La sala è mezza vuota e i popcorn ancora caldi. Le buone notizie finiscono qui.
Il film “Chiara Ferragni – Unposted” ci mette subito in difficoltà: risulta arduo commentare il nulla. In un’autobiografia, recitazione e rivelazione sono come la brezza e la foschia: si sfiorano, prosperando l’una nell’assenza dell’altra. Ma la Ferragni non lo sa e scatena una tempesta di nebbia. Al netto della coerenza delle scelte narrative, le doti recitative dell’influencer spiccano già nei video amarcord pescati dalla sua infanzia. In effetti assomigliano agli UFO: ammesso che esistano, nessuno le vede. Forse servono gli infrarossi. Forse è meglio così. La pellicola consiste in settantacinque minuti di video promozionale di cui un’ottantina tracimano dal concetto di necessità.
I racconti della sua carriera si susseguono con la naturalezza di un copione staliniano, dove le pause e l’enfasi rimangono appannaggio onirico degli spettatori.
I racconti della sua carriera si susseguono con la naturalezza di un copione staliniano, dove le pause e l’enfasi rimangono appannaggio onirico degli spettatori. I vestiti indossati e subliminalmente promossi in questa parodia di biografia sono gli unici personaggi la cui autenticità è indubbia. Glissiamo sul resto. “Unposted” racconta, involontariamente, una generazione il cui concetto di tragicità dell’esistenza si sublima in reclamo perpetuo di attenzioni e complimenti. Le parole “engagement” e condivisione si sprecano in un monologo che le definisce nella loro accezione moderna: condivido in modo unilaterale e possibilmente privo di scambi che non siano complementari alle mie aspettative.
Più semplice: io parlo tu ascolti. Fine.
Seguiamo con molto coraggio e poca speranza la continuazione del documentario, fin quando ci appare, in una visione, l’ineffabile segreto del successo della Ferragni.
Dopo aver ispirato milioni di ragazzine che hanno iniziato a imitarla e a interiorizzarne il verbo, la stessa imprenditrice digitale ha deciso di emularle, ricalcando così il proprio carboncino.
Dopo aver ispirato milioni di ragazzine che hanno iniziato a imitarla e a interiorizzarne il verbo, la stessa imprenditrice ha deciso di emularle, ricalcando così il proprio carboncino. Un’omologazione al cubo che ha ufficialmente inaugurato una nuova era antropologica: lo stallo della specie. Sotto il glitter, il trucco, i filtri, lo smalto, i tatuaggi e i vestiti firmati non abbiamo trovato niente. Non è il lancio di un guanto di sfida ma un consiglio: abbandonate ogni speranza. Calvino predicava la leggerezza come armatura con cui affrontare l’esistenza “planando sulle cose dall’alto” senza macigni sul cuore. Calvino non ha mai visto unposted e non lo vedrà mai. Se così non fosse avrebbe riflettuto sui macigni divelti da un eccesso di leggerezza.
Il film che decanta il talento della rappresentante mondiale di tutte le influencer, e delle loro insicurezze dissuase dall’autocelebrazione, ricorda la piuma di Forrest Gump: monopolizza l’attenzione senza assolvere alcuna funzione sociale, salvo quella di rivelare la momentanea direzione del vento.