C’è un dossier scottante che galleggia nella guerra a bassa intensità tra politica e Servizi Segreti lungo l’asse Roma-Washington. Una sorta di elefante nella stanza che potrebbe creare molti grattacapi al governo e alla maggioranza parlamentare. Il contro-spionaggio italiano ha da tempo aperto un file sulla Link, l’università teatro della scomparsa di Joseph Mifsud il professore maltese tra gli attori principali dell’inchiesta sul Presidente Usa Donald Trump.
Il report composto dalla divisione dell’Aisi (Agenzia informazioni e sicurezza interna) che si occupa di controspionaggio è datato 2016 e viene aperto, sulla base del racconto di una fonte del Servizio, poco prima del capolavoro diplomatico di Mifsud, l’accordo tra la Link e l’università moscovita Lomonosov.
La data è importante perché è grazie a quell’accordo che la Link si avvicina al mondo putiniano e a una serie di personaggi di nazionalità russa molto importanti. A partire da Ivan Timofeev, figura chiave del Russiagate: secondo l’inchiesta Mueller proprio a lui Mifsud si rivolge per creare il contatto con l’entourage di Trump come promesso a Papadopoulos, responsabile per la campagna presidenziale dei contatti con l’estero.
La Link diventa così oggetto di investigazione della divisione più delicata del AISI quella che indaga sui tentativi di spionaggio all’interno dei confini nazionali. Con un gigantesco problema che oggi potrebbe far scoppiare una polemica senza precedenti. Agli 007 basta davvero poco per rendersi conto che la Link viene frequentata da parlamentari, del Pd e del Movimento e dagli stessi capi dei servizi.
Sono gli anni in cui il partito italiano filo-Putin mette radici ed è trasversale. Sono gli anni delle visite di folte delegazioni a Mosca del M5S e della Lega. Ma anche di Renzi che prima promette a Putin di impegnarsi per la fine delle sanzioni e poi rompe con Mosca dopo una burrascosa telefonate del 2 novembre in cui accusa Putin di invadere con le sue tv satellitari il web italiano di fake-news.
Nel corso degli anni alla Link mettono piede i vertici degli apparati, dal Capo del DIS Vecchione, senza alcuna esperienza di intelligence, a Bruno Valensise, oggi numero due del Dis ed ex-direttore dell’Ufficio centrale per la segretezza
Nel corso degli anni alla Link mettono piede i vertici degli apparati, dal Capo del DIS Vecchione, voluto fortissimamente da Conte pur senza alcuna esperienza di intelligence, a Bruno Valensise, oggi numero due del Dis ed ex-direttore dell’Ufficio centrale per la segretezza, tra i più delicati dell’AISI perché che rilascia i Nulla osta di sicurezza, sorta di patenti che attestano il grado di affidabilità per aziende e singoli cittadini oltre che ovviamente per esponenti di governo e ufficiali delle forze dell’ordine.
Ma è la scomparsa di Mifsud a rendere caldissimo il file. Possibile che di fronte alla scomparsa di uno degli uomini chiave del Russiagate nessuno indaghi? Non lo fa la Procura di Roma, non lo fanno i servizi? In realtà sì, qualcuno continua ad indagare. Gli analisti dell’Aisi iniziano a scavare alle origini dell’Università retta da Scotti. Come nasce e prospera la Link? Quali sono le sue fonti di finanziamento?
Fino al 2015 la Link occupava in affitto da un ente religioso una parte di una palazzina in Via Nomentana 335. Dal 2016 però tutto cambia e avviene il trasferimento in una sede, quella attuale, molto prestigiosa, il Casale S.Pio V ai margini di Villa Paphili. Una svolta improvvisa e rimasta misteriosa. Di certo c’è che fino al 2015 molti insegnanti della Link si lamentavano di non essere mai stati pagati, tant’è che proprio il Movimento presenta una durissima interrogazione parlamentare avanzando dubbi sulla gestione finanziaria e didattica dell’ateneo privato. C’è anche chi ricorda che l’affitto all’ente religioso per la vecchia sede non venne mai del tutto saldato.
