Immigrati italianiI più autentici cowboy del Nevada sono italiani. Ecco a voi la famiglia Fallini (since 1868)

Anna ha iniziato a lavorare nel ranch di famiglia quando aveva 5 anni. E fin dai suoi primi passi le motivazioni le ha trovate seguendo le orme del suo trisavolo, un italiano di nome Giovanni Fallini. Comasco e immigrato

La sveglia di Anna suona alle 5 del mattino ogni giorno. Fuori dal ranch, il sole inizia a farsi vedere. Dentro, le faccende da sbrigare sono tante. «A maggio e goiugno abbiamo le settimane più lunghe, ma anche il resto dell’anno è dura» dice, mentre prepara uova e bacon a fianco del marito Ty. Durante gli inverni rigidi del Nevada, sono solo loro due a condividere quella cucina. In primavera, invece, arrivano gli aiuti dei ranchers e delle ranchers di zona e dei familiari per l’attività di branding, la marchiatura dei vitelli. E le bocche da sfamare si moltiplicano. «Viviamo aspettando quelle settimane, sono le migliori».

Di colazioni all’alba, Anna Fallini ne ha vissute a decine nella sua vita. Nel ranch di famiglia ha iniziato a lavorarci quando aveva 5 anni. E fin dai suoi primi passi le motivazioni le ha trovate seguendo le orme del suo trisavolo, un italiano di nome Giovanni Fallini. Comasco e immigrato. Trasferitosi in Nevada, all’età di 13 anni, per fare il carbonaro. Rancher, dal 1868. “Un uomo esemplare, alla cui figura dobbiamo tutto”, spiega Anna in inglese. È nel segno di quel giovane italiano, che la famiglia si è insediata nel 1947 nel Twin Springs Ranch, un’area a 200 miglia a nord di Las Vegas nascosta lungo la Extraterrestrial Highway, nel cuore della Nye County. Per tutti però, quella proprietà è conosciuta con un solo nome: “Fallini ranch”. E ora, cinque generazioni dopo, è lei a tenerne le redini.

Gli stereotipi attorno all’immagine dei ranch sono solitamente due: si dice che siano ambienti esclusivamente maschili e che siano dei posti “100% americani”. La storia di Anna, oggi 43enne e pronipote di un comasco, smentisce entrambi

Gli stereotipi attorno all’immagine dei ranch sono solitamente due: si dice che siano ambienti esclusivamente maschili e che siano dei posti “100% americani”. La storia di Anna, oggi 43enne e pronipote di un comasco, smentisce entrambi. Innanzitutto perché non è facile definire cosa voglia dire “100% americano”, in un Paese fondato sull’immigrazione. E poi perché al fianco di Anna e Ty, nelle settimane più calde, non ci sono solo cowboys.

Donne e uomini, giovani e meno giovani, lavorano fianco a fianco seguendo gli stessi compiti. Le figliastre di Anna, Dusti e Sage Borg. Ma anche la sorella, Corinna Fallini, con la figlia Rheanna e il figlio Erik Jackson. E ultimo ma non meno importante, il piccolo Giovanni Fallini, omonimo dell’arcibisnonno, che tutti nel ranch chiamano “Gio”, con l’accento sulla “i”. Fresco 11enne, figlio di Anna e Ty, da grande sogna di studiare ad Oxford e di fare l’avvocato. Oggi, però, sa salire sul cavallo lasciatogli dalla mamma con una facilità sorprendente.

Anna è il perfetto esempio di una generazione di donne che si sta prendendo, sempre di più, la guida dei ranch negli stati dell’ovest, in America. Secondo il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, il 14 percento degli 2,1 milioni di ranch aveva un proprietario femminile, nel 2012. Un trend oggi in crescita e destinato a diventare regola. Nei prossimi vent’anni, si prevede che oltre la metà di queste proprietà negli States cambierà di mano. E dopo generazioni di uomini, toccherà spesso alle donne.

