Vocazione minoritariaPd, Cinquestelle, ma anche centro e destra, siamo il Paese delle scissioni di uomini e idee

Quella di Renzi era annunciata, ma la storia dei partiti e dei movimenti italiani nell'era del maggioritario è fatta di fratture, scomposizioni e ricomposizioni. Tanto vale tornare al proporzionale

TIZIANA FABI / AFP

Dopo la scissione renziana – forse l’evento più preannunciato, previsto e pronosticato della politica italiana dopo la mancata conferma di Toninelli al ministero delle Infrastrutture – i retroscenisti di tutti i maggiori quotidiani hanno trovato un nuovo osso da spolpare: la scissione dei cinquestelle. Il tema è assai scivoloso, anche per le non poche difficoltà tecniche che solleva, tanto sul piano giuridico (la scissione di una Srl non è cosa da poco), quanto sul piano matematico (come si scinde un algoritmo?).

Tutte questioni delicate e interessanti, che rischiano però di far perdere di vista il dato macroscopico, la questione sistemica che caratterizza la politica italiana dai primi anni novanta a oggi. Il fatto è che nel nostro paese non c’è un solo partito, movimento o coalizione che non sia al tempo stesso causa e conseguenza di un’inarrestabile serie di scissioni, scomposizioni e ricomposizioni. Tanto negli uomini quanto nelle idee. A volte sono gli uomini che se ne vanno, seguendo le idee (che il partito di origine, a loro giudizio, ha abbandonato); altre volte sono gli uomini a restare, e le idee a cambiare (con i relativi nomi e simboli). Giusto per fare un esempio, fino a pochi anni fa, tra i partiti presenti in Parlamento, il simbolo più antico – unica eccezione alla regola appena enunciata – era quello di un partito secessionista, ostile all’Italia e ai suoi simboli, a cominciare dal tricolore, chiamato «Lega Nord». Ora si chiama solo «Lega», i dirigenti sono esattamente gli stessi, ma nel frattempo è diventato un partito nazionalista, attaccatissimo al tricolore e ai valori della patria, tanto che il suo slogan principale è «Prima gli italiani» (prima prima, però, era «Prima il Nord»).

Da quando in Italia, in nome della lotta contro la frammentazione politica, è stato introdotto il sistema maggioritario (1993), il numero dei partiti componenti le diverse coalizioni di governo ha superato la comune capacità di calcolo di un adulto

Per abitudine e pigrizia intellettuale tendiamo ancora ad attribuire la passione per le scissioni alla sinistra, come ai tempi della Prima Repubblica, quando la politica rispondeva alle leggi della fisica newtoniana, i partiti duravano decenni, se non secoli, e uno sapeva sempre dove trovarli: Dc e alleati nell’area di governo, Pci all’opposizione ma all’interno dell’arco costituzionale, missini fuori da tutto (almeno ufficialmente). Ancora negli anni ottanta, i partiti di governo erano cinque, e avevano nomi come Partito repubblicano (fondato nel 1895), Partito liberale (fondato nel 1912), Partito socialista (fondato nel 1892), Partito Socialdemocratico (fondato nel 1947) e ovviamente Democrazia cristiana (fondata nel 1943). Da quando in Italia, in nome della lotta contro la frammentazione politica, è stato introdotto il sistema maggioritario (1993), il numero dei partiti componenti le diverse coalizioni di governo ha superato la comune capacità di calcolo di un adulto, anche perché l’intero sistema politico, come si accennava, ha oltrepassato le regole tradizionali della fisica newtoniana.

Per dimostrare questa tesi, mi sono spesso divertito a porre ai nostalgici del centrosinistra, dei tempi dell’Ulivo o addirittura dell’Unione (esistono anche quelli), una semplice domanda: sapete dirmi quali e quanti partiti facevano parte delle coalizioni che tanto rimpiangete? E quando l’ingenuo interlocutore cominciava a elencare: Margherita, Udr, Udeur… prontamente lo interrompevo per chiedergli: ma il partito di Mastella, così facendo, quante volte lo hai contato?

Il punto è che la vita delle coalizioni figlie del maggioritario, e quindi dei partiti che le compongono, è caratterizzata sin dall’inizio da questo incessante brulichio di particelle che si incontrano e si scontrano senza posa

Già la prima e più superficiale risposta a questa domanda (tre volte) basta a capire perché il calcolo non sia così semplice. Clemente Mastella è stato infatti uno dei promotori dell’Udr prima e dell’Udeur poi, la quale a sua volta è stata tra i partiti-componenti della Margherita, nata dall’aggregazione di Lista Dini, Democratici, Popolari di Pierluigi Castagnetti e, per l’appunto, Udeur. Ma Popolari di Castagnetti e Udeur di Mastella, numerose scissioni prima, erano già nello stesso partito – la Dc – da cui del resto proveniva anche, originariamente, quel Patto Segni poi confluito nel partito di Dini, a sua volta confluito nella Margherita. Con l’ulteriore complicazione che ben due su quattro dei summenzionati partiti (Lista Dini e Udeur) non si limitavano a popolare in diverse configurazioni la coalizione di centrosinistra, ad esempio fuori o dentro la Margherita, ma passavano spesso anche da una coalizione all’altra.

Il punto è che la vita delle coalizioni figlie del maggioritario, e quindi dei partiti che le compongono, è caratterizzata sin dall’inizio da questo incessante brulichio di particelle che si incontrano e si scontrano senza posa. Di conseguenza, definire esattamente il momento in cui l’elettrone-Mastella compie il salto da una coalizione all’altra, stante il principio di indeterminazione di Heisenberg, è praticamente impossibile.

Nel centrodestra gli effetti relativistici, tanto in senso politico quanto in senso fisico, sono poi particolarmente evidenti attorno alla leadership di Silvio Berlusconi e alla sua trentennale capacità di attrazione. Qui la curvatura spaziotemporale – e la conseguente possibilità dei viaggi nel tempo – è empiricamente dimostrata dalla serie Forza Italia–Pdl–Forza Italia, che rende particolarmente complesso anche il lavoro degli storici (per convenzione, non a caso, gli specialisti hanno cominciato a fare riferimento alla prima Forza Italia come quella in cui Silvio Berlusconi non aveva ancora i capelli).

Forse però il vero, definitivo oltrepassamento della concezione lineare del tempo si è compiuto solo in questi giorni, nel dibattito sull’ipotesi di ripristinare un sistema elettorale puramente proporzionale, che tanti autorevoli sostenitori del maggioritario hanno denunciato allarmati come un tentativo di riportarci alla «frammentazione» della politica. Ma sulla teoria degli universi paralleli bisognerà tornare un’altra volta.

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