A Como, Brescia, Larino e Taranto vivono due detenuti dove in realtà ci sarebbe posto per uno solo. E in un terzo delle carceri non sono garantiti i tre metri quadri per detenuto stabiliti dalla Cassazione. L’ultimo rapporto dell’associazione “Antigone” mostra come le carceri italiane siano le più sovraffollate dell’Unione europea. E i dati forniti dal ministero della Giustizia, con i 50.496 posti disponibili certificati, sono falsati, non tenendo conto delle sezioni chiuse per ristrutturazioni e calcolando 9 metri quadri per detenuto. Secondo il Garante nazionale delle persone private della libertà, in effetti, alla capienza attuale del sistema penitenziario italiano vanno sottratti almeno 3mila posti non agibili, molti chiusi da anni in attesa di lavori.
Al 30 giugno 2019, i detenuti nelle carceri italiane erano 60.522, vale a dire 1.763 in più in un anno. Se questa progressione dovesse continuare, dicono da Antigone, nel giro di quattro anni ci ritroveremo nella stessa situazione che produsse la condanna da parte della Corte europea dei diritti umani del 2013. Ad oggi il tasso di sovraffollamento, pari al 119,8%, ci vede al primo posto in Europa, seguiti da Ungheria e Francia. Né, come stabilito dalla Corte europea, vengono garantite adeguate attività fuori dalla cella in assenza di spazio sufficiente dentro le sbarre. «In molti istituti assistiamo a ingiustificate chiusure e a una progressiva dismissione del progetto della sorveglianza dinamica», si legge nel rapporto. Da Nord a Sud, in quasi la metà delle strutture la vita in carcere finisce per coincidere con la vita nelle celle, che a loro volta sono troppo affollate per garantire la possibilità di movimento. Nel 44% delle carceri visitate, non tutte le celle sono aperte almeno otto ore al giorno e nel 31% dei casi i detenuti non possono mai muoversi in autonomia.
Nel 44% delle carceri visitate, non tutte le celle sono aperte almeno otto ore al giorno e nel 31% dei casi i detenuti non possono mai muoversi in autonomia
Scarseggiano gli spazi verdi dove incontrare figli e parenti. In oltre il 10% dei casi il carcere non è raggiunto dai mezzi pubblici. E nel 65,6% delle carceri non è possibile nemmeno avere contatti con i familiari via Skype, nonostante la stessa amministrazione e la legge lo prevedano. Le attività scolastiche, poi, sono ormai ridotte al lumicino. Circa 100 persone detenute nella casa circondariale di Rebibbia non potranno frequentare alcun corso scolastico a causa di un insufficiente numero di classi rispetto alle domande di iscrizione. E nella provincia di Cosenza oltre 300 detenuti fatto invano richiesta di partecipazione alle attività scolastiche. «Ciò vuol dire che quelle persone detenute resteranno con ogni probabilità a oziare in cella», spiegano da Antigone. Questo nonostante nell’ordinamento penitenziario, riformato nello scorso ottobre dall’attuale Parlamento, si legge che “sono agevolati la frequenza e il compimento degli studi universitari e tecnici superiori, anche attraverso convenzioni e protocolli d’intesa con istituzioni universitarie e con istituti di formazione tecnica superiore”.
Altra nota dolente: il lavoro in carcere. Le strutture che collaborano con aziende private sono solo l’1,8%. E nel 28% degli istituti non ci sono altri datori di lavoro oltre l’amministrazione penitenziaria. Anche la formazione professionale non vede numeri migliori: nel 2019 i detenuti coinvolti nei corsi di formazione sono appena il 7,8% dei presenti, mentre ben nel 28% degli istituti visitati non è presente alcun corso di formazione.
Senza dimenticare che in carcere «si muore troppo». Dei 94 detenuti morti nei primi sei mesi del 2019, i suicidi sono stati 26. E in alcune carceri si muore più che in altre. Ben sei i morti nel carcere napoletano di Poggioreale dall’inizio dell’anno, di cui quattro nell’ultimo mese. E poi due a Taranto, Genova Marassi e Milano San Vittore.
