Dai fallimenti gialloverdi alle grane giallorosse il percorso è brevissimo. E Whirlpool è la prima della lunga lista delle oltre 150 crisi industriali non risolte che l’ex capo del Mise Luigi Di Maio, trasferitosi ora alla Farnesina, ha lasciato sul tavolo del suo collega di partito Stefano Patuanelli. La multinazionale degli elettrodomestici, dopo più di un anno di tavoli di incontri, sit-in e proteste dei lavoratori, alla fine ha annunciato la vendita del sito di via Argine a Napoli, con 410 lavoratori, alla startup Passive Refrigeration Solutions (Prs), con sede a Lugano, che produce container refrigeranti.
Niente sorprese. Whirlpool lo aveva detto da tempo di voler andare via dall’Italia perché lo stabilimento era in perdita. Di Maio aveva provato a tenerli in Campania, offrendo un contentino nel “decreto imprese“, nel pieno della crisi di governo, ma senza un piano per rilanciare lo stabilimento. I 16,9 milioni di euro offerti come sgravi annui erano stati rimandati al mittente attraverso una nota stampa della società: «Non servono a garantire a lungo la sopravvivenza dello stabilimento. Manca una missione produttiva».
Gli stessi sindacati avevano ammesso che il provvedimento non bastava. E che la norma era scritta male, senza una cifra strutturale concordata con l’azienda e la previsione di investimenti per rilanciare il sito. Oltre al fatto che la “norma salva Whirlpool” sarebbe apparsa come un aiuto di Stato selettivo, da cui poteva sorgere una sanzione da parte della Commissione Ue. Con il risultato che l’azienda avrebbe dovuto restituire negli anni la somma incassata, continuando a gestire uno stabilimento in perdita.
Gli stessi sindacati avevano ammesso che il “decreto imprese” non bastava. E che la norma era scritta male, senza una cifra strutturale concordata con l’azienda e la previsione di investimenti per rilanciare il sito
Niente da fare. Davanti a un rischio del genere, con il mercato delle lavatrici in picchiata, non sono bastati deboli negoziati al Mise imbastiti da Di Maio. Il piano firmato lo scorso ottobre per la produzione di una nuova gamma di lavatrici era già stato stracciato dall’azienda, che in questi mesi si è mossa senza scrupoli. Trovando dall’altra parte negoziati e negoziatori deboli. Così gli americani alla fine hanno preferito levare le ancore.
L’amministratore delegato lo ha annunciato nell’ultimo incontro del 17 settembre al Mise. E il veloce cronoprogramma di cessione dimostra tutta la fretta di lasciare Napoli. L’operazione con Prs vale 20 milioni di euro, è già stata avviata e si concluderà entro fine ottobre con efficacia dal primo novembre, spiega Whirlpool, assicurando che saranno garantiti i livelli occupazionali, «i diritti acquisiti, le tutele reali e i livelli contributivi correnti». Ma i lavoratori non ci stanno. Arrivati in corteo da Napoli, hanno protestato sotto le finestre del Mise, annunciando poi lo sciopero e una manifestazione nazionale.
Doccia fredda per il governo e per i lavoratori. La sfida ora sarà trasformare un sito produttivo di lavatrici di alta gamma in uno stabilimento dedito alla logistica del freddo. La Psr, guidata da un italiano, ha sviluppato un brevetto sui container refrigeranti per il trasporto delle derrate alimentari e ora punta a una difficile operazione di reindustrializzazione del sito partenopeo.
Un esordio in salita per la neosottosegretaria Alessandra Todde del Movimento Cinque Stelle, affiancata dal vice capo di gabinetto Giorgio Sorial, che finora con Di Maio si è occupato delle crisi aziendali. E pure per il neoministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, che ora ha ri-convocato l’azienda per venerdì 20 settembre per chiedere di rispettare l’accordo firmato a ottobre. Neanche il tempo di riprendere in mano le carte, capire cosa produce Whirlpool a Napoli, che il faldone gli è esploso in mano. Con tanti ringraziamenti a Di Maio.