Non è ancora entrata in carica e già deve salvare l’Unione europea. Da Christine Lagarde a Giuseppe Conte, dallo European Fiscal board al Parlamento europeo. Ma anche Francia, Spagna e l’insospettabile Finlandia. In tanti ormai stanno iniziando a tirare la giacchetta di Ursula von der Leyen. Serve una riforma delle regole del Patto di Stabilità per rilanciare la crescita in Europa. Ognuno ha la sua ricetta, o meglio, la sua richiesta. La neo presidente della Commissione europea deve accontentare tutti, ma non sarà facile. Ci sono almeno sei Stati del centro e nord Europa che non vogliono dare una scusa ai politici mediterranei per sforare il deficit in libertà e coprire così le proprie inefficienze. Tra questi c’è ancora le Germania che vede calare a picco la sua produzione industriale ma fa ancora finta che la casa non stia bruciando. E per ora esclude una manovra in deficit che farebbe da tana libera tutti. Senza l’appoggio di Merkel, von der Leyen non potrà forzare la mano.
Il tempo stringe e ce lo ricorderà oggi Mario Draghi alla sua penultima riunione da presidente della Banca centrale europea. SuperMario dovrà decidere se usare ancora il bazooka del Quantitative easing, ovvero iniziare di nuovo l’acquisto massiccio di titoli di Stato dalle banche europee. Ma i tassi sono già in negativo e la cassa della Bce è già piena di titoli di Stato. Tradotto: il bazooka di Draghi ha fatto il suo dovere, la zona euro è salva ma l’obiettivo dell’inflazione al 2%, considerato ottimale e crescita del Pil Ue sono ancora basse. Le politiche monetarie possono arrivare fino a un certo punto e Lagarde lo ha confermato in un’audizione al Parlamento europeo. Quando la francese diventerà capo della Bce il 1 novembre potrà incidere molto meno del suo predecessore. Ora serve una riforma fiscale perché l’inverno sta arrivando, ma von der Leyen non ha ancora nulla da mettere per quando busserà la recessione.
Ora serve una riforma fiscale perché l’inverno sta arrivando, ma von der Leyen non ha ancora nulla da mettere per quando busserà la recessione
Uno spiraglio per la riforma dell’eurozona l’ha dato la Finlandia, presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea, l’organo Ue che riunisce i ministri dei 28 Stati di volta in volta in base al dossier da affrontare. Secondo Reuters esisterebbe un documento del 9 settembre in cui il governo finlandese dice di voler discutere sulla riforma delle regole fiscali europee durante l’incontro del Consiglio dei ministri delle finanze Ue, fissato per sabato a Helsinki. Nella lista degli insospettabili riformatori ci sono anche i membri dello European Fiscal Board, un organo dell’Ue indipendente dalla Commissione, che fa consulenze sulle regole di bilancio. Nel documento di 129 pagine pubblicato ieri chiede di semplificare le regole fiscali che impongono agli Stati della zona euro di mantenere il deficit, cioè il debito annuale, al di sotto del 3% del Prodotto interno lordo e di portare gradualmente i debiti al di sotto del 60% rispetto al Pil. Il debito pubblico italiano è al 134% del Pil.
Secondo gli analisti dell’Efb bisognerebbe prima di tutto evitare le sanzioni, finora mai applicate come abbiamo visto dalla procedura d’infrazione evitata dal governo Conte uno e sostituirle con degli incentivi. Invece di punire gli Stati per non aver rispettato le norme fiscali bisognerebbe premiare quelli più virtuosi facendoli accedere al nuovo fondo che sarà creato per finanziare gli investimenti in Europa. Nel documento si parla di stabilire un limite ragionevole alla spesa primaria degli Stati. Ovvero la spesa pubblica, meno gli interessi sul debito. In Italia sono molto pesanti, 70 miliardi all’anno e sono stati aggravati dalla politica alza spread del governo gialloverde che ha messo nel conto altri 20 miliardi. Secondo l’Efb i Paesi che mantengono le loro spese primarie al di sotto di un massimale stabilito per un periodo di tre anni potrebbero essere considerati in linea con le norme dell’UE anche se presentano disavanzi eccessivi. Nel documento l’Efb raccomanda anche una quota di spesa in investimenti pubblici per educazione, ricerca e sviluppo, infrastrutture e trasporti. Ovvero quello che ha chiesto di poter fare in deficit il presidente del Consiglio Giuseppe Conte che ieri ha incontrato von der Leyen.
In teoria la Commissione dovrebbe già entro la fine di quest’anno rivedere le regole europee ma si aspetta che von der Leyen entri in carica il 1 novembre. E tutti i commissari dovranno sostenere le insidiose audizioni del Parlamento europeo che ha il potere di bocciare la loro nomina. La lettera d’incarico che von der Leyen ha inviato al neo commissario all’Economia Paolo Gentiloni fa capire che l’Italiano si dovrà occupare più delle riforme dell’eurozona che delle leggi di bilancio degli Stati Ue. Un ruolo più politico e meno tecnico, adatto per le qualità di mediatore dell’ex presidente del Consiglio. Il suo compito sarà far digerire agli Stati più rigorosi una serie di riforme necessarie. Dall’approvare a maggioranza qualificata le decisioni fiscali, lo scoglio più grande di tutti, a una web tax europea entro la fine del 2020. Ma anche l’unione bancaria e una base imponibile europea per le società del Continente. A fare il braccio di ferro con Roma sarà il vicepresidente esecutivo della Commissione Valdis Dombrovskis. Il lettone considerato falco dell’Austerity è sempre stato molto rigido nell’applicazione del Fiscal compact. La speranza del governo giallorosso è che per il 2020 abbia leggi diverse da applicare.