Brexit e altri disastriFallimento Brexit, il tour in Europa di Boris Johnson è un flop clamoroso

Il tour del premier del Regno Unito in Francia e Germania per sbloccare lo stallo della Brexit si è rivelato un buco nell'acqua. Sia Angela Merkel che Emmanuel Macron lo hanno messo con le spalle al muro chiedendo a lui di trovare una soluzione o il Regno Unito uscirà dall'Ue senza un accordo

La Brexit è diventato un cerino e Boris Johnson se l’è ritrovato in mano. Il tour di due giorni del premier del Regno Unito a Berlino e Parigi non ha spostato di un centimetro la trattativa per uscire dall’Unione europea. Anche se con sfumature diverse, il messaggio di Angela Merkel e di Emmanuel Macron è stato chiaro: l’accordo firmato dall’ex premier Theresa May con la Commissione europea per regolare l’uscita di Londra dall’Ue non si cambia, a meno che il governo inglese non trovi una soluzione che faccia tutti felici. L’unico modo per non dare alibi al premier del Regno Unito che accusa la Commissione europea di essere intransigente nel non voler cambiare l’accordo bocciato già tre volte dal Parlamento inglese. La due giorni di Johnson nel Continente è stata pianificata per scavalcare con un gesto politico e mediatico Michel Barnier. Da settimane il capo negoziatore della Commissione europea rifiuta la proposta del premier britannico di togliere dal negoziato il backstop, il meccanismo che eviterebbe il ritorno delle dogane tra Irlanda e Irlanda del Nord. L’Unione europea lo considera un requisito fondamentale per evitare il ritorno alla stagione del terrorismo che ha provocato morti e feriti tra le due nazioni. Essere parte della stessa Unione ha sopito conflitti che potrebbero rinascere. I brexiter invece vorrebbero eliminare il backstop per non rimanere legati in alcun modo con l’Ue e le sue regole commerciali. Con una parte rilevante del suo territorio legato all’Unione, Londra non potrebbe siglare accordi commerciali in modo libero e indipendente. Lo stallo dell’ultimo anno è tutto qui.

Per questo l’obiettivo di Johnson era trovare in due incontri bilaterali con Francia e Germania quello che non è finora riuscito a ottenere da Bruxelles: uno spiraglio. Ma la visita del premier a Berlino e Parigi è sembrato l’ennesimo spot della perenne campagna elettorale interna più che un incontro decisivo per raggiungere un accordo. C’è una foto che ritrae Johnson mentre, stravaccato sulla sedia, appoggia il piede sul tavolino che lo divide dal presidente francese. Un’immagine da cinegiornale a uso e consumo dell’inglese brexiter medio che cerca nella maleducazione e rottura dell’etichetta istituzionale quella sovranità che da 3 anni il Regno Unito non ha il coraggio di prendersi dall’Unione europea. I due incontri con Francia e Germania hanno dimostrato che neanche il più brexiter dei brexiter può cambiare la realtà: l’accordo con l’Unione europea senza il backstop non si può fare.

I due incontri con Francia e Germania hanno dimostrato che neanche il più brexiter dei brexiter può cambiare la realtà: l’accordo con l’Unione europea senza il backstop non si può fare.

Eppure Johnson ha vinto le primarie del partito conservatore ed è diventato premier del Regno Unito promettendo di avere la ricetta magica per risolvere la situazione. Secondo l’ex sindaco di Londra il problema non era il merito, ma il metodo troppo blando e accondiscendente di May. Serviva una strategia diversa e allora Johnson ha applicato alla lettera il manuale del perfetto sovranista: “The art of the deal” di Donald Trump. Ovvero alzare la posta in gioco, assumere una posizione intransigente per far cedere la controparte ad accettare le proprie condizioni. Ecco perché fin dal primo giorno Johnson ha garantito che il Regno Unito uscirà dall’Unione europea il 31 ottobre con o senza accordo. Si aspettava che la Commissione europea cedesse per evitare che tutti si facessero del male. Per ora non è successo. Ancora ieri Barnier dopo un incontro con il premier olandese Mark Rutte ha ribadito la posizione dell’Ue: “Analizzeremo proposte realistiche e operative compatibili con i nostri principi”. Il premier inglese continua a dire che esistono tanti modi per superare il problema del backstop usando la tecnologia e il buon senso ma non ha ancora spiegato quali. E ieri a Devon ha preparato il popolo inglese alla peggiore delle ipotesi: «Voglio solo dire agli inglesi che non dovranno stupirsi o innervosirsi in caso di una uscita senza accordo. Dovremo lavorare tanto per raggiungere questo accordo».

Johnson ha perso la sua prima vera battaglia ma è ancora convinto di vincere la guerra all’ultimo minuto. Il suo è il più classico dei chicken game, un gioco letale in cui non si sa mai se uno dei due cederà per evitare di far male a entrambi. Ma il premier sa punto è che non è certo di riuscire nella sua impresa. Domenica scorsa il Times ha rivelato l’esistenza di un documento segreto del governo denominato Operation Yellohammer, ovvero operazione martello giallo, come i capelli di Boris. Il rapporto descrive uno scenario terribile in caso di no deal. Il Regno Unito rischia di essere retrocesso a paese terzo dal punto di vista commerciale, uscendo dal ristretto club dei Paesi più importanti del mondo e nel breve periodo ci sarebbe scarsità di cibo, medicine, carburante. Non è un caso che il governo inglese stia preparando una massiccia campagna pubblicitaria per abituare i sudditi di Sua Maestà all’ipotesi di un no deal. Il premier è un prigioniero consapevole della sindrome di Don Chisciotte: deve andare contro i mulini a vento che ha dipinto agli inglesi come dei giganti cattivi. Non può arrestare la sua corsa perché questa narrazione è il motivo per cui è riuscito ad arrivare a Downing Street. Non serve aver letto l’opera di Cervantes per capire come andrà a finire. Bisognerà solo capire chi si farà più male.

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