Non tutto il mondo ride per le stesse cose e, soprattutto, non tutto il mondo ride allo stesso modo. Quello che negli Usa e negli ambienti anglofoni viene commentato con un “hahaha”, o con un più sofisticato “lol” (espressione data per morta più volte, ma che ancora resiste), in altri Paesi diventa un semplice “jajaja” (siamo in ambito ispanico) o un più flemmatico 笑, che in Giappone designa la risata autentica.
Insomma, sul web si ride tanto, ma si ride in modo diverso. Il problema è che spesso si tratta di usi inaspettati e a volte equivocabili. E che cambiano nel tempo e a seconda della classe di chi scrive.
Ad esempio, in Thailandia la risata si scrive “5555”, dal momento che il numero “5” viene pronunciato “ha”. Se lo legge un cinese però si incupisce, perché lo stesso segno in mandarino si pronuncia “wu”, che è il verso di chi piange. Non solo. In Giappone era diffuso mandare “wwww”, come abbreviazione della parola “warai” (risate), ma è poco apprezzato in alcuni ambienti perché associato al linguaggio degi hikikomori, giovani reclusi che vivono solo online. Da un po’ di tempo, chi non vuole sembrare immaturo o un po’ spostato, sceglie la già citata formula 笑, che dà maggiore calore anche perché richiede più tempo per essere digitata.
Non va dimenticato che il Brasile è famoso per le espresioni sguaiate “huehue” o “huahua”, che indicano la grassa risata, spesso associata a persone di bassa estrazione sociale. E proprio per questo quelli più in alto preferiscono ridacchiare con caterve di “kkkkkk” (abbreviazione di “kakaka”) o “rsrsrsrsrs”, da “risos”. Insomma, chi vuole ridere con altre persone, come nella realtà così online, deve badare anche a come si fa.
Susciterà qualche dubbio l’idea che i russi vadano avanti a suon di “g”, ma i loro sogghigni, che tanto fanno tremare gli spauriti americani, si esprimono così: “гггггг”. Occhio alle espressioni come xaxaxa / xoxox, che ai digiuni di alfabeto cirillico (e greco) potrebbero sembrare baci e abbracci e invece sono semplici “hahaha” e “hohoho”. Potrebbe stupirsi chi, dimenticando che in arabo le vocali non si scrivono, vedesse gli amici sauditi divertirsi a suon di “hhhhhh”. Ma è normale. Infine, susciterà non poca sorpresa vedere che in Indonesia si digita “wkwkwk”, come imitazione del verso di Paperino (una tendenza nata negli anni ’90 che continua a sopravvivere).
Ma il modo più originale, senza dubbio, lo incontrerà chi frequenta amici indiani. Sarà capitato di vedere come commento a qualche facezia un incomprensibile “ek number”. Sembra una sigla da inserire in un modulo (quello degli Emirates? Il simbolo dell’exakelvin? Il codice della Guinea Equatoriale?) mentre è soltanto una forma di apprezzamento: “ek” in hindi vuol dire “uno”, per cui si tratta di un “numero uno!”, entusiasta e felice.