Dietro le sbarreSovraffollate e senza speranza di miglioramento: lo stato del disastro-carceri in Italia

Con 60mila detenuti per appena 47 mila posti disponibili, il nostro Paese non ha ancora trovato una risposta. Stipati spesso in meno di tre metri quadrati di spazio, il rischio che i reclusi possano presentare nuovi ricorsi alla Corte di Strasburgo è sempre più alto

Dieci anni, senza soluzioni: l’Italia si trova costretta a dovere affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri. A conferma c’è il quindicesimo rapporto pubblicato dall’associazione Antigone sulle condizioni di detenzione “Il carcere secondo la Costituzione”. Dopo un iniziale calo nel 2010, il numero dei detenuti presenti nelle strutture penitenziarie italiane negli ultimi due anni ha ricominciato a crescere. Al 30 settembre infatti si calcolano oltre 60mila reclusi, con un tasso di sovraffollamento del 120 per cento. L’Italia, che con il Regno Unito, la Polonia, la Germania e la Spagna si conferma uno dei Paesi con il numero più alto di reclusi nell’Unione europea, non è riuscita dal 2013 – quando la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha emesso una condanna per trattamento inumano e degradante al pagamento di migliaia di euro di risarcimento per danni morali a favore di alcuni detenuti – a oggi a intervenire in modo incisivo su un problema che, stando anche a quanto dichiarato dal comitato dei ministri del Consiglio europeo, è strutturale. E che non riguarda singole celle o un numero limitato di detenuti.

«Tra i 60 mila detenuti più di un terzo sono stranieri, uno su tre sono persone affette da disturbi psichiatrici, mentre due su tre sono tossicodipendenti o alcoldipendenti»


Aldo Di Giacomo

«Il sovraffollamento è un problema da cui partire, afferma Aldo Di Giacomo, sindacalista del Corpo di Polizia Penitenziaria, ma è solo uno dei tanti che riguardano le carceri italiane». Se negli ultimi dieci anni ci sono stati diversi provvedimenti legislativi per ovviare alla situazione degli istituti penitenziari, anche a fronte di un netto calo dei crimini denunciati alle forze di Polizia – come l’indulto, o il tiepido intervento di depenalizzazione di alcuni reati – secondo Di Giacomo, la questione che non è mai stata affrontata è quella su chi sono i detenuti delle 190 carceri italiane. «Tra i 60mila reclusi, più di un terzo sono stranieri, uno su tre sono persone affette da disturbi psichiatrici, mentre due su tre sono tossicodipendenti o alcoldipendenti», denuncia.

Nel frattempo i posti disponibili nelle carceri italiane restano poco più di 50mila, un numero, diffuso dal ministero della Giustizia a luglio 2019, che non tiene conto delle numerose sezioni chiuse: Alba, Nuoro, Camerino – vuota dal terremoto che ha colpito l’Umbria nel 2016 – Como, Brescia, Taranto solo per citarne alcune. Per un totale di almeno 3mila posti non agibili che devono essere sottratti dai 50mila dichiarati dal ministero della Giustizia. In molti di questi istituti penitenziari, come denunciato dall’associazione Antigone, ci sono situazioni limite, con celle che non rispettano il parametro minimo dei tre metri quadrati di spazio per detenuto. E che lascia aperti i margini perché la Corte di Strasburgo emetta nuove pesanti condanne contro l’Italia.

Ma col sovraffollamento, negli ultimi due anni, nonostante il calo dei reati denunciati e la diminuzione degli ingressi nelle carceri, a peggiorare non sono solo le condizioni di vita dei detenuti, ma anche quelle di lavoro dei poliziotti penitenziari. Al drammatico aumento del numero dei suicidi tra i reclusi, si aggiunge quello delle guardie carcerarie, con casi sempre più frequenti di liti, abusi e violenze. Non solo. Di detenuti in possesso di telefoni cellulari che, come denuncia Di Giacomo, gli permettono di avere contatti con l’esterno e di commettere, seppure all’interno delle mura penitenziarie, altri reati. Anche la detenzione di sostanze stupefacenti, l’ingresso di farmaci, soprattutto psicofarmaci circa l’80 per cento dei reclusi ne fa uso – utilizzati spesso come merce di scambio, sono problemi gravi che, come sottolinea Di Giacomo, passano erroneamente in secondo piano.

