Il governo giallorosso non stralcerà l’accordo sui migranti con la Libia, come hanno chiesto di fare diversi esponenti di maggioranza. Aspetterà il 2 novembre, quando il memorandum si rinnoverà con il silenzio-assenso per altri tre anni. Solo dopo, l’esecutivo si metterà al lavoro per introdurre qualche ritocchino nell’intesa. Tutt’al più, Palazzo Chigi entro sabato potrebbe inviare solo una nota al governo di Tripoli per comunicare la volontà di cambiare alcune parti del testo. Sempre però all’interno dello stesso impianto firmato nel febbraio 2017 da Marco Minniti, che ritiene Tripoli un “porto sicuro” in cui riportare i migranti salvati in mare, nonostante gli “inimmaginabili orrori” documentati dall’Onu nei centri di detenzione libici finanziati da Roma. Ma con la maggioranza che ribolle davanti alle inchieste giornalistiche sui rapporti tra i trafficanti e le autorità italiane, per i ritocchi all’accordo i giallorossi non hanno molto tempo: le modifiche dovranno essere apportate prima dell’approvazione del decreto sul rifinanziamento delle missioni militari, che contiene anche il finanziamento milionario alle motovedette libiche. Il rinnovo è previsto per gennaio. Ma se non si cambia rotta sulla gestione dell’immigrazione, voltando le spalle tanto alla linea Minniti quanto a quella di Salvini, il governo rischia di traballare, visto che né al Senato, ma forse neanche alla Camera, ci sarebbero i numeri per confermare le missioni così come sono.
La discussione, quindi, è solo rimandata di qualche mese. Nei giorni scorsi, dal Pd a Italia Viva, dal M5s a LeU, avevano già chiesto la sospensione e la ridiscussione del memorandum prima del rinnovo automatico. Una richiesta espressa anche in un documento firmato in extremis da 25 esponenti giallorossi tra parlamentari ed eurodeputati.
Ma la linea non è passata, con la maggioranza del Pd contraria alla revoca totale degli accordi. I rapporti con Tripoli, così, non verrebbero alterati. Proprio quando si viene a sapere però che, a meno di due mesi dalla scadenza dell’accordo e con il governo Conte 2 appena insediato, il Consiglio presidenziale del governo di accordo nazionale libico ha approvato quello che qualcuno ha già definito il “codice Minniti libico”, che prevede fra le altre cose che i naufraghi salvati dalle ong non possano essere portati in Libia. Un documento che suona come un’arma di ricatto verso Roma, con la spada di Damocle della ripresa degli sbarchi sulle nostre coste, proprio nel momento in cui il governo italiano avrebbe potuto sfilarsi dal memorandum.
L’Italia ora rinnoverà l’accordo così com’è, tranquillizzando gli animi a Tripoli, nonostante la mobilitazione di ong, associazioni e anche dell’Unhcr che continuano a chiedere al governo la «discontinuità» annunciata sui temi dell’immigrazione rispetto ai 14 mesi dell’era Salvini.
Se si vogliono davvero introdurre miglioramenti, allora bisogna fermarsi e dire “non lo rinnoviamo”. Ci fermiamo, capiamo chi sono autorità libiche che paghiamo, ci prendiamo una pausa e negoziamo
Il “Tavolo asilo nazionale”, costituito dalle principali organizzazioni che si occupano dell’accoglienza in Italia, il 30 ottobre ha presentato una lettera aperta al governo per chiedere l’annullamento del memorandum e l’evacuazione dei centri di detenzione per migranti. Facendo notare anche che, con la modifica unilaterale presentata dal governo di Al Sarraj lo scorso 9 ottobre, le autorità libiche hanno assunto ora il coordinamento esclusivo sulle operazioni di soccorso nella zona Sar di propria competenza e sulle imbarcazioni delle ong che effettuano i salvataggi in mare in quell’area. «Non chiediamo un passo indietro in Libia», ha spiegato Filippo Miraglia, portavoce del Tavolo. «Diciamo: fermatevi, blocchiamo adesso questo memorandum e occupatevi della Libia come dovrebbe fare la comunità internazionale».
