il basso, l’alto è in genere lui, il basso tutto ciò che considera cretinate. Se gli si domanda della sua imitazione fatta da Corrado Guzzanti risponde: «Quando l’ho vista all’inizio mi incavolavo, non mi piaceva. Ora se la vedo ci rido. Ma rido di più all’imitazione che Crozza fa di Tria».
Tremonti ha diversi nemici politici (Prodi e Monti su tutti) che nomina un po’ a malincuore, senza odio, ma con una puntuta descrizione di fatti che gli danno ragione. Giurista di formazione, ha in sospetto gli economisti. Spesso non a torto. A volte ricambiato.
Si è mitizzato da parte di alcuni l’egocentrismo di Tremonti, che ora presiede l’Aspen Institute e si occupa di politica internazionale. Tre volte ministro dell’Economia e Finanze con Berlusconi in una delle fasi cruciali della storia di questi anni, dalla diffusione dell’euro al disastro del secolo, la crisi del 2008, al “colpo di stato finanziario” (parole sue, ora condivise da molti) che nel 2011 in un fuoco montante di spread ha fermato il governo del Cav. Ora si parla di lui come nome italiano per la Commissione Europea, lui rifiuta di commentare.
Qui si ha l’impressione che l’egocentrismo sia una forma di gelosia. Di fedeltà alle proprie idee, il lavoratore nella vigna (del sapere) che s’incazza se gli entrano tra i filari con i Quad: «Quando sei in quei posti hai il dovere di dire tutto, ma non hai il potere di determinarlo. Ho detto quello che avevo da dire -racconta a Linkiesta-. Il primo errore fu togliere di colpo ai dazi nel 2001. Adesso li vogliono rimettere. Mi fu detto dal presidente della commissione Europea [Prodi, n.d.r] che non capivo nulla della globalizzazione. In realtà capivo, ma pensavo fosse il momento di comprare tempo per le nostre imprese, per difendere il nostro lavoro. Altrimenti ci avrebbero fatto un paiolo così, come in buona parte è stato». Altre proposte inascoltate di Tremonti: la banconota da un euro («vogliamo essere moneta globale, facciamo la banconota da un euro di carta, come c’è il dollaro di carta»); dare un punto di iva all’Africa («e ora ci troviamo con migrazioni difficilmente gestibili»); gli investimenti pubblici da finanziare con gli Eurobond («Mi dissero che sarebbe bastato il mercato, abbiamo visto»).
Siamo a Fano. Tremonti è al festival Passaggi, per presentare il suo ultimo libro, Le tre profezie. Appunti per il futuro (Solferino, Milano, Euro 13, 60). Il lato “profetico” gioca in favore dell’uomo, vox clamans, ed ha a che fare col suo pallino intellettuale: trovare i punti di snodo della storia, i momenti epifanici che cambiano l’angolo di attacco della realtà. Cercare, avrebbe detto un filosofo, il daemonion en pragmati, il destino all’interno dei fatti contingenti.
Le potenze sotterranee sono state evocate. Se c’è un posto dove le parole e i simboli hanno un senso forte, e in certi casi terribile, è la Cina. Qualcuno parla di protezionismo, ma uno che usa la parola protezionismo in questo contesto è un cretino
La prima profezia citata da Tremonti si trova nel Manifesto di Marx ed Engels: “All’antico isolamento nazionale subentrerà una interdipendenza universale”.
«Quando cade il muro, nel ’94 -racconta Tremonti- viene sottoscritto il Wto, Nel ’96 la presidenza Clinton inventa gli strumenti finanziari per far funzionare la globalizzazione. Nel 2001 l’Asia entra nel Wto. Nel 2007 inizia la crisi. Dalla quale non siamo ancora usciti» Cosa è successo?