Se nel 2003 su ogni cento stranieri residenti regolarmente in Italia l’1,16% degli stessi finiva in carcere, oggi la percentuale è scesa allo 0,36%
Quanto agli ingressi in carcere, nel primo trimestre del 2019 si conferma una tendenza alla diminuzione. E – contrariamente agli allarmi lanciati sui crimini compiuti dagli stranieri – si registra invece una riduzione degli ingressi di detenuti immigrati dal 42,1% dei primi sei mesi del 2018 ai 41,1% dello stesso periodo di quest’anno. I detenuti stranieri oggi sono il 33,42% della popolazione reclusa. Erano il 33,95% sei mesi fa e il 35,19% sei anni fa. Se nel 2003 su ogni cento stranieri residenti regolarmente in Italia l’1,16% degli stessi finiva in carcere, oggi la percentuale è scesa allo 0,36%.
Nonostante i nuovi ingressi siano di meno, i detenuti però continuano a crescere, soprattutto a causa dell’aumento della durata delle pene inflitte. Ad oggi, il 43,5% delle persone presenti in carcere è stato condannato a una pena tra i cinque e i 20 anni, mentre solo il 4,4% sta scontando una pena breve. Gli ergastolani sono passati dai 1.707 della metà del 2017 (di cui 97 stranieri), ai 1.726 del 30 giugno 2018 (98 gli stranieri), ai 1.776 di oggi (110 gli stranieri). Il 35% del detenuti ha un’imputazione per violazione della legge sulle droghe che, in alcuni casi, si somma ad altri reati. Il 55% è in carcere per reati contro il patrimonio. Il 40,5% per reati contro la persona.
Ma oltre uno su tre (31,5%) è in carcere in custodia cautelare, senza una condanna definitiva. Un dato in decrescita rispetto a un anno fa, quando la percentuale era al 33,5%. Ma ancora troppo alto: nell’area della Ue solo Belgio e Danimarca hanno percentuali più alte. Risultato: il 15,8% dei detenuti è in carcere in attesa del primo giudizio.
Una cifra che salta all’occhio è anche quella relativa al luogo di nascita dei detenuti. Il 44% del totale proviene per nascita da Campania, Puglia, Sicilia e Calabria. Se sommiamo gli stranieri e i detenuti provenienti dalle quattro regioni meridionali, siamo al 77% del totale dei detenuti. Se aggiungiamo anche i detenuti provenienti da Sardegna, Basilicata, Abruzzo e Molise, si supera l’80%. Tutto il resto del Paese, tendenzialmente più ricco, produce un quinto della popolazione detenuta, pur costituendo circa i due terzi dell’“Italia libera”. Un dato che rivela quanto la condizione socio-economica incida sui percorsi criminali.
Oltre mille detenuti sono analfabeti, di cui ben 350 italiani: in Italia gli analfabeti sono lo 0,8%, in carcere la percentuale raddoppia. I laureati sono poco più dell’1% (698). «Investire sull’educazione e sul welfare costituisce una forma straordinaria di prevenzione criminale», si legge nel rapporto. «Nei tempi brevi non produce consenso. Nei tempi lunghi produce sicurezza».
Il tasso di detenzione in Italia è esattamente nella media europea, mentre il tasso di criminalità è sotto la media
La soluzione trovata dal governo gialloverde, per avere nuovi posti disponibili e combattere il sovraffollamento delle carceri, è la conversione delle caserme in disuso, come previsto dal decreto semplificazioni. Il problema, dicono da Antigone, sono i pochi spiccioli messi nel progetto che rendono la proposta irrealizzabile. A disposizione ci sarebbero circa 20 milioni derivanti dalla legge di bilancio del 2019 e una quota non specificata di 10 milioni derivanti dal Fondo per l’attuazione della riforma dell’ordinamento penitenziario. Se si considera che il Piano Carceri del 2010 aveva uno stanziamento di circa 460 milioni di euro e che alla fine del 2014 ne sono stati spesi circa 52 per la realizzazione di 4.400 posti, i 30 milioni in due anni sembrano del tutto insufficienti.
E, spazi a parte, la domanda che si pongono è: “Ci sono anche le risorse per rafforzare il personale e le opportunità trattamentali senza le quali questi posti in più servirebbero solo a “stoccare” più detenuti?”. La risposta è: “Temiamo di no”. Il tasso di detenzione in Italia è esattamente nella media europea, mentre il tasso di criminalità è sotto la media. Abbiamo però molti detenuti in custodia cautelare e molti tra i definitivi sono prossimi al fine pena. «Non sarebbe meglio avviare per costoro un accompagnamento all’esterno con una misura alternativa, anziché scaraventarli direttamente in mezzo alla strada? E non sarebbe meglio contenere il ricorso alla custodia cautelare per i presunti innocenti? Soluzioni, più rapide, meno costose e più rispettose del dettato costituzionale».