Ora che leggerete questo pezzo, Con Altura, che significa “con gran classe”, videoclip di uno dei successi di Rosalía, avrà sballato il miliardo di visualizzazioni, entrando in un club ristretto nel quale regnano una dozzina di artisti quasi tutti latinoamericani, perché è il Sudamerica la terra dove la videomusica raggiunge i picchi di circolazione. È solo una delle molte consacrazioni che d’improvviso hanno investito la produzione di questa 26enne artista catalana, con due album all’attivo – Los Angeles, di un paio d’anni fa e El Mal Querer (il cattivo amore), anche noto come EMQ, disco di platino negli Stati Uniti, cinque nomination e due Latin Grammys, con relative proposte di collaborazioni subito recapitate da star come Pharrell Williams e James Blake, mentre di lei già si parla come della Beyoncé ispanica. Definizione questa meno occasionale di quel che sembra, se si prova a capire chi sia Rosalía e se si ascolta la sua musica.
Lei arriva da Sant Esteve Sesrovires, non lontano da Barcellona, un angolo di Spagna estraneo alle tradizioni e deflagrato grazie alle catene di montaggio della Seat e all’indotto automobilistico: terra di camion e camionisti, gli stessi che spadroneggiano nel suo nuovo, lodatissimo video di Pienso en Tu Mirá, diretto da Nicolás Méndez, ambientato in un lunare parcheggio di autoarticolati, dove echi del passato e rumori del presente si mescolano, ridisegnando un’inconsueta identità iberica. Eppure, in un posto così Rosalía, ancora ragazzina, rimane stregata dal suono che arriva da radici ormai quasi invisibili: il flamenco, forma d’arte complessa e gravida di esoterismi, dominata dalla tensione di trasmettere il duende, quell’emozione pura, che sfiora il misticismo. Le chitarre della Catalogna sono uno dei fattori fondanti di questa musica, insieme a reminiscenze che mescolano influenze arabe e gitane, e costituiscono un continuum culturale da cui gli spagnoli non sanno distaccarsi, generazione dopo generazione. E anche Rosalía si costruisce una credibile identità da cantaora flamenca, tentando poi di conciliare lo sforzo con le opportunità del contemporaneo: dunque un talent show televisivo, Tú Sí Que Vales, di cui Mediaset produsse anche una versione italiana.
Rosalía ci prova, passa qualche selezione ma poi finisce miseramente eliminata e qui comprende che per realizzare i suoi sogni doveva dare un impulso nuovo alla sua vocazione. Trovare le collaborazioni giuste – ed ecco che la sua parabola riecheggia quella di Beyoncé. Prima s’imbatte in Miguel “El Chiqui” Vizcaya, musicista e insegnante di flamenco, artista sapiente ed esperto che la prende sotto l’ala e le insegna come nobilitare la sua espressione vocale. Poi Raul Refree, pianista classico innamorato del flamenco, che la guida nella scelta del repertorio per dar vita al primo tentativo discografico, Los Ángeles, assortito con brani di flamenco degli anni Quaranta-Cinquanta, reinterpretati da Rosalía con voce limpida, morbida, passionale. L’album non passa inosservato: la bellezza non comune di Rosalía, unita a questo repertorio senza compromessi capace di riacquistare modernità, accende i riflettori su questa artista inconsueta.
Il flamenco resta il fil rouge della sua musicalità, nei vocalizzi, nell’utilizzo delle palmas, il battito delle mani che caratterizza questo suono, nelle venature di “claò”, il dialetto gitano nei testi, nell’accento volutamente andaluso e nello stile provocatoriamente “street” dei suoi video.
Ma è qui che lei escogita il passaggio decisivo della sua carriera, quello che la trasforma in pochi mesi in una latin star: per il secondo lavoro discografico, El Mal Querer, Rosalía parte dalla sua tesi di laurea su un romanzo spagnolo del XIII secolo, che parla di una sposa tenuta prigioniera in una torre da un marito geloso. «Tremo al pensiero che cammini in strada / e che tutti vedano le fossette sul tuo viso», gorgheggia in Pienso En Tu Mirá. Questa volta però Rosalìa organizza differentemente la produzione del lavoro, mentre sigla un contratto con la Sony Spagna. Il flamenco resta il fil rouge della sua musicalità, nei vocalizzi, nell’utilizzo delle palmas, il battito delle mani che caratterizza questo suono, nelle venature di “claò”, il dialetto gitano nei testi, nell’accento volutamente andaluso e nello stile provocatoriamente “street” dei suoi video. Ma poi pesca a piene mani nel repertorio hip hop, facendosi aiutare dall’ex fidanzato, il rapper madrileno Tangana, e soprattutto imboccando senza timori la popolarissima via del reggaeton e delle sue contagiose sincopi ritmiche, affidandosi per la produzione allo specialista Pablo “El Guincho” Díaz-Reixa. Il risultato è esplosivo, sia dal punto di vista commerciale che qualitativo.
Se i puristi del flamenco gridano al tradimento, un raffinato critico di Pitchfork parla di un lavoro che «si staglia al di sopra di qualsiasi altra cosa nel panorama del pop globale». In un batter d’occhio arrivano successo, premi, numeri da capogiro e tour trionfali, come spetta a una nuova diva planetaria, quale Rosalía si rivela. Con un deciso péndant femminista, tanto per sovvertire l’ordine costituito della musica latina: entourage tutto fatto di ragazze, sul palco una crew di ballerine in platform sneakers, piume calzettoni bianchi e lei che appena appare in micro-shorts, ostenta il tatuaggio che s’è fatta emulando l’artista proto-femminista Valie Export, che effigia ironicamente un reggicalze. La consacrazione finale per Rosalía è arrivata niente meno che dal nume perenne della cultura spagnola trasgressiva, Pedro Almodóvar, che l’ha voluta nel cast del suo ultimo bellissimo film Amore e Gloria. A fianco di Penelope Cruz, Rosalía è una delle conturbanti lavandaie che svezzano il Pedro-bambino. Una volta raccolta la cesta dei panni puliti, Rosalia prende la strada di casa, intonando A tu vera, la canzone che lanciò Lola Flores, che in altri anni abitò nella fantasia degli spagnoli, come adesso sta cominciando a fare questa conturbante fanciulla cresciuta tra camion e cantes flamencos.