«Una elite di illuminati, ha pensato di disegnare l’uomo nuovo, e il mondo nuovo. In greco utopia vuol dire appunto “non luogo”, nome perfettamente quadrato. Per 20 anni abbiamo vissuto nella magica illusione della “fine della storia”. Per secoli, la lotta è stata tra imperatore, simbolo del potere politico, e Creso, simbolo del danaro, per venti anni Creso è diventato lui stesso l’imperatore. Anni in cui si pensava: “gli Stati hanno creato i conflitti, il mercato creerà la pace”» E invece a quanto pare è stato così, ma solo per un ventennio, anche dal punto di vista politico: «In nome dell’uomo nuovo e del mondo nuovo si pensava alla possibiltà di superare i confini politici per “esportare la democrazia”, come se questa fosse un hamburger, e non un processo articolato. Gli effetti li abbiamo visti, a partire dalla Jugoslavia fino alla Siria. Ora abbiamo la crisi, che prima era stata finanziaria, ora diventa economica, sociale, e politica. La geografia non è più piana, è tornata complicata come è sempre stata. Un po’ come essere sul Titanic, vai al bar, chiedi un whisky con ghiaccio. E arriva l’iceberg».Il vero iceberg geopolitico è la Cina. «Secondo lei Huawei è un padrone o un prestanome?» chiede Tremonti. Anche in questo caso torna buono Marx: “Lo stregone non potrà più evocare le potenze sotterranee da lui evocate” è scritto nel Manifesto, e nel libro di Tremonti. «Ricordo di avere parlato a lungo con Xi Jinping. Fui invitato per una lezione alla scuola centrale del Partito Comunista, a Pechino. Il giorno dopo mi invitò al presidente della scuola. Non avevo da fare, ci andai con piacere. E con stupore verificai che il presidente della scuola era il vice presidente della Repubblica. Lui. Aveva enorme interesse per la struttura dell’Europa. Ma capivi anche che a fianco c’era il dramma della demografia: le coste sovrappopolate, e le campagne piene di vecchi. Gli parlai di questo, e all’invito di comprare i titoli italiani mi rispose: “Vorremmo diventare un po’ ricchi, prima di diventare troppo vecchi”.
ll conflitto con gli Usa di oggi è una faccenda commerciale? «Guardi, se c’è un posto dove le parole e i simboli hanno un senso forte, e in certi casi terribile, è la Cina. La via della Seta è entrata nella Costituzione. Usano la parola “balzo”. Usano la parola “marcia”. Il tono, e il cinema, sono diventati eroici. Il confronto Cina/Usa, più che commerciale, è geopolitico. Le potenze sotterranee sono state evocate. Qualcuno parla di protezionismo, ma uno che usa la parola protezionismo in questo contesto è un cretino. Perché il protezionismo ha una proiezione solo commerciale. E invece qui è in atto un confronto tra due modelli di civiltà».Non è la prima volta nella Storia che si assiste a un’uscita dai cardini di questa portata. «Questa è la seconda globalizzazione -dice Tremonti-. La prima c’è stata nel Cinquecento, con la scoperta dell’America. Che modifica la struttura dell’Europa: vengono inventate nuove religioni, diverse da quella cattolica romana, perché si devono sfruttare le ricchezze che vengono dagli spazi atlantici. La religione cattolica è troppo chiusa, condanna l’usura. Servono religioni più business friendly. Quando studiavo alle medie sui libri c’era scritto il Re d’Inghilterra fa lo scisma perché vuole sposarsi in seconde nozze. Non è vero. Volevano sfruttare gli spazi atlantici per ragioni commerciali, ed è questo che porta allo scisma, che tra l’altro fu la prima Brexit».
Ecco, la Brexit. La seconda. Tremonti, come fa l’Europa senza Regno Unito? « Con l’anglosfera l’Europa aveva una dimensione non solo continentale, avendo accesso ai mari. Ora, nella lotta tra Usa e Cina, l’Europa nella global room non c’è più. Ti dicono “stiamo al tavolo”, ma il problema è che non ci stiamo come commensali, ci stiamo come menù». Anche se Londra in Europa non c’è mai stata del tutto? È stata sempre un corpo estraneo, a cominciare dalla moneta. E quando lei ha proposto di fare nation building in Europa, gli inglesi si sono opposti. «Vero -risponde Tremonti- Però siamo usciti almeno un po’ dalla crisi anche perché c’era la City di Londra. L’inghilterra a modo suo è sempre stata parte dell’Europa. Lo diceva un sovranista puro come Nietzsche: “Senza l’inghilterra l’Europa non esiste“».
