«Nella mia scuola ci sono 39 docenti di sostegno, di ruolo sono sei o sette. La maggior parte non ha il titolo di per farlo». «Ci sono laureati in Storia che vanno a insegnare alle elementari senza essere abilitati». «In una scuola elementare hanno assunto una docente che non ha completato la laurea in Scienze della formazione, e che è stata inserita in classe a insegnare inglese, perché nel suo curriculum aveva la certificazione linguistica B2». Parlare di scuola, e soprattutto di precariato scolastico, in Italia, significa aprire un vero e proprio vaso di Pandora. Un problema endemico senza capo né coda, un buco nero che dovrebbe essere sottoposto all’attenzione degli astrofisici, più che dei comuni mortali. «Tutti i governi hanno messo mano alla scuola, ma nessuno ha mai inciso davvero. Si tratta sempre di mettere una pezza all’ingiustizia di sfruttare qualcuno senza poi assumerlo»: a dirlo sono gli stessi sindacati del comparto, quelli che la scuola la vivono ogni giorno. Gli stessi che, di casi come quelli appena citati, possono riportarne a centinaia.
Due giorni fa è stato predisposto l’ennesimo tentativo di risolvere il problema, attraverso il cosiddetto “Salvaprecari bis” che reca la firma del Miur e di FLCGIL, CISL, UIL, SNALS e GIlDA. L’accordo deriva dal Salvaprecari I, elaborato dal precedente esecutivo Conte I, approvato ad aprile (ma poi mai attuato per via della crisi di governo di quest’estate) e ora modificato. «Siamo riusciti a raggiungere un’intesa che aiuta la scuola e dà un colpo forte al dilagare del precariato e alla fine garantirà, tra concorso ordinario e straordinario, oltre 50mila insegnanti in cattedra a partire dal 1 settembre», ha dichiarato soddisfatto il neo ministro all’Istruzione Lorenzo Fioramonti.
L’accordo è complesso, ma in generale prevede l’istituzione di un nuovo concorso straordinario per le medie superiori riservato a chi ha tre anni di servizio (su otto) nella scuola statale, che dovrebbe immettere in ruolo circa 24mila insegnanti per l’inizio del prossimo anno scolastico, e l’ingresso nelle graduatorie di seconda fascia (quelle che precedono l’entrata in ruolo) per chi prenderà almeno 7/10 alla prova scritta. I 24mila vincitori saranno soggetti ad un periodo di prova di un anno, dovranno acquisire i crediti formativi sulla didattica ed essere confermati alla fine dell’anno da una commissione. Gli abilitati alle graduatorie, invece, faranno un anno di formazione per l’acquisizione dei crediti e nel 2020 parteciperanno ad una prova ad hoc per entrare nelle liste. Per sciogliere i blocchi all’interno delle graduatorie dei vincitori dei concorsi del 2016 e 2018, poi, ai precari sarà concesso di spostarsi volontariamente in un’altra provincia, mentre per i Dsga (gli assistenti amministrativi) che oggi svolgono il ruolo di dirigenti è stato istituito un concorso specifico cui è consentito l’accesso anche a chi è sprovvisto di titolo. Ai diplomati magistrali che non avevano fatto il concorso straordinario senza selezione, infine, sarà concesso di restare in cattedra fino alla fine dell’anno scolastico.
Quest’anno è partito l’anno scolastico peggiore di sempre, con cifre record di docenti precari, buchi in organico pesantissimi e un’altra ondata di supplenti che si trovano senza posto di ruolo
I sindacati firmatari si sono dichiarati soddisfatti, anche se il decreto sarebbe lontano dal risolvere il problema del precariato scolastico alla radice. «È ciò che si poteva ottenere, viste le condizioni di partenza», dichiara a Linkiesta Calogero Buscarino, coordinatore della Gilda di Milano. Intanto, quest’anno è partito l’anno scolastico peggiore di sempre, con cifre record di docenti precari, buchi in organico pesantissimi e un’altra ondata di supplenti che si trovano senza posto di ruolo, pur avendo registrato pensionamenti superiori alla media per via di Quota 100.
Va detto che il ministro Fioramonti ha ereditato una situazione già di per sé complessa: «Quando il Conte bis si è insediato, si è ritrovato con due concorsi ordinari svolti negli ultimi 7 anni, due concorsi straordinari negli ultimi 2 anni, per il 50% dei posti, e per l’altro 50% un canale bloccato per il personale abilitato», spiega a Linkiesta Marcello Pacifico, presidente dell’Anief (sulle specifiche del reclutamento e dei posti c’è qui un altro articolo de Linkiesta). «Per effetto del blocco del canale del reclutamento ad esaurimento, negli ultimi quattro anni su 180mila autorizzazioni di immissioni in ruolo, ne sono state effettuate solo 90mila. Dal momento che questi posti di anno in anno non sono stati assegnati, sono aumentati i posti che vengono dati in supplenza».
