Per tre ore e un quarto non ha pronunciato una parola. Luigi Di Maio è stato lo spettatore impotente della crisi andata in scena ieri al Senato. Il progetto politico gialloverde che ha voluto, creato e difeso fino all’ultimo respiro è morto sotto le picconate di diritto costituzionale date da Giuseppe Conte contro Matteo Salvini. Il capo politico del Movimento Cinque Stelle è rimasto impassibile e ha assistito con un certo masochismo allo show del presidente del Consiglio. Lo ha fatto come un bambino che dopo aver spaccato la finestra col pallone, in silenzio guarda sorridendo il papà che se la prende con il fratello maggiore. Ma non sa che entrambi andranno in castigo. Perché il segretario del Partito democratico Nicola Zingaretti ha fatto capire che vuole la testa di Di Maio, o meglio il suo ministero, per dare il via libera a un governo istituzionale con il Movimento Cinque Stelle.
In meno di due settimane il capo politico del M5S ha perso tutto quello per cui aveva lottato negli ultimi 14 mesi. E lo ha fatto senza poter incidere in alcun passaggio di questa crisi. Non aveva previsto l’annuncio di Salvini, non ha saputo e forse non ha voluto adottare contromosse particolari, limitandosi a scrivere alcuni post piccati dal sapore tardo adolescenziale: «A Salvini ormai non voglio neanche dire ciao». L’unica stella polare della strategia di Di Maio è stata fin da subito il taglio dei parlamentari. Una trincea politica per vincere almeno una battaglia identitaria e non essere ricordato come il leader che ha rinnegato tutti i totem del Movimento. Una mossa utile per spostare la fine della legislatura un po’ più in là. Fino all’ultimo la speranza è stata quella di ricucire con Salvini, ma il controllo del Movimento gli è sfuggito dalle mani. L’iniziativa l’ha presa il fondatore Beppe Grillo che lo ha commissariato imponendo la linea politica del non voto e riunendo la squadra di governo nella sua villa a Bibbona. Davide Casaleggio sembra aver scaricato il capo politico del M5S e aver dato il via libera alla trattativa col Partito democratico.
La sensazione è che né per Conte né per Di Maio ci sarà spazio nel nuovo governo giallorosso
Addirittura, secondo alcuni fonti grilline, Di Maio fino all’ultimo non aveva idea che Conte si sarebbe dimesso. Per questo non conoscendo la strategia ha cercato in modo goffo di rivendicare la paternità politica sul presidente del Consiglio in una lettera in cui l’ha definito: «Una delle scelte di cui vado più fiero nella mia vita». L’obiettivo era quello di legare mani e piedi il suo destino politico a quello di Conte, più apprezzato dagli elettori e dai parlamentari grillini. Il tentativo disperato di non rimanere isolato da un movimento che ormai considera l’esperienza gialloverde il passato. La strategia di Di Maio potrebbe diventare una condanna perché nel discorso di ieri del presidente del Consiglio non c’è stata alcuna autocritica, un requisito fondamentale per far partire con il piede giusto le trattative tra M5S e Pd.
La sensazione è che né per Conte né per Di Maio ci sarà spazio nel nuovo governo giallorosso. Il Partito democratico non può sostituire la Lega senza far cadere la testa del leader e dei suoi pretoriani. Ma a differenza del capo politico, il presidente del Consiglio si è rifatto una verginità politica grazie allo show di ieri. È diventato l’anti Salvini e si è candidato a futura “risorsa della repubblica” del Movimento. Una via d’uscita che Di Maio non ha potuto né voluto prendere. Sarebbe stato troppo anche per lui passare nel giro di una settimana dal proclama «Mai col partito di Bibbiano» a un accordo già chiuso con Zingaretti. La trattativa sarà gestita dai due capigruppo Stefano Patuanelli e Francesco D’Uva. Il rischio concreto per Di Maio è quello di rimanere ai margini del nuovo esecutivo a favore dell’ala più ortodossa vicina al presidente della Camera Roberto Fico. L’unica tattica rimasta al capo politico del M5S pro tempore è rimanere ancora immobile e far “passare la nuttata”. Ma oggi è un altro giorno e iniziano le consultazioni del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.