L’Europa ci riempie di sigle, di regole, clamorosa quella sulla normalizzazione dello scarico delle toilette, 120 pagine sui cessi ritirate una settimana prima della Brexit
Appunto, l’Europa. Passiamo a un’altra profezia. Leopardi: “Converrà riprendere il discorso sulle nazioni e sull’Europa. La patria moderna dovrà essere abbastanza grande, ma non tanto che la comunione di interessi non vi si possa trovare, come chi ci volesse dare per patria l’Europa”.
«E guardi che non l’ha scritto un sovranista» commenta Tremonti.
Resta da rilevare che l’idea di patria se la passa male. Da una parte è attaccata da teorici, praticanti (e praticoni) del cosmopolitismo, dall’altra dalle ultime propaggini del marxismo, e da ultimo è esaltata in modo neo-identitario. Tremonti: «La storia recente dell’Europa moderna passa da quattro luoghi. Ventotene, il luogo del Manifesto, l’utopia: solo l’Europa, no agli Stati, che sono causa di guerre e di dittature, anche quelli democratici. Ed è una terrificante e geniale utopia, letteralmente: un non-luogo. Il secondo posto lo conoscono pochi: è Algeri, nel ’43, la grande conferenza sull’Europa. Si confrontano le idee di Churchill e di Roosevelt. Per il primo l’Europa, dopo il massacro, deve essere solo una terra di mercato. Cambierà idea solo dopo, con la Guerra Fredda. Per il secondo l’Europa deve essere anche politica, e chi rappresenta Roosevelt è Jean Monnet, uno dei padri dell’Europa. Si arriva al trattato di Roma del ’57, il luogo più alto della costruzione europea. Lì sei Stati sovrani, legittimati dai loro popoli, fanno nascere una costruzione di incredibile efficacia. Per inciso prima della firma del trattato viene evocata la benedizione di Dio onnipotente. Che a quanto pare ha avuto effetto».Rimane Maastricht. «È tre simboli: la moneta, la piramide, che si rovescia, devolvendo quasi tutto il potere legislativo verso Bruxelles, e infine la vendetta di Spinelli: si realizza a Maastricht un po’ dell’ideologia di Ventotene: l’idea era che gli stati danno i soldi a Bruxelles, Bruxelles li dà direttamente alle Regioni. È una cosa che funziona molto bene (in una logica economica, non politica) in Spagna. Guardate la Catalogna. Ed è una follia per noi: Bruxelles dà i soldi italiani alle Regioni, le Regioni non li spendono e l’Italia finanzia lo sviluppo della Spagna, del Portogallo eccetera. In realtà il trattato è interpretato male in Italia, perché dice: i fondi europei sono a destinazione regionale, ma non a gestione regionale. Una gestione che in Italia è troppo dispersiva. Una volta parlavo con il presidente di un’isola che non è la Sardegna, apre la porta, l’anticamera è piena di gente. E mi dice: “ma sei io spendessi davvero i soldi l’anticamera sarebbe piena o sarebbe vuota?”»
È l’Europa dei senza patria, quella in cui, contrariamente a quanto pensava Konrad Adenauer, si vede la foresta (l’Europa, appunto), ma non si vede l’albero (il singolo Stato). «Pensi agli Usa -continua Tremonti- la bandiera del Wisconsin non la conosce nessuno. Vai a vedere un tavolo europeo con le bandiere. Anche stati che ora hanno meno potere hanno una storia: vedi Portogallo, è stato un impero; guarda l’Austria». E invece a quanto pare l’Europa ci riempie di sigle, di regole (clamorosa quella ricordata da Tremonti, sulla normalizzazione dello scarico delle toilette, 120 pagine sui cessi ritirate una settimana prima della Brexit). «Quando volevo far arrabbiare Prodi gli ricordavo la regola sui passaporti dei furetti, appunto la piramide rovesciata» aggiunge. Per Tremonti la chiave di tutto è nel ridurre le regole e nel proporre iniziative che non siano spiazzanti per le imprese, e alienanti nei confronti dei popoli. E poi «Esercito, sicurezza, intelligence europea. Se vai in un bar e dici che bisogna fare l’unione bancaria gli avventori ti prendono a male parole, se proponi cose pratiche ti capiscono. Forse ti offrono da bere».
