Jeffrey Epstein si è suicidato, pare. Il miliardario finanziere americano legato ai piani alti del jet set e della politica internazionale era in attesa di essere processato con l’accusa di abusi sessuali, traffico e sfruttamento a danno di varie decine di ragazze minorenni. Rischiava l’ergastolo. A seguito di un primo tentativo di suicidio nella cella del penitenziario di Manhattan in cui si trovava, avrebbe dovuto essere controllato dalle guardie ogni trenta minuti, ma la notte in cui è morto, la procedura, riferisce il New York Times, non sarebbe stata seguita, nonostante Epstein si trovasse solo perché il suo compagno di cella era stato trasferito.
Tanto basta perché il dibattito si esaurisca nelle diverse teorie cospirazioniste: c’è chi vede nelle origini ebree di Epstein l’origine del suo agire, chi vede nei democratici e nei Clinton i responsabili del suicidio indotto di uno che sapeva troppo. Nessuno che ponga sul tavolo il problema della sessualizzazione infantile e tenti di affrontarlo in maniera organica, specie in un Paese come l’America, dove Hollywood utilizza sistematicamente l’eros di bambini e adolescenti per fare business ormai dagli anni Settanta. Una sessualizzazione infantile imperante, disinvolta, che simbolicamente è stata sdoganata nel 1975 con Brooke Shields, quando all’età di 10 anni fu immortalata nuda con il consenso della madre, e che prosegue indisturbata nella maniera più mainstream possibile, come nel caso di Millie Bobby Brown, attrice protagonista della serie tv Stranger Things, che nel 2017, appena tredicenne, come alcune delle vittime di Epstein, fu definita dal settimanale W Magazine «una delle 13 donne più sexy del piccolo schermo».
Nessuno che ponga sul tavolo il problema della sessualizzazione infantile e tenti di affrontarlo in maniera organica
Poche ore prima del rinvenimento del cadavere di Epstein, alla corte federale di New York era stato depositato a suo carico un dossier che conteneva importanti deposizioni, tra cui quella della super teste Virginia Giuffre. La donna denunciò di essere stata una delle tante “schiave del sesso” costrette ad avere rapporti sessuali con personaggi del calibro del principe Andrea, duca di York, figlio della regina d’Inghilterra. Come le altre decine di altre ragazze coinvolte nei fatti avvenuti tra il 2002 e il 2005, Virginia Giuffre era minorenne. Già denunciato 14 anni fa, Epstein aveva raggiunto un accordo con l’allora pubblico ministero di Miami, nominato dal presidente George W. Bush, Alexander Acosta, divenuto poi segretario al Lavoro nell’amministrazione di Donald Trump, fino a quando, nei giorni scorsi, si è dimesso a causa dello scandalo che lo ha coinvolto. L’accordo prevedeva che Epstein, inserito nel registro dei molestatori sessuali, si dichiarasse colpevole, che degli iniziali 18 mesi in carcere pattuiti ne scontasse 13, e che in cambio tutte le indagini sul suo conto venissero abbandonate. Un accordo alquanto indulgente nei confronti di Epstein, tanto più che le vittime non erano state messe al corrente e pertanto non avevano potuto esercitare il diritto di contestazione del provvedimento come garantito dalle leggi federali americane.
Oggi Trump twitta «Jeffrey Epstein aveva informazioni su Bill Clinton. Ora è morto», ma nel 2002 diceva: «Conosco Jeff da 15 anni. È un tipo incredibile. È divertente e pare gli piacciano le giovani donne come a me, e molte sono particolarmente giovani». Da Clinton, che tra il 2001 e il 2003 volò sui suoi aerei almeno 23 volte, anche senza scorta, a Trump, erano molti gli amici stretti di Epstein, che una volta dichiarò: «Investo nelle persone, che siano politici o scienziati». Gente che una volta raggiunto l’ultimo stadio di ricchezza, di stordimento e di superomismo oltrepassa la soglia lecita dei consumi voluttuosi e abusa dei suoi simili. Storie già viste, già sentite, che periodicamente alzano un polverone buono solo a catalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica sui vezzi e i conti in banca dei carnefici anziché sui drammi delle vittime.
Fra tutte le storture della società civile, quella degli abusi sessuali, specie su minori, è la più pruriginosa, la più avvilente, a partire dai media.
Fra tutte le storture della società civile, quella degli abusi sessuali, specie su minori, è la più pruriginosa, la più avvilente, a partire dai media
Cellulari alla mano, novelli Émile Zola, i giornalisti delle testate di mezzo mondo si accingono a repertare gli interni delle ville, i divani, le vestaglie di questi tipi di bestie umane da cui è difficile cavare un articolo di cronaca serio, figuriamoci un romanzo. Epstein era proprietario di una delle Isole Vergini e possedeva case nell’Upper East Side di Manhattan, nel New Mexico, a Palm Beach e a Parigi grazie anche ai proventi dell’elaborato sistema di prostituzione che negli anni aveva perfezionato con la complicità di numerose persone, comprese alcune donne. Durante la prima inchiesta l’FBI raccolse i racconti di 36 ragazze, successivamente il numero delle testimonianze salì a un centinaio.
Un centinaio di vite ridotte a dettagli scabrosi e curiosità di interior design più adatte alle riviste di arredamento che ai giornali di cronaca, come si confà a un verminaio sociale che non conosce confini né muri, ma si batte il petto tanto nelle file delle chiese quanto negli atenei, inclusi quelli più liberal americani, che accettavano i fondi di Epstein nonostante le inchieste già accertate già a suo carico. Sbatti il mostro in prima pagina e la catarsi sociale è fatta. Ma sempre con un occhio vigile sulla sua casa, magari su quella lampada in bronzo battuto, che starebbe benissimo sopra la credenza primo novecento di nonna, in salotto, dove c’è la televisione.