Si è sentito parlare spesso di ragazzi, di adolescenti che aggrediscono i propri insegnanti. Tanti i casi di cronaca verificatisi solo lo scorso anno. Professori aggrediti fisicamente con caschi o sedie o verbalmente, con minacce e insulti. “Bulli” insaziabili. Che non si accontentano della violenza e della prepotenza quotidiana contro i compagni. Anche se il fenomeno tende a essere marginalizzato, nella scuola italiana non sono mancati episodi di violenza da parte degli insegnanti contro i propri alunni. Vessazioni psicologiche e fisiche che non risparmiano neppure i bambini delle scuole dell’infanzia.
Così mentre a Roma, in una scuola elementare, una bambina con disabilità si è scoperto essere stata presa di mira dalla propria insegnante di sostegno – nonostante la querela della madre, la maestra è rimasta al fianco dell’alunna per oltre un anno, fino a quando a smascherare i soprusi non si sono fatti avanti i compagni di classe – a Reggio Calabria, ancora una volta in una scuola elementare, un’altra maestra, ora sospesa dal proprio ruolo, è stata denunciata per avere in più occasioni maltrattato, percosso e minacciato alcuni alunni. Anche nella Provincia di Monza, copione simile: pochi giorni fa, due maestre di una scuola dell’infanzia sono state sospese perché accusate di avere umiliato dei bambini dell’asilo. Casi di cronaca che spesso hanno meno risonanza, a causa delle difficoltà di bambini e adolescenti e degli stessi istituti scolastici nel denunciare gli insegnanti coinvolti, che tendono in questo modo a rimanere più facilmente «sommersi». A dirlo è la dottoressa Maura Manca, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza e psicoterapeuta
Già nell’anno scolastico 2016/2017, si è calcolato che il 20 per cento degli insegnanti aveva commesso violenza, maltrattamenti e pressioni psicologiche nei confronti dei propri alunni. Secondo un recente studio condotto dall’Osservatorio Nazionale Adolescenza per l’anno scolastico 2018/2019 su un campione di 3875 adolescenti di età compresa tra gli 11 e i 13 anni l’11 per cento ha dichiarato di essere stato insultato, denigrato o aggredito verbalmente da una maestra quando frequentava la scuola dell’infanzia o quella elementare. Il 6 per cento ha invece ammesso di essere stato strattonato, spinto, picchiato. Il 5 per cento infine è stato costretto ad abbandonare la scuola perché aveva problemi con la propria insegnante, mentre l’8 per cento ha raccontato di essere stato denigrato o insultato da un professore alla scuola media, contro un due per cento che è stato picchiato o strattonato.
«Ovviamente quando parliamo di ragazzi più grandi cambiano le prepotenze messe in atto da parte degli insegnanti», afferma la dottoressa Manca. Un adolescente è perciò più capace di reagire. Sottometterli, soprattutto fisicamente, è più difficile. I casi di violenza fisica o d’insulti si concentrano di più nelle scuole dell’infanzia e nelle materne. «I bambini sono piccoli, hanno maggiori difficoltà a comprendere realmente la gravità di ciò che stanno subendo, e si trovano disorientati. Sanno che quella è la scuola, la maestra è il loro punto di riferimento, perché gli è stato detto anche dai genitori, e non hanno la capacità o non sono messi nella possibilità di parlare. O almeno di farlo subito».
Quel che serve è allora un meccanismo adeguato di valutazione del singolo insegnante dobbiamo iniziare a valutare adeguamente anche la stabilità psichica del corpo docente
È proprio in questi casi che gli insegnanti si approfittano del loro ruolo, sono coscienti che i bambini minacciati con ritorsioni psicologiche anche pesanti preferiscono tenere tutto dentro. L’aspetto più grave, su cui la dottoressa Manca insiste, è che si assistono a vessazioni su bambini che hanno difficoltà di apprendimento. Il caso di Roma ne è la prova. «Ci sono persino casi in cui gli insegnanti prendono in giro un alunno, davanti ai compagni della classe, per degli errori commessi, per esempio, nell’ortografia o nella lettura», racconta. Episodi questi in cui gli insegnanti tendono a scaricare la propria frustrazione, «assumendo condotte che sono da considerarsi forme di violenza che hanno le stesse ripercussioni di quelle fisiche». Peggio, perché in questo caso anche gli adolescenti per vergogna scelgono di non denunciare.
Quel che serve è allora un meccanismo adeguato di valutazione del singolo insegnante «legata ancora al suo livello di formazione. Il fatto di avere una laurea non significa che sei pronto per l’insegnamento, significa che sei formato da un punto di vista dei contenuti», denuncia la dottoressa Manca. «Ma l’insegnamento è un tipo di professione esposto a un alto rischio di stress di tipo correlato, per questo dobbiamo iniziare a valutare adeguamente anche la stabilità psichica del corpo docente, che ha in mano non solo la formazione dei bambini ma anche la loro salute».
Le difficoltà che maestri e insegnanti sono costretti ad affrontare sul lavoro, con classi troppo numerose in cui ci sono sempre più bambini che hanno problemi o soffrono di disabilità possono contribuire a questi episodi. «Ma è chiaro – insiste la dottoressa – che la violenza sugli alunni non può essere mai giustificata». E poi c’è la responsabilità che la scuola nel suo insieme dovrebbe essere capace di assumersi: «Tantissime volte non s’interviene, perché non ci si rende conto delle conseguenze che queste violenze di qualunque natura hanno sui bambini e sugli adolescenti, che sviluppano ansia, condizioni di stress, depressione e scarsa autostima», sottolinea. E che li spinge alla chiusura, alla remissività e all’isolamento, con il rischio di diventare poi facili prede anche dei compagni. Un circolo vizioso insomma che rischia sul serio di alimentare la piaga del bullismo nella scuola italiana.