Per Antonio Tajani, l’Europa e l’America dovrebbero mettere i dazi sui prodotti cinesi e diffidare della Via della seta

L’ex presidente del Parlamento europeo parla di Brexit, degli italiani che vivono nel Regno Unito, della Commissione e di Gentiloni. E su Italia Viva di Renzi dice: «Forza Italia è l’unico partito moderato»

ARIS OIKONOMOU / AFP

Sono giorni particolari per Antonio Tajani. Da qualche mese non è più presidente del Parlamento europeo, ma il lavoro a Bruxelles non è mai stato così intenso. Ora è presidente della commissione Affari costituzionali del Parlamento Ue il cui dossier principale è la Brexit. Ma Tajani è anche il presidente della Conferenza dei Presidenti di commissione, ovvero l’organo che riunisce i capi di tutte le commissioni permanenti e temporanee del Parlamento europeo. Tradotto: in questa settimana di audizioni degli aspiranti commissari deve coordinare le interrogazioni che fanno i vari eurodeputati. Il vice presidente di Forza Italia sa cosa vuol dire stare dall’altra parte della barricata perché di audizioni in veste da commissario europeo ne ha subite due. La prima nel 2008 come commissario ai Trasporti, la seconda nel 2010 come commissario all’Industria, entrambi sotto la presidenza di José Barroso. Tra una riunione e un’altra trova il tempo di fermarsi con i giornalisti in una delle sale riunioni anonime del Parlamento europeo di Bruxelles. L’occasione è giusta per lanciare un monito ai media: «In Italia si sta sottovalutando la Brexit. Sembra che riguardi solo il Regno Unito. Non so se il governo italiano stia valutando tutte le contromisure necessarie. Rischiamo di perdere centinaia di posti di lavoro se non ci sarà un accordo tra Regno Unito e Unione europea entro il 31 ottobre. Esportiamo tanti prodotti agroalimentari verso l’Inghilterra che potrebbero subire tra pochi giorni dei dazi. La stampa parla poco degli effetti che potrebbe avere sui tanti italiani che vivono lì».

Ecco Tajani, parliamone. Cosa ne pensa della proposta inviata da Johnson?
Appena è arrivata la lettera inviata dal premier al presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, ci siamo riuniti nel Brexit steering group, il gruppo di lavoro del Parlamento europeo composto da me, presidente della commissione Affari Costituzionali competente per la Brexit e un rappresentante per gruppo politico. Il nostro giudizio è negativo. La proposta è confusa e difficilmente realizzabile. Non va nella giusta direzione. Il punto è che non basta una letterina, gli inglesi devono fare qualcosa di più. E non abbiamo molto tempo.

Cosa chiede l’Unione europea?
Da sempre abbiamo tre punti fondamentali che vogliamo fare rispettare. Primo, tutelare i diritti dei 3,5 milioni di cittadini europei che vivono nel Regno Unito. Di questi 700mila sono italiani e non vogliamo che perdano i diritti di cui godono ora. Secondo, la questione finanziaria. Il Regno Unito deve mantenere tutti gli impegni economici presi finora, compreso il finanziamento del budget comunitario.

Il terzo è il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord.
Vogliamo difendere l’accordo del Venerdì Santo del 1998 tra Dublino e Belfast per impedire che scoppi di nuovo una guerra civile. I segnali non sono positivi. Gli stessi servizi segreti britannici ci segnalano che i nazionalisti e gli indipendentisti già stanno raccogliendo le armi, dobbiamo disinnescare qualsiasi focolaio di tensione.

Johnson ha proposto una frontiera “flessibile” che renda più facile il passaggio dei beni da una parte all’altra delle due Irlande con controlli elettronici.
Non può diventare una frontiera groviera. Nel nostro mercato interno non possono entrare prodotti e animali che non rispettino le nostre regole sanitarie e gli alti standard europei. Dal tonno alla varichina alle carni magari provenienti dagli Stati Uniti che entrerebbero nel nostro mercato tramite la finestra inglese. Ne va della nostra salute.

Ha la sensazione che Johnson voglia fare uscire il Regno Unito il 31 ottobre senza un accordo?
Chiariamo una cosa. Già di per sé la Brexit crea più danni economici a Londra che a noi: la sterlina è calata a picco e gli investimenti esterni nel Regno Unito sono calati del 20%. Il problema secondo me è che gli inglesi guardano troppo all’aspetto politico e poco alle conseguenze economiche e sociali delle loro scelte. Questo è l’errore che stanno commettendo. E il futuro non è roseo. Già siamo in una fase di stagnazione dell’economia europea. Se arriverà la recessione saranno guai per tutti.

Il calo della crescita del Pil nell’eurozona è dovuto anche alla politica dei dazi voluta dagli Stati Uniti.
Sbagliano, perché è vero che il Wto ha permesso i dazi per gli aiuti di Stato ad Airbus, ma tra poche settimane anche l’Ue potrà imporre dazi agli Usa perché i Boeing hanno ricevuto aiuti illegali da Washignton tramite contratti pubblici per la difesa e sgravi fiscali. Le due cose si equivalgono. I dazi per un Paese esportatore come il nostro sarebbero una tragedia. Invece di attaccarci a vicenda dovremmo capire che il problema è un altro.