Ora, la misura varata da Fioramonti punta ad offrire nuovi concorsi e quindi possibilità di essere assunti. Si tratta però di «una goccia nel deserto», dice Pacifico, di soli 24mila posti, su un numero di precari che va dai 100 ai 200mila (a detta degli stessi sindacati, le cifre precise sono difficili da stabilire), in più senza la certezza di poter restare. Piuttosto che niente meglio il piuttosto, dirà qualcuno, eppure la ratio del provvedimento non è chiara: più che dalla scuola secondaria, per la quale è stato previsto il concorso, infatti, il problema nasce dalla scuola primaria, oggi in crisi per mancanza di insegnanti molto più degli altri gradi di istruzione. Perché non prevedere un concorso anche per quei docenti, quindi?
Gli stessi sindacati si trovano spesso in disaccordo sulle soluzioni, ma il fatto vero è che, anche a voler perfezionare e ottimizzare i processi, finché si ragiona con risorse che sono troppo scarse rispetto ai bisogni, la coperta sarà sempre tremendamente corta
Secondo il presidente dell’Anief, gli aspetti problematici dell’accordo sarebbero diversi, dalle stabilizzazioni dei lavoratori delle cooperative come ATA (il personale amministrativo, tecnico e ausiliario delle scuole), che andrebbero a discapito di quelle del settore pubblico, al mancato riconoscimento di un indennizzo agli insegnanti che finiscono effettivamente per spostarsi da una regione all’altra per lavorare («Se io vinco in Sicilia e non ci sono posti, e vengo assunto in Veneto, dove ho fatto domanda volontaria, la colpa non è mia. Bisogna trovare il modo di risarcire questi insegnanti», dice Pacifico). L’Anief, che non è stata convocata al tavolo delle trattative insieme agli altri sindacati, pur essendo stata riconosciuta come rappresentativa della categoria da oltre un anno, si prepara dunque a scendere in piazza, se il testo dell’accordo, nel momento in cui diventerà decreto, non subirà le correzioni che necessita.
Ma la questione vera è a monte, perché il grosso dei problemi attuali della scuola fa capo all’ancestrale domanda su chi possa essere considerato un insegnante e chi no, e chi abbia più diritto degli altri per titoli o esperienza. Perché sull’insegnamento, a differenza di altre professioni, non c’è un iter definito. «Tutti hanno tentato, chi dicendo il tirocinio per 3 anni, chi istituendo un percorso a livello universitario, ma sono tentativi tutti falliti», spiega Lucia Sacco, sindacalista della Gilda. Non stupisce quindi che il dibattito abbia portato, nel tempo, a questo turbinio di punteggi e graduatorie, di concorsi e di criteri di volta in volta variabili, in una politica schizofrenica il cui unico risultato è stato quello di aumentare il numero di precari, invece che ridurlo. Dal 2011 ad oggi sarebbero addirittura raddoppiati.
Secondo Pacifico, l’unico modo per risolvere la questione delle cattedre vuote sarebbe di ripartire dalle graduatorie di istituto, estendendole su base provinciale, in modo da avere accesso ad un pool maggiore di candidati: «i precari sappiamo chi sono, abbiamo le liste con nomi e cognomi». Per la Gilda, invece, «i concorsi andrebbero banditi ogni due anni». Gli stessi sindacati si trovano spesso in disaccordo sulle soluzioni, ma il fatto vero è che, anche a voler perfezionare e ottimizzare i processi, finché si ragiona con risorse che sono troppo scarse rispetto ai bisogni, la coperta sarà sempre tremendamente corta. Con il decreto inserito nella legge di bilancio si vedrà quanti soldi si riusciranno a recuperare. «Le aspettative sono sempre molto alte sui nuovi ministri, ma di solito poi cadono nel concreto», ammettono dalla Gilda. E non si tratta nemmeno di recuperare liquidità tramite ipotetiche tasse sulle merendine. «Una soluzione vera sarebbe quella di abolire il “progettificio”: tanti fondi, tipo bonus premiale, sono spalmati su un numero di docenti in ogni scuola, a discrezione del dirigente scolastico, sulla base di un punteggio basato sui progetti che si fanno». Eliminarli significherebbe quindi togliere di mezzo misure che danno adito a favoritismi inutili. Rimane da vedere quanto spazio per ragionare con il ministro ci sarà nei prossimi mesi. Ma intanto, avvertono i sindacati, per ragionare davvero sulla scuola, utilissimo sarebbe mettere subito da parte le polemiche inutili. A partire da quelle sui crocifissi, che altro non sono se non «un pretesto per non discutere delle cose importanti».