Lo stesso giorno, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, rispondendo al question time alla Camera a una interrogazione della deputata Pd Laura Boldrini, ha detto che il memorandum «può essere modificato e migliorato», ma – ha aggiunto – «una eventuale rinuncia a questa intesa rappresenterebbe un vulnus politico» che «potrebbe tradursi in una sospensione delle attività della guardia costiera libica con conseguenti maggiori partenze, tragedie in mare e peggioramento delle condizioni dei migranti nei centri». Il memorandum, quindi, per il responsabile della Farnesina non si tocca. Ad ogni modo, ha spiegato Di Maio, «il governo intende lavorare per modificare in meglio i contenuti», con «un ulteriore coinvolgimento delle Nazioni unite, della comunità internazionale e delle organizzazioni della società civile per migliorare l’assistenza dei migranti salvati in mare e le condizioni nei centri».
Una modifica postuma, quindi, che «può funzionare sul piano della comunicazione, ma non sul piano dei diritti», denuncia Riccardo Noury, Portavoce di Amnesty Italia. «Non è possibile fare modifiche ad accordo rinnovato. Se si vogliono davvero introdurre miglioramenti, allora bisogna fermarsi e dire “non lo rinnoviamo”. Ci fermiamo, capiamo chi sono autorità libiche che paghiamo, ci prendiamo una pausa e negoziamo».
Avanza la richiesta di una Commissione d’inchiesta per fare luce sulla presunta trattativa tra i trafficanti libici e le autorità italiane
Secondo i calcoli di Oxfam Italia, nei tre anni passati l’Italia – solo per quanto riguarda i finanziamenti documentati nelle leggi sul rifinanziamento delle missioni – ha speso oltre 150 milioni di euro per la formazione del personale locale nei centri di detenzione libici e la fornitura di mezzi alla guardia costiera e alle autorità di Tripoli. Con un aumento delle spese anno dopo anno. A questi si aggiungono poi i 328 milioni stanziati da Bruxelles dal 2016 per finanziare i centri dove ora sarebbero detenuti circa 5mila migranti in condizioni che numerose organizzazioni hanno definito come disumane.
Le ong impegnate in mare, da Mediterranea a Medici senza frontiere, lo scorso 25 ottobre hanno incontrato la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, che però si è limitata a registrare le denunce delle organizzazioni sull’accordo libico, senza dare alcuna risposta. Con la Ocean Viking costretta ad aspettare comunque 11 giorni in mare prima di approdare in Italia. Al 30 settembre 2019, il 58% delle persone partite dalla Libia è stato riportato forzatamente indietro, nonostante le Nazioni Unite, la Commissione europea e la stessa magistratura italiana abbiano più volte affermato che la Libia non può essere considerata un Paese sicuro e che quindi le persone che tentano di fuggire non possono essere rimandate indietro.
Lo scorso luglio, la Camera ha rinnovato il finanziamento della missione in Libia e il sostegno alle motovedette libiche con 387 sì, 16 no e 3 astensioni fino a fine anno. Il Pd, allora all’opposizione, per evitare di spaccarsi anche in Aula, ha deciso di astenersi dopo una lunga discussione interna. Il prossimo banco di prova, con il Pd passato alla maggioranza, ora, sarà il rinnovo dei finanziamenti previsto per l’inizio del 2020. In tanti, tra deputati e senatori, chiedono di ridiscutere quei finanziamenti che, se dimezzati o azzerati, potrebbero di fatto rendere nullo l’accordo libico. Soprattutto considerato che, come ricordano in tanti, il memorandum di Minniti non è mai stato votato e ratificato dal Parlamento. Non è un caso che, nei documenti che riguardano le missioni militari in Libia, si faccia riferimento all’accordo del 2007 e non a quello del 2017.
I dissidenti alla linea Minniti ora sono pronti già a far scricchiolare il governo, soprattutto al Senato, dove i numeri sono più risicati. E avanza, tra i parlamentari, anche la richiesta di una Commissione d’inchiesta per fare luce sulla presunta trattativa tra i trafficanti libici e le autorità italiane, che Emma Bonino ha già accostato alla “trattativa Stato-mafia”. Anche perché, entro metà mese, è prevista una nuova pronuncia della Corte penale dell’Aja che probabilmente potrebbe far ricredere, per usare un eufemismo, molti di coloro che hanno sostenuto e continuano a sostenere l’accordo libico.