Ricadute politiche della “confessione” di Mick Mulvaney
Il facente funzione capo dello staff, Mick Mulvaney, giovedì durante una conferenza stampa ha dichiarato ai giornalisti che gli aiuti all’Ucraina erano legati al desiderio di Trump di indagare sulle elezioni del 2016, ammettendo di fatto l’esistenza di un quid pro quo e dando così ancora più sostegno alle motivazione per le quali è stata iniziata la procedura di impeachment. Successivamente, Mulvaney ha ritrattato, consegnando alla stampa una dichiarazione scritta in cui diceva che le sue parole erano state fraintese. Democratici, analisti politici e anche qualche repubblicano, hanno trovato le parole di Mulvaney dannose per la posizione di Trump. Parlando con i giornalisti sabato, Trump ha però detto che non sta pensando al licenziamento di Mulvaney.
La CNN domenica ha riportato attraverso due fonti anonime di «sforzi per estromettere Mulvaney antecedenti all’inizio della procedura di impeachment». In particolare CNN dice che Jared Kushner, consigliere e genero di Trump, era in procinto di contattare due possibili sostituiti per il ruolo di chief of staff pochi giorni prima che Nancy Pelosi desse avvio all’impeachment. Domenica a FoxNews Mulvaney ha detto di non aver mai discusso con il Presidente un suo possibile licenziamento: «Penso che sto facendo un lavoro buono e credo che il Presidente sia d’accordo».
Piccole crepe nel fronte repubblicano
Francis Rooney, membro del Congresso, repubblicano della Florida, ha detto di non escludere la prospettiva di sostenere l’impeachment del Presidente. Sabato, dopo che Mulvaney aveva ammesso che il congelamento degli aiuti all’Ucraina era legato alla volontà di Trump di vedere aperta un’inchiesta sulle elezioni del 2016, ha definito le parole del chief of staff «preoccupanti», e ha detto che «congelare gli aiuti in connessione con la minaccia di leader stranieri non è buona cosa». Rooney ha anche detto che non si ricandiderà alle prossime elezioni.
L’ex Governatore dell’Ohio e ex candidato repubblicano alla presidenza John Kasich ha detto sabato alla CNN di approvare l’impeachment di Trump. L’otto ottobre scorso, Kasich si era detto contrario, ma sabato in diretta tv, ha dichiarato che le parole Mulvaney sul quid pro quo sono state quelle che gli hanno fatto cambiare idea. «Se Barack Obama avesse fatto qualcosa del genere, i repubblicani sarebbero impazziti».
Durante la trasmissione Fox News Sunday, Chris Wallace ha detto che un repubblicano molto introdotto gli ha detto che se la Camera votasse per l’impeachment e si arrivasse a un processo al Senato, la probabilità che un numero abbastanza alto di senatori repubblicani voti con i democratici per accusare il presidente sarebbe del 20%.
Cosa dicono i sondaggi
Un nuovo sondaggio della Quinnipiac University del 14 ottobre ha dato questi risultati: il l 51 percento afferma che l’impeachment è un’indagine legittima, mentre il 43 percento afferma che si tratta di una caccia alle streghe politica. Una maggioranza più forte, il 59 percento, disapprova il modo in cui il presidente Trump sta rispondendo all’impeachment. Il 32 percento approva il modo in cui sta rispondendo.
Opinioni
Su The Hill l’opinionista BJ Rudell, scrive che il destino di Trump è legato a quello di una manciata di senatori in stati chiave per le elezioni del 2020. In sostanza, per paura di perdere il Senato, un gruppo di senatori potrebbe decidere di abbandonare il sostegno a Trump. «È il Senato che detiene la chiave del destino di Trump, e non solo per quanto riguarda l’impeachment. Perché se dovesse arrivare presto la fine per questo Presidente, sarà per mano di diversi repubblicani che agiscono contemporaneamente: un fronte unificato e ben coordinato che cercherà di ottenere il controllo del partito prima che sia troppo tardi. Questo gruppo sarà probabilmente composto dai senatori repubblicani più vulnerabili e dai loro alleati. La loro missione sarà chiara: tagliare Trump per salvare il Senato».