«Ma non credo sia giusto dire che sia io a guidare questo posto» spiega Anna. Che dopo aver preso due lauree, una in ingegneria e una in Biological resources ed essersi sposata e aver divorziato con un pilota della marina, trasferendosi in Florida, ha sentito il bisogno di tornare a casa. Nel 2005 si è risposata. Con Ty, anche lui reduce da un divorzio, capitato per caso a lavorare nel ranch dei Fallini durante una delle tante stagioni di branding. «Siamo una famiglia, è un lavoro di squadra dove tutti hanno un ruolo cruciale» spiega Anna.

I ritmi della vita, qui, seguono quelli della natura. I cellulari prendono poco. I più piccoli si divertono chiacchierando e giocando un po’ con gli animali e un po’ con gli smartphone. Ci si sveglia con l’arrivo della luce, si va a dormire subito dopo il tramonto. Nel mezzo, finita la colazione, le attività proseguono frenetiche. Prima Anna dà da mangiare agli animali che popolano il ranch. Il coniglio e le pecore, la tartaruga e le anatre, i due cani e il gatto. Poi, alle 7, poco dopo che Ty e gli altri hanno preparato i cavalli, si parte per le strade della Nye County alla ricerca dei vitelli.

«Arriviamo a essere fino a 30 persone a lavorare, nelle settimane di giugno e luglio» racconta Anna, la cui famiglia, assieme a quelle dei vicini, ha due obiettivi: capire quali mucche già marchiate siano pronte alla vendita e marchiare quelle più giovani, prima che qualcuno le rubi. «Succede ancora oggi» spiega Joe, un omaccione sulla cinquantina. In inverno, Joe insegna nella scuola del ranch, popolata da una decina di ragazzini tra i 6 e i 14 anni, tra cui il piccolo Giovanni. In estate, aiuta i Fallini. Sua figlia studia in Irlanda. Lui ha una storia particolare: ha insegnato inglese in Kosovo e in Georgia, ora si assicura di fare bene il suo lavoro in Nevada, dove è nato. « Ma sogno la Sicilia».

Joe è un nome importante, per i Fallini. Oggi è amico e maestro della scuola invernale. Ma ieri, un altro Joe, aveva avuto l’onere di prendere le redini della famiglia nella prima metà del ‘900. Erano in tre: Willy, Raymond e Joe. I Fallini Boys. Ed erano tre, le ragazze: Marie, Mildred ed Ethel. Le Fallini Girls. Cresciuti con gli insegnamenti di papà Giovanni, che dopo la scomparsa della moglie, l’italo-americana Mary Scarmella ammalatasi di tubercolosi e mai riuscita a tornare a casa dall’ospedale di San Bernardino in California, li ha voluti educare da solo.

«La burocrazia ha sempre rallentato il nostro lavoro. Il governo è arrivato dipo di noi e ha sempre voluto dirci cosa fare delle nostre terre» dice. E ora, il problema è rappresentato dai dazi

È grazie ai Fallini Boys, imprenditori di zona di successo e alle Fallini Girls, che oggi Twin Springs Ranch esiste ancora. Una tradizione coltivata più di tutti, dal papà di Anna, Joe Jr. Una vita passata nei campi assieme alla moglie Susan, 76 anni. Ha sempre avuto molti amici e un solo grande avversario: il governo. «Hanno cercato, fin dagli anni ’50, di metterci i bastoni tra le ruote su tutto» dice. Prima la riduzione delle aree di pascolo. Poi quelle del bestiame. Infine le regolamentazioni.

«La burocrazia ha sempre rallentato il nostro lavoro. Il governo è arrivato dipo di noi e ha sempre voluto dirci cosa fare delle nostre terre» dice, seduto su una sedia a dondolo di fronte la porta di casa. E ora, il problema è rappresentato dai dazi.

«Una mucca oggi vale 700 dollari, ma in passato abbioamo toccato i 1300» spiega Ty. «Siamo alla mercé del mercato» aggiunge, perché «siamo la prima parte di una lunga filiera, ma siamo gli unici venditori che non controllano i prezzi». Da quando la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina è entrata nel vivo, la situazione non è migliorata. Secondo i ricercatori dell’Università del Nevada, i dazi hanno portato a un inasprimento dei costi delle esportazioni non indifferente.

