Manovre transatlantichePiù Nato e meno Russia: ecco perché Von der Leyen stanerà Trump (e Salvini rimarrà senza protezione)

La neo presidente della Commissione europea è favorevole a rafforzare l'esercito europeo ma dentro la cornice della Nato. Il suo atteggiamento duro verso la Russia piace ai sovranisti del centro-est Europa e toglierebbe tutti gli alibi a Trump che ha già scaricato Salvini

FREDERICK FLORIN / AFP

L’hanno definita Lady Austerity, hanno raccontato la sua infanzia a Bruxelles, i nove figli e il forte europeismo. Ma c’è un punto sottovalutato del curriculum di Ursula von der Leyen che invece spiega perché è stata eletta presidente della Commissione europea. E non c’entra l’essere la prima donna a ricoprire quel ruolo. Eppure è la prima cosa che appare nel suo curriculum: negli ultimi sei anni è stata ministra della difesa tedesca, una delle più forti sostenitrici della Nato e allo stesso tempo ha voluto implementare la cooperazione strutturata permanente in tema di difesa europea, la Pesco. Il suo ultra atlantismo sembra la soluzione perfetta per risolvere il cul de sac in cui è finita la Nato, il suo atteggiamento duro verso la Russia piace ai sovranisti del centro ed est Europa e toglierà qualsiasi alibi all’amministrazione americana. Ci sono alcuni punti su cui andrà poco d’accordo col presidente degli Stati Uniti ma Von der Leyen è la politica che più di tutti può stabilire un rapporto franco, diretto e atlantista con Donald Trump. La neo commissaria ha già stanato Trump un anno fa: «Il presidente non ha una strategia riconoscibile nell’approccio con la Russia», ha detto, aggiungendo che la sua posizione sul tema è «Immatura». Allacciate le cinture perché rispetto a Jean-Claude Juncker, impalpabile nella dialettica con Trump e Russia, si faranno molti passi in avanti. Ci sono pezzi di establishment al di là dell’Atlantico che guardano con favore all’arrivo di VdL alla Commissione europea per rinsaldare la Nato in funzione anti russa e costringere il presidente allentare il suo rapporto speciale col Cremlino.

Un po’ meno felice è la Lega di Matteo Salvini, carne da cannone per i sovranisti del Centro-Est Europa, che l’hanno usato per bocciare Timmermans e far nominare dal Consiglio europeo una commissaria ultra-transatlantica e anti russa. Il leader della Lega voleva adottare la stessa strategia di Berlusconi e Renzi, con sfumature diverse. Cioè essere atlantista ma avvicinare il più possibile la Russia al mondo occidentale. Ovvero realizzare il peggiore incubo per i sovranisti ungheresi e polacchi che hanno sempre visto in Mosca un pericolo concreto. Ricordatelo a chi pensa che sia facile allearsi tra sovranisti. Per avere i piedi in due staffe bisogna avere un po’ di scaltrezza politica e il gioco sembra sfuggito di mano. Non si può stare contemporaneamente con Washington e Mosca. Berlusconi riuscì a far stringere la mano a Putin e Bush a Pratica di Mare nel 2002 grazie a rapporti personali, ma fu una goccia nel fiume della storia. Renzi tentò più volte di far togliere all’Ue le sanzioni nei confronti di Mosca ma quando Putin tentò di coinvolgere Eni sulla questione del gasdotto North Stream 2 che collegherà Russia e Germania attraverso il Mar Baltico, ci furono pressioni da Washington e il rapporto tra i due si raffreddò. Dopo le presunte accuse di finanziamenti da Mosca, Salvini potrebbe ritrovarsi presto con una commissione speciale del Parlamento europeo a indagare sul caso, come ha proposto l’eurodeputato Pd Carlo Calenda. Non il miglior aiuto per diventare presidente del Consiglio. Specialmente se Trump, accontentato sui finanziamenti alla Nato e costretto a essere sempre più anti russo, non garantisse più il suo “ombrello politico” al leader della Lega.

Vogliamo rimanere transatlantici, ma vogliamo anche diventare più europei


Ursula von der Leyen

Chiariamo un equivoco: Ursula von der Leyen ha appoggiato fin da subito la Pesco, ma non ha mai parlato di un esercito europeo unico. Anzi, ha sempre sostenuto che i singoli Stati Ue dovrebbero continuare a essere responsabili delle proprie forze armate, ma intervenendo uniti insieme in un unico blocco quando è necessario. Anche superando il requisito dell’unanimità in politica estera. Più che esercito europeo Von der Leyen ha sempre parlato di un “esercito di europei”. La sfumatura non è irrilevante, perché se si parla di una stretta cooperazione in materia di armi, equipaggiamento e coordinamento delle missioni è più facile far coesistere la difesa europea all’interno dello schema Nato. «Vogliamo rimanere transatlantici, ma vogliamo anche diventare più europei» è il motto per capire la sua politica estera. In tempi non sospetti, Von der Leyen pubblicò sul New York Times un elogio sperticato per il patto atlantico: «La Nato non è un’organizzazione transatlantica solo di nome. Rappresenta un legame speciale, anche emotivo tra i continenti americano ed europeo. Se i membri dell’Unione Europea riusciranno ad armonizzare la loro pianificazione della difesa e gli appalti militari, e intrecciando le loro forze armate, tutto ciò aggiungerà forza alla Nato. E una Nato più forte servirà gli interessi di sicurezza di tutti i membri. Soprattutto, manderà un chiaro segnale a coloro che si oppongono all’ordine internazionale basato sulle regole: noi alleati transatlantici siamo pronti e disposti a difendere la nostra terra, il nostro popolo e la nostra libertà».

Fin dalla campagna elettorale per le presidenziali Trump ha attaccato i partner europei perché spendevano poco per il budget della Nato, al contrario degli Stati Uniti, il maggior finanziatore. Ed è sempre stato ostile all’idea di un esercito europeo così come lo immaginava il presidente francese Emmanuel Macron. Per la prima volta Trump si trova con una presidente della Commissione che è d’accordo con lui su questo tema. Non a caso da quando è diventata ministro della difesa tedesca nel 2013 il budget del suo ministero è aumentato del 36%. La Germania è il secondo più grande contributore di truppe alla Nato e guida la Very High Readiness, una task force congiunta capace di essere schierata in qualsiasi parte del mondo entro due giorni. Trump non avrebbe così tanto da lamentarsi. «Rispetto a Juncker, Von der Leyen ha il vantaggio di arrivare a tre anni dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca, per cui oggi conosciamo meglio il suo gioco rispetto a quanto potessimo conoscerlo tre anni fa. Ciò significa che in teoria dovrebbe essere in grado di formulare risposte migliori, e anche in alcuni casi di svelare il suo bluff» spiega Annalisa Perteghella, dell’Ispi. Allacciate le cinture.

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