Il problema è che l’Europa, fatta così, è costituzionalmente irriformabile o quasi. «Non del tutto -risponde Tremonti- per esempio c’è la proposta che fu fatta in extremis al Regno Unito. Dissero, per evitare il referendum, che l’esclusione unilaterale di tante regole era perfettamente compatibile con la lettera e coi trattati dell’Unione. Ecco, io ripartirei dalla “chiave inglese”, che è proprio questa. È compatibile con la lettera dei trattati? Non l’hanno fatta gli inglesi, usiamola noi. L’idea che ci sia un nucleo essenziale di regole comuni, sui dieci chilometri lineari l’anno di nuove disposizioni che Bruxelles produce ogni anno. Questo e poi Esercito, Intelligence, Sicurezza». Per la felicità dei bar. E meno per quella dei burocracy addicted.
Libra prefigura una società tutta orientata sulla spesa: hai credito per comprare un viaggio, un auto, un bene. Ma distrugge il risparmio
Resta l’ultima profezia, il diabulus in moneta raccontato da Goethe, naturalmente nel Faust: «I biglietti alati voleranno tanto in alto che la fantasia umana per quanto si sforzi mai potrà raggiungerli».
E questa per Tremonti è Libra, la moneta di Facebook. Già scettico sulla finanziarizzazione spinta dell’economia, l’ex ministro stronca la moneta virtuale di Zuckerberg: «Anche sulle banconote di Weimar c’erano i versi del Faust: “abbi fiducia in me. Credi in me”. E si è visto poi come è andata a finire». L’dea di Tremonti è che sia il sogno virtuale che distrugge la ricchezza vera, e anche il risparmio: «in questo momento il sistema delle banche è fatto basato su due pilastri: quello della raccolta (costi) e quello degli impieghi (ricavi).Sulla raccolta c’è una quantità enorme di regole, e sugli impieghi, per la verità, pure. Ma se la finanza elettronica, il big fintech, ti porta via i ricavi ti restano i costi, e salta l’equilibrio di bilancio. E se causi lo squilibrio in una banca metti a rischio il risparmio. La banca è il container del risparmio. E il risparmio è un bene “costituzionale”. Infatti la vecchia Costituzione dice: “La banca tutela il risparmio e regola l’esercizio del credito”. Torno a Libra, che prefigura una società tutta orientata sulla spesa: hai credito per comprare un viaggio, un auto, un bene. Ma distrugge il risparmio». Detto questo e profeta per profeta chiediamo a Tremonti se vede all’orizzonte un’altra crisi.
La risposta è: «La creazione di danaro per mezzo di danaro, e di debito per mezzo di debito, non può durare troppo a lungo. Un conto è un pronto soccorso, un conto è una lunga degenza. Se non si fermano cominceranno a crearlo dal nulla. Quando arrivò la crisi del ’29 Einaudi criticò Keynes, dicendo: “non credo che una crisi possa essere affrontata usando commutatori cartacei (adesso dovresti dire elettronici) della stessa natura di quelli che la crisi hanno causato”. La mia impressione è che la crisi non sia terminata, che non sia stata superata, ma solo sospesa. Come un lungo armistizio. E, come è stato al principio così, ancora l’epicentro non sarà nella finanza pubblica, ma in quella privata. Non saranno gli Stati a crearla, sarà nel mondo finanziario. I debiti pubblici sono stati, finora, la medicina».
Dal daemonion en pragmati è tutto.