Scrittori e storieBergoglio gli fece la barba, la sua donna gli disse di spararsi: otto aneddoti per conoscere meglio Jorge Luis Borges

Il grande scrittore argentino fu al centro di storie, episodi, momenti della storia del suo Paese (e del mondo in generale) che meritano di essere raccontati

da Flickr, di Levan Ramishvili

A Borges il gioco sarebbe piaciuto: risalire a un’esistenza – la sua, poi, fu piamente letteraria – a partire dai dettagli, dai frammenti, dagli sbagli. Singoli eventi, come spunti per un racconto, che orientano alla costruzione dell’insieme. Su “El Clarín” la giornalista Verónica Abdala ha selezionato 120 anni di Borges in una manciata di aneddoti. Eccoli, accuratamente rielaborati per il lettore italico.

Se muori vali di più: sparati! Borges era innamorato di Estela Canto, audace ballerina, scrittrice. La madre di JLB disapprovava la loro unione, per via della spigliatezza sessuale di Estela. A lei Borges regalò il manoscritto de L’Alpeh. “Aspetterò che tu muoia per venderlo, perché valga di più”, gli disse, in un caffè di Buenos Aires. Borges, arso d’amore, ci rimase male. “Se fossi stato un vero cavaliere, sarei andato in bagno a spararmi un colpo in testa”. Il manoscritto fu messo all’asta a Londra, nel 1985, lo scrittore ancora vivente.

Quando Papa Francesco fece la barba a Borges. Nel 1965 papa Francesco insegnava letteratura al Colegio Inmaculada Concepción di Santa Fe: invitò Borges a fare lezione ai suoi studenti. Uno di loro, Jorge Milia, ha raccontato alla BBC un aneddoto. Un giorno Bergoglio andò a prendere lo scrittore per portarlo a scuola. Impiegarono molto tempo ad arrivare al Colegio. “Il vecchio mi ha chiesto di raderlo: la sua cecità gli impediva di farlo da solo”, ha detto il futuro papa, giustificandosi.

Appuntamento al cimitero. Per i suoi 85 anni, un gruppo selezionato di ammiratori si diede appuntamento a casa dello scrittore. Borges li ringraziò, invitandoli, l’anno successivo, al cimitero della Recoleta, dove avrebbe voluto essere sepolto. Tuttavia, morì a Ginevra.

“Cent’anni di solitudine”? Ne bastano cinquanta. Per anni Borges ha atteso, invano, il Nobel per la letteratura. Nel 1982 lo avvisarono che il Nobel era andato a Gabriel García Márquez. Borges era in questura a rinnovare il passaporto, i giornalisti si affollarono per chiedergli una dichiarazione. “Penso che García Márquez sia un grande scrittore. Cent’anni di solitudine è un ottimo romanzo, anche se penso che cinquant’anni siano sufficienti”, disse.

Quando morì Che Guevara. Era l’ottobre del 1967, Borges insegnava letteratura inglese all’Università di Buenos Aires. Uno studente prese d’assalto la classe annunciando la morte di Che Guevara. Disse che le lezioni avrebbero dovuto essere sospese. Borges rispose che c’era tempo per omaggiare il caro estinto. Lo studente alzò la voce, intimando Borges di andarsene. Lo scrittore restò granitico al suo posto. “Allora staccherò la luce”, urlò lo studente. “Sono diventato cieco proprio perché accadesse questo momento”, rispose lo scrittore. E continuò la lezione.

I poeti? Dissuaderli! Durante un incontro della Società Argentina degli Scrittori. Un giornalista e poeta sussurrava teneramente ai presenti: “Cosa possiamo fare per il futuro dei nostri giovani poeti?”. Dal fondo dell’aula Borges si mise a urlare: “Dissuaderli dalla poesia!”.

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