Qualcuno ricorderà il recente episodio della mamma di Sassari che ha deciso di tenere la figlia disabile a casa, non essendoci a scuola un insegnante di sostegno che la potesse seguire, al rientro a settembre. «Non posso lasciare che resti abbandonata in un banco mentre gli altri fanno lezione», aveva scritto sui social. Forse anche per via dell’eco mediatica, il dirigente scolastico l’aveva invitata a riportare la ragazza a scuola, con la promessa che ci sarebbe stato un insegnante per lei. «Mi dicono queste cose dall’inizio dell’anno scolastico, e in un mese nulla è cambiato. Lo ripeto, riporterò mia figlia a scuola solo se e quando saranno garantiti i suoi diritti. E avere l’insegnante di sostegno è un suo diritto», aveva detto. Questa settimana Federica è andata a scuola, pur avendo l’insegnante di sostegno solo per tre ore al giorno. Un lieto fine a metà, il suo, ma soprattutto una storia che parla per tutti i ragazzi che si ritrovano senza docente e senza gli elementi di base per poter frequentare la scuola come tutti gli altri.
La questione del sostegno, infatti, è ancora oggi una delle piaghe più profonde nel mondo della scuola, un problema che va a braccetto col precariato, e a cui si sommano tutta un’altra serie di crisi, dalle abilitazioni ai problemi infrastrutturali, che non consentono ai ragazzi, e a chi insegna loro, di vivere con dignità il proprio ruolo all’interno dell’istituzione scolastica. Basti dire che, secondo gli ultimi dati Istat, appena il 32% delle scuole è attrezzata (con passerelle, ascensori eccetera) per consentire agli studenti di muoversi tra le aule, i quali spesso finiscono per ritrovarsi a dover essere sollevati di peso dagli educatori. Sempre che ci siano, gli educatori, certo. Malgrado gli studenti affetti da disabilità a scuola siano praticamente raddoppiati in vent’anni, toccando quota 300mila, l’organico di diritto è rimasto fermo a 100mila unità circa, e contestualmente è lievitato il numero di posti in organico di fatto, passati in soli quattro anni, tra il 2014 e il 2018, da 28 a 65mila unità. Fra loro tanti, troppi i supplenti: se il precariato a scuola caratterizza statisticamente il 20% dell’organico complessivo, sul sostegno si arriva a toccare quote del 40%, un unicum già di per sé negativo, ma doppiamente discriminatorio, considerando che a maggior ragione sarebbero loro ad avere diritto a tutele.
«Il problema principale del sostegno risiede nel fatto che non vengono organizzati sufficienti Tfa, ovvero i corsi abilitanti, e che il numero di posti è scarsissimo rispetto alla richiesta»
Ma perché si è arrivati a questa situazione? Linkiesta ne ha parlato con Daniela Fuochi del sindacato Snals, la quale spiega che «il problema principale del sostegno risiede nel fatto che non vengono organizzati sufficienti Tfa, ovvero i corsi abilitanti, e che il numero di posti è scarsissimo rispetto alla richiesta». Per diventare insegnante di sostegno, a seconda del grado di scolarità, occorre possedere, per la primaria, o una laurea in Scienze della formazione primaria, o un diploma magistrale conseguito entro il 2001/2002. Per le scuole medie e superiori, invece, serve una laurea magistrale idonea all’accesso ad una classe di concorso, con l’aggiunta di 24 crediti formativi in materie socio-psico-pedagogiche, oppure un’abilitazione all’insegnamento. Per specializzarsi sul sostegno, poi, c’è bisogno di iscriversi a corsi universitari specifici (Tfa), che poi danno accesso ad un anno di tirocinio (da supplenti), al termine del quale si viene assunti di ruolo.
Il problema, secondo quanto riportato da Fuochi, è proprio qui: non si riesce a star dietro ai numeri. «Noi abbiamo chiesto più volte di aumentare le disponibilità per il Tfa, le persone ci sarebbero, ma il ministero concede pochi numeri e la selezione è fatta in malo modo. E dire che quelli che si sono iscritti hanno pagato 100-200 euro solo per partecipare alla selezione, con il corso in università che costa tra i tra i 2500 e i 3000 euro».
Di persone disponibili e di richieste dalle scuole, quindi, ce ne sarebbero in abbondanza. Ma per ragioni di economia, lo Stato non mette in buono le persone e non organizza i corsi, continuando ad aggiungere di anno in anno nuove persone tra le schiere dei precari. E intanto le scuole, non avendo disponibilità di docenti, si ritrovano a dover ricorrere a coloro che provengono dalle cosiddette “Mad”, le messe a disposizione delle scuole, di neolaureati o laureandi, i quali spesso non hanno nemmeno la qualifica del docente di scuola primaria, e quindi tantomeno la specializzazione sul sostegno.
«Come mamma capisco le famiglie, vorrei che la scuola tutelasse mio figlio. Ma so anche che cosa succede a scuola e cosa significa doversi arrampicare sui vetri perché non si trovano le persone»
Non stupisce quindi che si arrivi a situazioni in cui sono le stesse scuole a dire alle famiglie di tenere i figli a casa. «Come mamma capisco le famiglie, vorrei che la scuola tutelasse mio figlio. Ma so anche che cosa succede a scuola e cosa significa doversi arrampicare sui vetri perché non si trovano le persone», dice la sindacalista. «Ogni situazione è a sé stante, ci sono anche normali docenti di materia che si accollano il pensiero di tutelare i ragazzini, ma il problema è grosso, e il ministero non lo sta valutando».
Il recente accordo sui precari firmato tra il ministero e i sindacati (Linkiesta ne ha scritto qui), tra cui lo Snals, è infatti generico e non prevede accordi specifici per risolvere il problema del sostegno. «Sono state aperte 24mila posizioni, ma devono esserci i docenti specializzati, altrimenti chi ci metto? Sono state date nomine anche a ragazzi diplomati, fuori da ogni logica», spiega Fuochi. «Ci sono persone che non sono in grado di seguire i ragazzi con le loro problematiche. Ma allora che senso ha assegnare il docente di sostegno?».
Il ministro Fioramonti, qualche giorno fa in un post su Facebook, ha detto chiaramente che su edilizia scolastica e sostegno «non si può più aspettare». Intanto, è stato riavviato l’Osservatorio sull’inclusione scolastica, che riunisce insieme al Miur le associazioni della categoria. Manco a dirlo, però, sono le stesse associazioni a dividersi sul tema e sulle soluzioni.
L’unica, secondo Fuochi, sarebbe proprio ripartire dalle selezioni dando ai docenti la possibilità di fare i corsi di abilitazione annualmente. «Se il ministro farà quello che dice, saremo contenti. Ma un accordo non significa che verrà fatto, perché poi devi trovare i soldi. Ora siamo vicino alla finanziaria, bisogna vedere se ci saranno le coperture. Ma intanto i mesi passano, e i bandi che dovevano uscire nel 2018, non si sa se usciranno nemmeno nel 2020», conclude Fuochi. E i sindacati? «Noi ci battiamo per togliere i precari e cercare di assumere più persone possibili, venendo incontro ai diritti anche dei ragazzi. Ma il governo c’è? Durerà?».