Il sindacalista punta il dito anche contro la vigilanza dinamica, che può funzionare solo come sistema premiale, e non per tutti i detenuti. Per chi ha già scontato una parte della pena e non ha commesso nessun altro reato all’interno del carcere. Oggi sussiste un meccanismo distorto, che ha comportato un aumento del numero delle evasioni, che sono i permessi premio. I casi sono aumentati di 600 volte negli ultimi due anni, per questo motivo focalizzarsi sul sovraffollamento o sulla carenza di organico non è sufficiente. «La detenzione si gestisce con altre misure, se metti insieme detenuti con problematiche diverse, il sistema non funziona. L’intera macchina smette di funzionare».

«Le misure cautelari alternative sono la via maestra per ridurre i detenuti»


Marco Taradash

Tanti i problemi, ma non mancano le soluzioni. Anche se restano sempre le stesse. «Le misure cautelari alternative sono la via maestra per ridurre i detenuti», sostiene Marco Taradash, rappresentante di +Europa. Sulla stessa linea anche Alessio Scandurra, Coordinatore dell’osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione di Antigone, secondo cui «già adesso in Italia ci sono misure che risparmiano il carcere ai detenuti che funzionano e che vanno semplicemente implementate. Costano 1/10 del carcere tradizionale, perché non usarle per ridurre l’utilizzo della misura detentiva?». Un principio forse facile da applicare, ma serve soprattutto la volontà politica. Il tentativo promosso dall’ex ministro della Giustizia Orlando nel 2017 di favorire provvedimenti alternativi come la detenzione domiciliare, l’affidamento ai servizi sociali o la semilibertà è stato poi affossato dal successivo governo gialloverde. Volontà che cambiano ma per Scandurra servirebbe uno sforzo in più. «È chiaro come sia necessario depenalizzare alcuni reati esistenti, perché da troppo tempo in Italia si ha la tendenza a introdurre nuovi reati nel Codice penale per ogni emergenza sociale, vera o presunta». Una misura controversa, ma gli ostacoli di natura politica non mancherebbero di certo. Soprattutto se si comincia a parlare di sostanze stupefacenti. «Cambiare la legislazione in materia permetterebbe di togliere molta gente dalle carceri, la depenalizzazione qui è necessaria così come nel contesto dei reati contro il patrimonio, spesso effettuati proprio in tale logica», conclude Scandurra.

«Costringere il condannato a stare in un posto scomodo, angusto, malsano, antigienico come sono le carceri oggi vuol dire solo aggiungere un ulteriore afflizione»​


Alessio Scandurra

Secondo di Giacomo, però è necessario riflettere anche su altro. «Data l’attuale situazione delle carceri italiane, servirebbe prendere come modello il carcere di Rimini. Una struttura detentiva che ha permesso non solo di far rispettare la pena ma anche di curare i tossicodipendenti. E questo ha aiutato notevolmente, perché ha permesso di far calare la recidiva dopo la scarcerazione del 98%». Un modello che funziona, da prendere certamente in considerazione. Lo stesso non si può dire dell’idea di nuove carceri, proposta dal governo gialloverde riadattando vecchie caserme. Il ministro Bonafede aveva promesso 9 mila letti in più in 5 anni. Una proposta che però non trova il placet né del sindacato di polizia giudiziaria, per di Giacomo «è una misura inutile e senza un reale effetto», né dei due rappresentanti di +Europa e di Antigone. Taradash definisce l’idea «arcaica, perché serve pensare a come costruire delle carceri efficienti nel terzo millennio. L’idea che c’è adesso è rimasta ferma al ‘600/’700». Una concezione ormai passata che anche Scanderra ha riscontrato. «Le nuove carceri non servono, la misura detentiva deve consistere nella privazione della libertà in un posto sano. Costringere il condannato a stare in un posto scomodo, angusto, malsano, antigienico come sono le carceri oggi vuol dire solo aggiungere un ulteriore afflizione. Non si possono combattere così i problemi». Un punto fermo da cui anche il governo giallorosso deve ripartire. La discontinuità tanto promessa dovrà passare anche da qui.

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