Ci sono molte ragioni per evitare che, di fatto, sia Salvini a decretare la fine della legislatura e a passare all’incasso. Accanto a ragioni istituzionali – che ovviamente consentono la formazione in Parlamento di una nuova maggioranza, non battezzata, come peraltro la precedente, dal voto degli elettori – ci sono serie ragioni politiche: una vittoria a valanga di Salvini potrebbe portare ipso facto l’Italia fuori dall’Europa e dall’euro, consentire a una maggioranza populista, allargata a complici “volenterosi”, di cambiare la Costituzione con la maggioranza dei due terzi e tra qualche anno insediare al Quirinale un figurante del Capitano, che nel 2022 non avrebbe ancora 50 anni e non potrebbe, a regole vigenti, andarci di persona. Ma le regole, come si sa, possono cambiare. Chiaro: sarebbe molto meglio se questo non avvenisse. Perché Salvini non abbia però le elezioni che vuole, ci sono diversi scenari.
Il migliore e più virtuoso è quello di un esecutivo di responsabilità nazionale, che faccia uscire il dibattito politico italiano dalla realtà parallela della propaganda giallo-verde e lo riporti con i piedi per terra. Un governo che decreti la fine della ricreazione populista e della retorica dei capri espiatori, che guardi in faccia le ragioni endogene del declino italiano e metta mano a un progetto di riforme letteralmente maledette dalla narrazione grillo-leghista. Rigore, responsabilità fiscale, stato di diritto, concorrenza, integrazione economica e politica, multilateralismo. Per fare tutto ciò i voti necessari devono in buona parte essere quelli degli attuali deputati e senatori made in Casaleggio. Ma la politica non può essere la medesima, anzi dovrebbe esattamente uguale e contraria. C’è qualcuno che davvero auspica che il M5S, sacrificando Di Maio e mettendo in campo la coppia Di Battista-Conte per la prossima (e comunque vicina) campagna elettorale, possa al contempo sposare un programma di governo, che non sia rispecchiato delle storiche promesse grilline? C’è qualcuno che davvero crede che sull’economia, sulla finanza pubblica, sulla crescita, sulla giustizia, sulle relazioni internazionali e sulla politica europea l’algoritmo di Rousseau possa riprogrammare la mente e l’anima dei parlamentari a 5 stelle e farne placidi esecutori di un programma europeista?
In politica ci si allea anche con Stalin, per fermare Hitler, se Hitler è il pericolo maggiore. Ma ci si allea con Stalin senza consegnarsi a Stalin,
L’appello alla resistenza contro i barbari del capo-banda più prestigioso della barbarie politica, Beppe Grillo, è pura chiacchiera e la risposta dell’ex segretario del PD Renzi ipocrita e elusiva, per non dire paracula. Può una maggioranza “nuova” fondarsi sulla preliminare approvazione di una riforma costituzionale anti-parlamentare, come quella che il M5S ha votato per tre letture su quattro con la Lega e su cui vorrebbe ora, per il varo definitivo, il soccorso della ex opposizione? Può una maggioranza “diversa” fondarsi sull’idea di un patto anti-austerity che continui a promettere agli italiani la moltiplicazione degli zecchini piantati nel campo dei miracoli populista? Può un governo di emergenza sostituire semplicemente con nuovi soci uno dei contraenti del cosiddetto Contratto del Cambiamento? La risposta non tanto giusta, quanto seria a queste domande è: NO. Ovviamente: NO. Lasciamo da parte considerazioni di valore e di principio. In politica ci si allea anche con Stalin, per fermare Hitler, se Hitler è il pericolo maggiore. Ma ci si allea con Stalin senza consegnarsi a Stalin, si difende la democrazia con alleanze spregiudicate, se non la si affida a un nemico analogo a quello che la minaccia, semplicemente più indebolito.
La discussione su un possibile governo con il M5S sconta un equivoco o un falso che continua a avvelenare la discussione della sinistra italiana e che riconosce non agli elettori grillini, ma al M5S, per quello che è, delle parentele più prossime con la tradizione democratica di quelle vantate dalla Lega di Salvini. Il M5S, insomma, come casa -rifugio di “compagni che sbagliano”, che nel cuore restano “compagni”, sinceri democratici fanatizzati dallo scandalo della corruzione e della mala politica, ma riabilitabili dal riconoscimento delle buone ragioni della loro incazzatura. È una lettura sbagliata, storicamente e ideologicamente auto-indulgente rispetto alle stesse colpe della sinistra, che con il mito della diversità berlingueriana, con l’ebrezza di Mani Pulite, con il manettarismo ideologico dipietrista e con una lettura moralista della crisi economica italiana, ha allevato il mostro populista e la futurologia post-democratica grillina nel proprio stesso seno.
Quindi, nervi saldi e testa fredda. Se dalle camere uscenti fosse possibile distillare un “governo Cottarelli” (per spiegarsi con un esempio), evviva. Se non se ne potesse che derivare un Conte bis, con Dibba leader de facto, no grazie. Un “Governo purchessia” non salva la democrazia italiana, ma aiuta Salvini. Allearsi con la fazione perdente del populismo su un programma populista indebolisce la possibilità di battere l’attuale populista maximo alle prossime elezioni, che prima o poi arriveranno, e che costituiscono comunque l’appuntamento in vista del quale bisogna orientare tutte le scelte dell’oggi.