Nel 2017 le tariffe sulla carne americana acquistata dalla Cina erano aumentate di poco più del 15%. Lo scorso anno, ha evidenziato World Trade Organization, quella percentuale è salita tra il 37% e il 50%. «Le nuove tecnologie ci stanno aiutando a usare con più parsimonia sia l’acqua che la vegetazione per nutrire in moda sano e equilibrato gli animali» , spiega ancora Ty.

I costi interni della carne, al momento, stanno tenendo. Ma è come una roulette che i Fallini non possono controllare. «Il mio giudizio su Trump però è positivo, devono solo togliergli quel cellulare dalle mani e disinstallargli Twitter» dice sorridendo Ty. Quest’area del Nevada, che va dalla Reveille Valley alla Railroad Valley, è storicamente rossa-repubblicana. Ma anche allergica al controllo federale.

«Trump ha avuto il merito di tagliare una serie di regolamentazioni burocratiche inutili, che ostacolavano il nostro lavoro senza aiutare l’ambiente» spiega Anna mentre prepara nachos e tortillas messicane per tutti. La sua famiglia è politicamente variegata. Ty è registrato al voto come repubblicano. Lei come indipendente. Le figliastre Dusti e Sage oscillano tra centrosinistra e centrodestra. Il piccolo Giovanni sogna l’Europa. «Trump non mi piace come persona e non comprendo certe logiche sull’immigrazione, ma per noi ranchers ha fatto ciò che aveva promesso avrebbe fatto» , continua Anna.

Che ora, alla guida del ranch, deve tirare le somme di quanto fatto durante la stagione primaverile, quando vengono effettuate le attività di gathering e branding. Prima i cowboys e le cowgirls chiudono in cerchio i vitelli, le mucche e i tori e li accompagnano in un recinto. Poi individuano gli animali da marchiare e vaccinare, li inseguono con la corda e li costringono a terra con l’aiuto di due o quattro persone, come in un film. Una danza in cui viene coinvolta tutta la famiglia, che dura poco più di un mese, dalle 8 alle 10 ore al giorno ogni giorno. E che getta le basi dell’inverno che verrà: quante mucche sono mature per essere vendute, quante da seguire per la marchiatura dell’anno prossimo. «Da ottobre il ranch si svuota sempre un po’, io e Ty ci prepariamo al freddo» dice Anna, con la testa sempre rivolta al domani.

Secondo i numeri del Dipartimento dell’Agricoltura USA, raccolti nel censimento 2017, ci sono oggi 2,04 milioni di farms e ranch in America. Il 3% in meno rispetto al 2012, quando già il trend era in calo

Secondo i numeri del Dipartimento dell’Agricoltura USA, raccolti nel censimento 2017, ci sono oggi 2,04 milioni di farms e ranch in America. Il 3% in meno rispetto al 2012, quando già il trend era in calo. Le nuove generazioni, infatti, non sono più attratte dal lavoro come lo erano state quelle precedenti. L’amore verso la natura e gli animali c’è, ma per farne un’occupazione serve dedizione. «Sei coinvolto tutte le settimane dell’anno e se non lo ami finisci per odiarlo», dice Anna. La sua figliastra Dusti Borg, che studia comunicazione a Las Vegas, vuole lavorare come storica dell’arte e gallerista e sogna l’Italia. Sage Borg, invece, sta frequentando l’università per diventare insegnante a Las Vegas.

Entrambe non si vedono vicine ai campi. Ci teniamo ad esserci per la stagione di branding, ma non credo possa essere il mio futuro a tempo pieno come fanno Anna e papà, dice Sage. Sulla stessa onda del piccolo Gio, che vuole studiare all’estero. «Per me, l’importante è che siano felici di fare ciò che fanno: nei prossimi anni, io e Ty ci siamo”, spiega Anna. Con uno sguardo all’innovazione: «Siamo sempre attenti a sperimentare ciò che il futuro ci offre per migliorare la qualità della vita, nostra, degli animali e della vegetazione». E senza mai dimenticare la tradizione. In particolare, la figura di Giovanni, che per Anna ha sempre rappresentato coraggio, carattere e persistenza. «È motivo di ispirazione ogni giorno», dice guardandosi attorno nel ranch. «Dobbiamo a lui quello abbiamo».

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