Climate deadDeserto, migrazioni, guerre per l’acqua: la prossima Africa siamo noi

I cambiamenti climatici cambieranno gli schemi geopolitici e ambientali, ponendo le basi di derive che definire pericolose è dir poco. Flussi migratori, mutazioni territoriali e conflitti per le risorse saranno all'ordine del giorno. E il problema, adesso, riguarda anche l’Europa, Italia compresa

Ormai non è più un segreto: il cambiamento climatico sta inesorabilmente consumando il pianeta, piegando l’umanità a un principio eterno quanto spietato, quello della sopravvivenza. E sia chiaro: l’esclusiva del continente africano e dei Paesi in via di sviluppo si è esaurita. Il problema, adesso, riguarda anche l’Europa, Italia compresa. Desertificazione dei territori, esaurimento delle risorse idriche e inaridimento del sottosuolo sono soltanto il preludio di un effetto cascata che lentamente – ma mai improvviso come in questa estate – cambierà gli schemi geopolitici e ambientali, ponendo le basi di derive che definire pericolose è dir poco.

Il riscaldamento globale farà aumentare la siccità e le precipitazione in tutto il mondo, inscenando incendi e inondazioni, ma soprattutto dando adito alla mutazione delle colture agricole minando alla sicurezza delle forniture alimentari. Secondo il rapporto “Cambiamento climatico e territorio” del comitato scientifico dell’Onu sul clima, l’Ipcc, a pagarne le conseguenze saranno soprattutto le popolazioni più povere di Africa e Asia. «Ci sarà un effetto domino. Perché la popolazione coinvolta in questi fenomeni passerà da 178 milioni, nello scenario di un innalzamento di 1,5 gradi, a 220 milioni, con un +2, fino a 277 milioni nel caso di una crescita di 3 gradi», afferma Lucia Perugini, ricercatrice del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici.

Nel caso ci fossero ancora perplessità, le trame che divorano il cuore nero del mondo sono interconnesse da fili sempre più spessi con l’Europa, e in particolare con la zona mediterranea. Nel 2050 il numero dei profughi potrebbe raggiungere i 143 milioni, 86 dei quali, secondo un report della Banca Mondiale, saranno originari dell’Africa Sub-sahariana, a causa della stringente morsa della siccità, delle carestie cicliche e del depauperamento del suolo.

La logica porta a pensare a un esodo di massa, il passato più recente, invece, a scenari strazianti. Sempre più migranti saranno migranti climatici che, come una goccia di troppo, faranno rovesciare un vaso già di per sé precario

La questione ambientale, nondimeno, accende sempre più spesso conflitti tra gli Stati, pronti a tutto per aggiudicarsi la proprietà di risorse naturali come l’acqua (secondo le Nazioni Unite, almeno il 40% dei conflitti combattuti in Africa è dovuto al domino di fonti di prima necessità). «Il cambiamento climatico impatta su tutte le aree globali. La regione mediterranea, però si potrebbe considerare un hotspot, in cui i cambiamenti hanno già trovato riscontro in lunghi periodi di siccità. Questi fenomeni possono solo che aumentare, creando un’instabilità a livello di popolazioni non solo nelle zone più vulnerabili come quella subsahariana e asiatica», spiega Perugini.

La logica porta a pensare a un esodo di massa, il passato più recente, invece, a scenari strazianti. Sempre più migranti saranno migranti climatici che, come una goccia di troppo, faranno rovesciare un vaso già di per sé precario. Paesi mediterranei, come l’Italia, saranno attori principali di questa escalation sociale, culturale e politica, nella quale non si potrà far fede su giustificazione alcuna in grado di esimere dal mutuo soccorso.

Mutuo soccorso che in gergo non sono nient’altro che gli Aps, ovvero gli Aiuti pubblici allo sviluppo. Questi fondi sono stanziati per i progetti nei Paesi in via di sviluppo, nell’ottica acerba di un aiuto preventivo a quello dei salvataggi in mare. Nei dialetti pentaleghisti, potremmo definire questo strumento il cosiddetto “aiutiamoli a casa loro. Ora, se l’emorragia migratoria può essere cauterizzata è grazie a interventi mirati per risanare l’humus sociale, agricolo e ambientale dei Paesi di cui sopra, non tagliando 860 milioni di euro dal bilancio Aps.

Il governo gialloverde, difatti, secondo i dati dell’Ocse, ha fatto scendere la quota degli aiuti (a casa loro) allo 0.24%, ovvero il 21.3% in meno rispetto al 2017 e alla soglia minima prevista. Il crollo del sistema del sostegno a domicilio, prima del previsto, avrà ripercussioni anche sul tentativo di ostruzione dei flussi migratori.

Un quinto del territorio italiano potrebbe trasformarsi in un deserto nel giro di qualche decennio. La causa è ascrivibile soprattutto ai cambiamenti climatici e basta analizzare il primo quadrimestre del 2019, secondo gli esperti uno dei periodi più aridi della nostra storia, per capire la gravità della situazione

Non ci sarà messa al bando che tenga, in vista anche di un riscaldamento globale in crescendo. L’Ipcc infatti avverte che con un riscaldamento globale a 1,5 gradi dai livelli pre-industriali (l’obiettivo più ambizioso dell’Accordo di Parigi sul clima del 2015), vengono valutati “alti” i rischi da scarsità d’acqua, incendi, degrado del permafrost e instabilità nella fornitura di cibo. Ma se il cambiamento climatico raggiungerà o supererà i 2 gradi (l’obiettivo minimo di Parigi), i rischi saranno “molto alti”. Anche per il Bel Paese.

Come riporta la Coldiretti, un quinto del territorio italiano potrebbe infatti trasformarsi in un deserto nel giro di qualche decennio. La causa è ascrivibile soprattutto ai cambiamenti climatici e basta analizzare il primo quadrimestre del 2019, secondo gli esperti uno dei periodi più aridi della nostra storia, per capire la gravità della situazione. Un fattore che graverà anche sui bilanci agricoli, con i fattori di gestione del suolo e della nostra alimentazione che avranno un ruolo centrale nel mitigarne gli effetti.

«Questa spirale si può arginare con due azioni principali: una è il pieno impegno, da parte dell’individuo e in particolare dei governi, in una transizione verso economie a basse emissione di carbonio così da mitigare gli aumenti delle temperature; in secondo luogo, costatando un processo di cambiamento climatico già in corso, ci deve essere un’azione di adattamento, cambiando pratiche agricole e fruizione delle risorse idriche. Tutto ciò naturalmente potrà contribuire a rallentare i fenomeni migratori e soprattutto a migliorare le condizioni di vita di molte persone», conclude la ricercatrice.

Il concetto è molto semplice: in circa due secoli di fomentata produzione industriale, l’uomo mai avrebbe pensato di dover fare i conti con la desertificazione di aree come quella del Po. Il danno oramai è fatto, e continuando a strizzare fino al midollo le risorse a disposizione, chi più, chi meno, lascerà in eredità un grattacielo in fiamme, dove a ogni piano si leggerà il fallimento di una specie. E dove, d’incanto per i populisti, Italia e Africa non saranno poi così distanti.

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