Economia sfericaLe multinazionali sono pronte a cambiare? La strategia c’è, ma (per ora) mancano le azioni

Sempre più aziende vogliono cambiare pelle. Tanti gli investimenti su un tipo di comunicazione "emozionale", col tentativo di far credere di avere finalmente a cuore l'ambiente, l'equità e i giovani

Uno degli aneddoti sul marketing più conosciuti, attribuito al noto pubblicitario francese Jaques Séguéla, racconta appunto di un pubblicitario che nel suo tragitto quotidiano era solito incrociare un cieco con una latta per le elemosine mezza vuota e il cartello: ‘Sono cieco. Per favore aiutami”. Un giorno, oltre a lasciare la consueta moneta e prima di andarsene per la propria strada, il pubblicitario prende il cartello e scrive qualcosa.

Il giorno successivo, mostrando la latta piena di monetine, il cieco gli domanda cosa abbia scritto sul cartello capace di generare un così importante cambiamento nella altrui generosità. “Niente di più dell’ovvio” rispose il pubblicitario. Sul cartello aveva scritto “È primavera e io sono cieco. Per favore aiutami”. Aveva aggiunto sì un dato di fatto, ma questo dato di fatto era capace di generare un’emozione.

Nelle scorse settimane, on air e online, ci siamo sicuramente imbattuti in uno spot molto emozionante in cui un noto cardiochirurgo italiano, indossando un visore di realtà virtuale e sfruttando la connessione 5G, guida una sala operatoria in un intervento chirurgico, senza allontanarsi molto dalla chiesa in cui si trova per assistere a un matrimonio.

Oppure, andando su YouTube e sul sito dell’Ikea, abbiamo sicuramente trovato l’originale spot con cui l’azienda svedese ci comunica di avere preso la difficile decisione di non inviarci più il suo catalogo cartaceo, uno dei prodotti di maggior successo, nella cassetta della nostra posta. O ancora, navigando sul sito di Nike, abbiamo sicuramente letto l’invito che la multinazionale americana rivolge a designer, ingegneri, scienziati e produttori, a trovare soluzioni capaci di trasformare i rifiuti in flussi di valore come richiesto dai principi dell’economia circolare.

Se poi fossimo in attesa di un figlio e vivessimo in America o in Canada, sapremmo di poter contare su cinquemila fasciatoi disseminati nei punti di cambio e nelle toilette degli uomini grazie a un progetto, ritenuto rivoluzionario per il concetto di cambiamento che porta in sé, di Pampers, brand mondiale del colosso Procter & Gamble.

Se, infine, fossimo anche attenti lettori di testate estere, avremmo certamente appreso che il ceo di Virgin, società del magnate britannico Richard Branson impegnato da tempo sul tema ambientalistico, ha dichiarato recentemente che in questo momento ciascuno di noi dovrebbe chiedersi seriamente se prendere un aereo contribuendo ad aumentare il riscaldamento globale, o scegliere un mezzo diverso. Come anche l’intenzione comunicata dal ceo di Unilever, di voler cedere quei marchi che danneggiano il pianeta o la comunità perché lo chiedono i consumatori che oggi vogliono acquistare solo da aziende che abbiano uno scopo.

Oltre alle dichiarazioni, agli slogan e agli spot, traguarderanno il futuro solo quelle aziende che avranno prodotto un frutto abbondante ed equo

Dunque, è vero? Oltre alle dichiarazioni, agli slogan, agli spot che scatenano ondate di emozioni, le marche e le aziende che oggi parlano di “purpose”, hanno davvero raggiunto piena consapevolezza dei temi oggi centrali per le generazioni più giovani? Sono davvero disposte a rivedere il proprio modello di business per dimostrare che diversità, inclusione, ambiente, trasparenza non sono solo parole del loro nuovo linguaggio di comunicazione?

Sono fermamente convinto che traguarderanno il futuro solo quelle aziende che prima di iniziare a investire in comunicazione per raccontare i propri buoni propositi, inizino a compiere quelle azioni che alla fine avranno un senso riconosciuto. Avranno un senso riconosciuto solo quelle azioni realmente ispirate da una vocazione profonda, e non da un preconfezionato “purpose”, e finalizzate al bene per l’insieme.

Saranno dunque veramente redditizie solo se avranno prodotto un frutto, abbondante ed equo, contemporaneamente per tutti i sette livelli di manifestazione delle nostre vite. Quelle che nella mia economia 0.0 ho definito nel modello delle 7P (Person, People, Partnership, Profit, Prosperity, Planet, Peace) e del relativo 7P Index. In questo caso, il riscontro oggettivo che riceveranno sarà un autentico senso di gratitudine provato nei loro confronti contemporaneamente da ciascuno dei sette livelli.

Non è un caso ma solo l’inizio, che il 62% degli intervistati da IPSOS in 28 Paesi, oggi pretenda che le aziende diano un contributo fattivo alla comunità e vada alla ricerca di brand che permettano di fare la differenza nel mondo.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter