Quota 100 e tanta fantasiaEcco perché l’Italia non convince la Commissione europea

La legge di Bilancio del 2020 non entusiasma Bruxelles. Cambia il tono ma non la sostanza: deficit strutturale troppo alto, promesse difficilmente realizzabili e poco coraggio nel fare le riforme che servirebbero davvero

Afp

Bene, ma non benissimo. Il documento programmatico di bilancio 2020 italiano approvato martedì notte dal Governo è arrivato sul tavolo della Commissione europea senza particolare entusiasmo. Dopo un anno sovranista, Roma e Bruxelles sono tornate al rito del dialogo costante, il tono si è abbassato ma le criticità rimangono sempre quelle. Queste le prime impressioni dette a mezza bocca da due funzionari europei contattati da Linkiesta. Nessuno vuole sbottonarsi troppo. Il testo è arrivato assieme a quello di altri 26 governi e non c’è stato il tempo tecnico di leggere con attenzione i provvedimenti promessi, né di chiarire tutti i dubbi. Le prime raccomandazioni scritte nero su bianco arriveranno entro fine novembre ed è probabile che a scriverle sia ancora il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici, visto lo stallo che blocca ancora la formazione della nuova commissione Von der Leyen. A uno sguardo veloce ci sono alcuni passaggi che hanno fatto alzare qualche sopracciglio. Alcuni esperti dei corridoi del Berlaymont fanno capire tra le righe che ci sono sono almeno tre punti critici su cui si discuterà con Roma non appena arriverà il testo definitivo: deficit strutturale troppo alto, mantenimento di misure che aumentano la spesa corrente senza visione futura come quota 100, promesse poco credibili sulla lotta all’evasione fiscale.

Nessuno ha voglia di fare la guerra al governo italiano ma la sensazione è che si stia tornando al solito Italian job: trattativa ininterrotta, nessun provvedimento scellerato, ma poco coraggio nel fare le riforme che servirebbero veramente all’Italia. La paura è che Roma continuerà la politica del piagnisteo: del “fateci fare deficit o tornerà il lupo cattivo sovranista”. Visto com’è andata l’ultima volta, a Bruxelles si chiedono se valga la pena accontentarli di nuovo. A deciderlo sarà il commissario all’Economia Paolo Gentiloni, quando entrerà in carica. Ovvero il campione della stagione politica durante la quale si chiedeva flessibilità all’Europa per non far arrivare i barbari al potere.

Il primo problema che questa manovra non risolve è quello del deficit strutturale. Tradotto: la differenza tra le entrate e le uscite, ma senza le misure temporanee che il governo italiano usa spesso per fare cassa, come i condoni, per fare un esempio. Per Bruxelles è un parametro fondamentale perché misura il vero miglioramento dei conti pubblici. Più è basso, più c’è la possibilità che il nostro pesante debito pubblico arrivato a quasi 2500 miliardi, diminuisca. L’Italia però è lo Stato Ue che ha alzato di più il suo deficit strutturale nel 2019 e il governo giallorosso non solo non lo diminuirà ma prevede di aumentarlo dello 0,1% portandolo all’1,4% del Pil. A luglio la Commissione Ue aveva chiesto al governo Lega-M5S di ridurlo di 0,6% punti percentuali. Quindi lo scarto tra quanto vuole Bruxelles e quanto promette Roma è dello 0,8%. Per capirci il governo chiederà alla Commissione di concedere 14 miliardi di nuova flessibilità. Ovvero nuovo debito “concesso” dalla Commissione Ue in barba ai trattati europei. Ma dal Berlaymont si chiedono perché nel giro di sei mesi dovrebbero cambiare completamente la loro posizione, soprattutto se continua a crescere il debito pubblico italiano, arrivato al 134% del Pil, che aumenterà dell’1,1% nel 2020. Assicurano che sarà fatto notare nelle raccomandazioni ma per capire se ci sarà un vero braccio di ferro bisognerà aspettare che Paolo Gentiloni entri in carica. Il commissario Ue all’Economia in pectore ha fatto capire che userà tutta le flessibilità prevista nei trattati europei.

La misura che ha stupito alcuni funzionari Ue è la decisione di non toccare quota 100. Poteva essere considerato il gesto per mostrare il nuovo corso visto che in estate sia la Commissione europea che l’Ecofin, l’organo che riunisce i ministri delle Finanze dei 28 Stati Ue, avevano chiesto di abolirla per evitare la procedura d’infrazione. «Attuare pienamente le riforme pensionistiche precedenti per ridurre la quota delle pensioni nella spesa pubblica e creare spazio per altre spese sociali e di crescita», si leggeva nella raccomandazione dell’Ecofin. Tradotto: lasciate stare la Fornero e usate i miliardi risparmiati per fare le riforme. Dal Berlaymont fanno notare che se si abolisse quota 100 si risparmierebbero quasi 17 miliardi (8,3 miliardi nel 2020 più gli 8,6 nel 2021 secondo l’Agi), molto più della flessibilità che il governo italiano chiederà alla Commissione Ue. Per questo è quasi scontato un richiamo nel parere di fine novembre.

Fin qui abbiamo parlato della spesa. Ma Bruxelles contesterà anche i provvedimenti per aumentare le entrate. A preoccupare non sono i 4,3 miliardi di euro che secondo il governo saranno trovati grazie a una tassazione maggiore sui giochi d’azzardo, e a degli interventi per ridurre gli abusi della cosiddetta flat tax per le partite Iva, quanto i 3,2 promessi dalla lotta contro l’evasione fiscale. La cifra è già un passo in avanti rispetto ai 9 miliardi promessi dal Nadef ma qualche funzionario si chiede se basterà la lotteria degli scontrini per risolvere il problema. Dubbi legittimi visto che l’Italia è il Paese Ue dove si riscuote meno l’Iva: 33 miliardi persi nel solo 2017. È lecito chiederselo visto che si evade di più a Padova che in Svezia: 649 milioni di Iva non riscossa nella città veneta contro i 465 milioni degli svedesi. (dati di Fabbrica Padova, centro studi di Confapi). Sembra fin troppo ottimistico pensare di risolvere tutto incentivando il pagamento elettronico. L’Italia è ventitreesima nella classifica dei 28 Stati Ue per l’utilizzo dei pagamenti elettronici (Forum Ambrosetti) e non basterà scriverlo in un documento per cambiare la tendenza. O il rischio è che venga presa come una lettera dei desideri.

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