Per ogni cittadino, sospettato o incriminato, a qualsiasi latitudine, dovrebbero valere regole elementari del diritto, l’onore della prova e la presunzione d’innocenza. Le regole del diritto dovrebbero valere anche per l’uomo politico, ma con una variante, un codicillo non scritto, che mette il politico di fronte a una questione di opportunità nell’interesse del proprio Paese e gli impone un dovere di trasparenza e chiarezza. Coincidenza vuole che oggi una problematica del genere sarà posta all’opinione pubblica sia a Washington sia a Roma, che il focus del problema saranno in entrambi i casi l’ambiguità e la correttezza di rapporti con Mosca, i presunti finanziamenti e ingerenze, gli eventuali favori elettorali presumibilmente proposti in cambio di una diversa attenzione politico/diplomatica nell’interesse del Cremlino. E coincidenza delle coincidenze, il procuratore Müller potrà raccontare alla Camera i risultati della sua inchiesta, senza potere rispondere a domande sul presidente Donald Trump, mentre il nostro premier Giuseppe Conte dovrà presentare al Senato un rapporto sul comportamento del suo vice premier, nonché ministro degli Interni (!) Matteo Salvini, pur essendo inimmaginabile una sorta di suicidio politico o di j’accuse nei confronti del Capitano.
Anche le risultanze formali dell’inchiesta della giustizia americana e di quella avviata dalla magistratura italiana presentano punti di contatto. Bob Müller ha concluso che il Cremlino ha sicuramente tentato di condizionare i risultati delle elezioni americane, danneggiando Hillary Clinton e indirettamente favorendo Trump, ma che non c’è la prova regina del coinvolgimento diretto di The Donald. In Italia, la magistratura ha sicuramente in mano molti dettagli sugli incontri all’Hotel Metropol di Mosca fra uomini di Salvini, sul tentativo di ottenere finanziamenti alla Lega, sia sui contatti di esponenti leghisti, e dello stesso Salvini, con il Cremlino e con lo stesso Putin, nella sfera di rapporti diplomatici e strategici che vedono la Russia sostenere partiti e movimenti sovranisti in Europa. Ma non c’è ad oggi una prova regina di corruzione internazionale e di finanziamento illecito. Ci sono solo le smentite.
Quanto ci si può fidare di un uomo politico che non intende nemmeno spiegare il proprio operato nelle sedi più opportune?
Ultima coincidenza, non di poco conto, sia Trump sia Salvini, i maestri twittatori (ma Wagner e Norimberga non c’entrano) liquidano la faccenda come una balla spaziale, come un maldestro tentativo di delegittimazione messo in atto dalla stampa ostile e dalle opposizioni cui non è nemmeno necessario rispondere in modo argomentato, pubblico, istituzionale. Né vale nei loro confronti il richiamo al rispetto almeno dell’opinione pubblica, dal momento che sia i cittadini americani sia i cittadini italiani in maggioranza non si sentono minimamente turbati dal presunto scandalo e nemmeno dai rischi che potrebbero correre se il Paese mettesse in discussione la propria collocazione internazionale o se la politica interna potesse essere condizionata dall’esterno. Qui si può notare una differenza sostanziale. Gli Stati Uniti hanno sempre tentato di condizionare amici e alleati. L’Italia (storicamente) si è fatta spesso condizionare da amici e persino da presunti avversari.
Resta tuttavia la questione del codicillo, se non per l’oggi e per la macchina giudiziaria, almeno per la storia che, prima o poi giudicherà. Quanto ci si può fidare di un uomo politico che non intende nemmeno spiegare il proprio operato nelle sedi più opportune? Quanto pesano i reiterati sospetti, vogliamo concedere persino le calunnie, se l’opinione pubblica non può farsi un’idea corretta ed esaustiva di come stanno le cose? Al politico si concede, come a tutti, la presunzione di innocenza, ma opportunità politica vuole che si spieghi e, in un’ultima analisi, si faccia da parte per una questione di opportunità. Del resto, quante dimissioni sono state reclamate e in qualche caso ottenute nella storia recente, a prescindere dalla presunzione di innocenza? Certo non bastano gli hackeraggi nel comitato elettorale della Clinton né le fotografie del Capitano in felpa sulla piazza Rossa a formulare una sentenza definitiva. Ma, come diceva Andreotti, a pensare male si fa peccato, ma qualche volta ci si azzecca. E siccome nessuno spiega, i cittadini credono a tutto e al contrario di tutto, secondo l’altra regola non scritta della giustizia ideologica.