Nel 2016 quindi avviene il grande salto: una sede prestigiosa e assai costosa e lo sbarco in Link di soci come Mifsud e Roh, avvocato svizzero. Mifsud ha un ruolo centrale nell’accordo con l’Università moscovita Lomonosov, fucina del regime russo. L’accordo viene firmato alla fine del 2016, presente Mifsud, e poche settimane dopo nella nuova sede della Link un ampio locale viene messo a disposizione della Lomonosov. Una fonte de Linkiesta racconta che in quel locale «era sempre presente una ragazza russa che faceva funzioni di segretaria di Mifsud e Roh». In quel locale dedicato all’università moscovita si trovava spesso anche un avvocato, ex-ufficiale dell’esercito russo in Sud America – Bolivia, Argentina, Colombia e Brasile – che il primo dicembre 2016 ha tenuto alla Link una conferenza presentata da Mifsud e alla presenza di Scotti e Roh (nel video è quello calvo accanto a Scotti). L’intervento di Aleksey Aleksandrovich KLISHIN, questo il nome dell’ospite della Link, fu un classico dell’ideologia putiniana, contro l’UE e gli Stati Uniti dominatori dell’ordine unipolare. Tutto davanti agli occhi di Scotti.
Rimane però il mistero dei soldi che con ogni evidenza hanno trasformato la Link da piccola realtà accademica a centro di elaborazione politica che fornisce personale e know how a ben due governi apparentemente di segno opposto
La cui versione su Mifsud, «non ha mai fatto lezione da noi, non ha avuto alcun ruolo», inizia decisamente a vacillare.
Rimane però il mistero dei soldi che con ogni evidenza hanno trasformato la Link da piccola realtà accademica a centro di elaborazione politica che fornisce personale e know how a ben due governi apparentemente di segno opposto. Né l’arrivo di Roh né tantomeno la partnership con la Lomonosov possono aver consentito questa trasformazione. Quella era la superficie visibile.
C’è un finanziatore che è rimasto occulto? Questa l’ipotesi degli analisti, alla quale al momento non c’è risposta.
Il fascicolo sulla Link è rimasto a galleggiare fino a che nel 2018 una delle insegnanti che incarnava la liason tra la Link e l’università preferita dal regime di Putin diventa Ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, mentre altre due candidate dal Movimento provenienti dalla Link, Elisabetta Del Re e Paola Giannetakis, pur candidate agli Esteri e al Viminale in campagna elettorale, non riescono nel grande salto. Nel master che la Trenta avrebbe dovuto tenere a Mosca in seguito all’accordo tra Link e Lomonosov ci sono pezzi da novanta della propaganda putiniana, mica semplici accademici. Tra questi c’è ovviamente Timofeev, e con lui Yury Sayamov, diplomatico e consigliere del Cremlino. C’è il filosofo Alexander Chumakov, che ha elaborato la visione della globalizzazione adottata dal nuovo Zar. E c’è Olga Zinovieva, vedova di Alexander Zinoviev, uno degli ideologi dell’era putiniana.
Intanto Mifsud scompare alla fine del 2017. L’inchiesta di Mueller su Trump lo disegna come uno dei testimoni più importanti del Russiagate. La Link e la Lomonosov cancellano non solo la loro partnership ma anche ogni traccia dai rispettivi siti, come il video che vi abbiamo proposto. Mifsud diventa un fantasma anche nel mondo digitale.
Non c’è nessun ordine ovviamente che stoppi l’indagine della divisione; tecnicamente è ancora aperta. Ma i file si accumulano su professori italiani e russi, su Mifsud e i suoi mille agganci. Ma anche su parlamentari ed ex-ministri che alla Link sono di casa. Con una domanda che all’interno dei servizi in molti si fanno: «Perché i nostri capi frequentano la Link se essa è oggetto di un’inchiesta degli stessi servizi?». La risposta è banale e sconcertante: per fare passerella, per stringere rapporti politici, per fare carriera.
Il premier Conte è perfettamente a conoscenza di questo dossier. Rivelarne il contenuto, magari per accontentare le richieste dell’Amministrazione americana, potrebbe essere un’arma a doppio taglio. In fondo il Conte 1 è un operazione che nasce con molti esponenti della Link. Ma anche il Conte 2. E allora, che fare?