Quale?
La sovracapacità produttiva cinese. I dazi dovrebbero metterli insieme gli americani e gli europei ai prodotti di Pechino. C’è una strategia dietro, l’ha rivelata lo stesso Xi Jinping durante il congresso del Partito comunista cinese del 2017. Un’invasione economica dei mercati occidentali. La via della Seta serve a questo. Perché comprano il porto di Duisburg in Germania e il Pireo in Grecia? Perché è uno snodo fondamentale. Ed è lo stesso motivo per cui vogliono prendere i porti di Palermo, Trieste e Vado: avere dei punti dove far partire in modo semplice le loro merci per l’Europa. Un’offensiva legittima. Non dobbiamo chiudere i rapporti con Pechino ma bisogna capire come difendere i settori fondamentali della nostra economia.

Il vero problema è la sovracapacità produttiva cinese. I dazi dovrebbero metterli insieme gli americani e gli europei ai prodotti di Pechino

Parliamo dell’audizione di Gentiloni. Il suo collega del Ppe Markus Ferber non è sembrato felicissimo delle risposte generiche dell’ex presidente del Consiglio italiano.
Nessuna audizione è perfetta. Il Partito popolare europeo è il gruppo con più deputati nel Parlamento europeo e con più membri nella commissione affari economici che ha valutato Gentiloni. È normale che ci siano sfumature diverse all’interno. Lo stesso Ferber poi ha fatto la sintesi della volontà del gruppo che ha giudicato positiva l’audizione di Gentiloni. Certo, rimangono delle criticità che abbiamo segnalato nella lettera secretata inviata a Ursula Von der Leyen.

Lei è stato per due volte commissario europeo. Come furono le sue audizioni?
A differenza di quello che accade in Italia dove il ministro va con tutte le carte ed è assistito dagli assistenti a illustrare il suo programma. È un vero e proprio esame, anche psicologico. Ho faticato più a fare l’audizione che a dare diritto privato all’Università, per dare l’idea.

Perché secondo lei queste audizioni sono state più vivaci del previsto?
Il Parlamento non è stato contento della scelta fatta da capi di Stato e di governo di rinunciare al principio degli spitzenkanidaten, ovvero i leader dei partiti politici europei che si erano candidati alla carica di presidente della Commissione. Prima hanno rifiutato Weber che era arrivato primo alle elezioni, poi hanno indicato Timmermans, e infine hanno presentato Von der Leyen di cui non si era mai parlato prima. Questo ha avuto delle ricadute politiche. Non è un caso che Von der Leyen sia stata votata con una maggioranza finissima e che ora ogni commissario sia analizzato con grande cura da parte degli eurodeputati.

La nomina di Von der Leyen è stata poco democratica?
In un’Unione europea a 27 o 28 Stati c’è bisogno che le istituzioni siano molto vicine ai cittadini. È chiaro che se tutto si decide nelle stanze del Consiglio europeo e della Commissione, aumenta il malcontento. Se tutto appare come una scelta burocratica calata dall’alto i cittadini si allontanano. Certo, l’affluenza alle ultime elezioni è stata più alta rispetto agli altri anni ma c’è stato anche un numero più alto di cittadini che ha votato per i partiti euroscettici, populisti e sovranisti. Questo malcontento si sta riverberando anche nelle audizioni. Ma c’è una cosa che potrebbe fare Von der Leyen per recuperare.

Cosa?
Mantenere la promessa che ha fatto appena eletta: dare il potere d’iniziativa legislativa al Parlamento europeo, che oggi ha solo la Commissione europea. Finora i trattati non permettono agli eurodeputati di proporre da soli le leggi che poi approva con il Consiglio. Non perderemo tempo: avvieremo nei prossimi mesi alcune iniziative per portare avanti questa riforma.

Von der Leyen ha parlato di una conferenza sul futuro dell’Europa per discutere di come rendere l’Ue più democratica.
Non può essere una conferenza governata dagli Stati. L’Europarlamento è l’unica istituzione eletta direttamente, non può avere un ruolo secondario visto che si parlerà di migliorare la partecipazione dei cittadini. Ci sarà qualche tensione istituzionale sul tema, ma dal conflitto possono nascere sempre cose positive.

Lei ha pubblicato qualche giorno fa un video molto duro sulle condizioni dei prigionieri politici in Venezuela. Perchè?
Il Venezuela vive una delle più grandi comunità italiane all’estero. Ho pubblicato quel video perché è in pericolo la democrazia. Bisogna raccontare la verità. Maduro deve smetterla di usare dei sistemi violenti per reprimerere l’opposizione. Si comporta come un dittatore quale è.

Un‘ultima domanda sulla politica italiana. Cosa ne pensa di Italia Viva di Matteo Renzi? Potreste allearvi in futuro insieme?
Loro sono un partito di sinistra, noi di centro destra. Fa parte della famiglia socialista, vedremo se andranno con i liberali di Renew Europe. Noi siamo un’altra cosa, facciamo parte della famiglia del Partito popolare europeo di cui sono vice presidente e lì vogliamo rimanere. Forza Italia rimane l’unico partito dei moderati italiani.

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