Tristi ricorrenzeVergogna, a tre anni dal terremoto del Centro Italia la ricostruzione è ancora ferma

A tre anni del sisma del 24 agosto 2016 tutto (o quasi) è fermo. La ricostruzione è rimasta al palo nonostante la sovrabbondanza di ordinanze e decreti. E invece sarebbe ora di muoversi, per ridare vita ai paesi distrutti, in un’ottica di sostenibilità ambientale

Siamo alla vigilia di un anniversario importante, e terribile: il 24 agosto di 3 anni fa un primo terremoto di magnitudo 6.0 sconvolse le regioni del Centro Italia colpendo in particolare le comunità di Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto, e causando 299 morti. Da quel giorno un lunghissimo sciame sismico accompagnò le vite di migliaia di italiani con ulteriori forti scosse in ottobre, e poi nel gennaio 2017, che allargarono ulteriormente il cratere delle zone colpite. Alla fine si conteranno 41.000 sfollati, 388 feriti e 303 morti. In questi giorni in cui tanto si parla di “terremoto politico”, pensando alle vicende della crisi di Governo, dovremmo tutti riflettere sul fatto che “la politica” si è però fermata sulle macerie del Centro Italia. Se dovessimo andare al voto, mi domando chi avrà il coraggio di fare campagna elettorale e chiedere il voto dei nostri concittadini che a tre anni di distanza aspettano ancora soluzioni e risposte.

La lentezza della macchina della ricostruzione pesa sulle coscienze di tutti coloro che hanno responsabilità politiche ed istituzionali ed io naturalmente non mi sento assolta. Quando ero Presidente nazionale di Legambiente, in quell’agosto 2016, attivai immediatamente le squadre di protezione civile di Legambiente ed ancora oggi l’associazione è fortemente impegnata sul fronte della ricostruzione con un Osservatorio realizzato in collaborazione con la Fillea Cgil per il montaggio dei cantieri e con iniziative a sostegno degli agricoltori locali. Ma vista dall’interno delle istituzioni la situazione è molto più complessa e frustrante.

Non si è riusciti a dare certezze e la situazione è stata aggravata da continue polemiche, rimpalli di responsabilità e inefficienze tra livelli istituzionali, strutture commissariali e professioni tecniche. La confusione e la debolezza con cui si muove la macchina della ricostruzione è descritta impietosamente dai dati raccolti da Legambiente e Fillea Cgil: su circa 73 mila edifici dichiarati inagibili, le domande dei cittadini per il contributo sono circa 10 mila (poco più del 13%) e presso le Casse Edili i cantieri avviati negli ultimi mesi sono poche centinaia. I cittadini terremotati non hanno fiducia e la ricostruzione è rimasta al palo nonostante la sovrabbondanza di ordinanze e decreti, uno dei quali a firma del Governo giallo-verde prevedeva un sostanziale condono delle situazioni irregolari.

La ricostruzione è rimasta al palo nonostante la sovrabbondanza di ordinanze e decreti

Non esiste ancora un monitoraggio complessivo della ricostruzione né della raccolta e gestione delle macerie. Come conseguenza diretta di ritardi e lungaggini burocratiche arriva lo spopolamento di tanti piccoli comuni dell’Appennino. Quello che manca poi è una visione generale, un progetto economico e sociale per l’Appennino che potrebbe fermare lo spopolamento e dare nuove prospettive occupazionali alle popolazioni colpite. Non basta infatti ritirare su le case (ma non si fa nemmeno quello purtroppo), magari derogando alle regole, se non si ridà alle persone la possibilità di vivere in quei luoghi con servizi, viabilità, sicurezza. Insomma vanno curate le fondamenta delle comunità oltre che rifarne letteralmente di nuove per le abitazioni.

Sarebbe allora il caso di cogliere questo drammatico evento come un’occasione per operare una ricostruzione di qualità, ambientalmente sostenibile, investendo sulla realizzazione di un patrimonio edilizio efficiente da un punto di vista energetico e dell’uso delle risorse naturali, a partire dall’acqua. Le tecniche e i materiali della bioedilizia e dell’architettura sostenibile sono oramai maturi e la lotta contro la crisi climatica potrebbe unirsi virtuosamente con quella contro la crisi sismica che tiene inchiodati migliaia di nostri concittadini. È necessario investire sulla sicurezza, quella vera e concreta, delle popolazioni. La ricostruzione deve diventare un’occasione per segnare un cambiamento nelle forme di intervento e nelle conoscenze sullo stato del patrimonio edilizio italiano. Proprio perché sono destinate ingenti quantità di risorse pubbliche, ci si deve attrezzare per creare una banca dati che raccolga le informazioni sulla certificazione statica e sugli attestati di prestazione energetica di tutti gli edifici oggetto di intervento, per arrivare all’obbligatorietà del fascicolo di fabbricato, strumento considerato unanimemente fondamentale per garantire la messa in sicurezza e la sostenibilità del patrimonio edilizio nel medio e lungo periodo. Su tutti questi temi ho provato a lavorare presentando emendamenti ai due decreti che si sono occupati delle aree colpite dal terremoto, senza successo visto che sono stati respinti.

Sarebbe allora il caso di cogliere questo drammatico evento come un’occasione per operare una ricostruzione di qualità, ambientalmente sostenibile

L’alternativa, nella mancanza di un progetto di visione per il futuro di queste aree, è lo spopolamento: è probabile che fra due o tre decenni le case saranno di nuovo in piedi ma nella desertificazione sociale ed economica. Occorre un progetto di sviluppo di economia locale che sappia coniugare le tante risorse naturali e culturali con la necessaria innovazione per rendere quelle terre attrattive per i giovani, offrendo loro opportunità di lavoro e di studio. Ecco, fino a quando le istituzioni non sapranno svolgere questo ruolo, sarà difficile recuperare la fiducia dei cittadini e dimostrare loro che la politica non è un costo da eliminare ma una pratica utile da sostenere, alla quale guardare con fiducia. Mettiamo anche questo nel programma di lavoro di un possibile prossimo Governo?

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