Un’immagine come questa, tratta da un messaggio pubblicitario del 1948, per anni ha incarnato i valori della vita nei sobborghi delle città americane. L’auto che entra nel vialetto di una casa spaziosa, ricca di elettrodomestici, dove la moglie casalinga aspetta il marito che lavora come dipendente per una grande corporation come potrebbe essere la General Electric o la Ford Motors, in compagnia di un paio di figli, al riparo dalle grandi città, rumorose ed inquinate. Un archetipo che troviamo perfettamente incarnato in questo filmato.
Quest’immagine oleografica poi poteva nascondere conflitti laceranti, come raccontato nel film Lontano dal Paradiso di Todd Haynes. Ma c’erano delle ragioni ben precise per la nascita di queste aree, risalenti agli anni posteriori alla Seconda Guerra Mondiale. Nel periodo successivo alla Grande Depressione, la produzione di nuove abitazioni crollò del 90%. E questo ebbe conseguenze molto acute nel determinare chi poteva possedere un’abitazione: secondo i dati del Censimento del 1940, solo il 43,6% degli americani ne aveva almeno una.
Con l’intervento americano nella Seconda Guerra Mondiale avviene un’ulteriore battuta d’arresto: il neoistituito War Production Board il 9 aprile 1942 decide con l’ordine L-41 di bloccare tutte le costruzioni «non strettamente legate allo sforzo bellico». Risultato: all’indomani della fine del conflitto, un report della Camera dei Rappresentanti redatto nel febbraio 1946 descrive la carenza di abitazioni come una «tragedia nazionale». Il governo federale già si era preparato ad affrontare il ritorno dei veterani. Il 16 novembre 1942 il presidente Franklin Delano Roosevelt in un discorso tenuto a Chicago dichiarò che «Una nazione di proprietari di case, dove ognuno ha il suo pezzo di terra, è invincibile».
Tra questi benefit, oltre a delle agevolazioni riguardanti lo studio, c’era l’opzione di ottenere mutui a tasso zero per l’acquisto di case. Non solo: c’erano ulteriori vantaggi per le case di nuova costruzione.
Ma il programma che avrebbe avviato la ripresa dell’espansione abitativa fu il G.I. Bill del 22 giugno, sponsorizzato dall’ala conservatrice dei democratici e dall’American Legion, per fornire una serie di benefit ai veterani e accettato malvolentieri da Roosevelt, che avrebbe preferito proseguire con programmi modellati su quelli già attuati durante il New Deal. Tra questi benefit, oltre a delle agevolazioni riguardanti lo studio, c’era l’opzione di ottenere mutui a tasso zero per l’acquisto di case. Non solo: c’erano ulteriori vantaggi per le case di nuova costruzione.
Per molti fu l’occasione della vita: potersi finalmente spostare dalle rumorose città, sempre più affollate, inquinate e popolate da minoranze etniche ritenute pericolose, per avere un piccolo pezzo di terreno per sè, quasi a voler riscoprire un’utopia jeffersoniana-pastorale. Ovviamente questo aveva un evidente risvolto negativo dal punto di vista dell’integrazione razziale, anche al di fuori del Profondo Sud. Chi andava a vivere in un sobborgo lo faceva per non essere vicino di casa di famiglie afroamericane. Era in parte anche quella, la promessa. Di diventare borghesi, anzi, di poter essere dei piccoli piantatori, con gli elettrodomestici al posto degli schiavi. Un’immagine esplicativa di questo mood potrebbe essere questa:
Ma quando nel 1957 Bill and Daisy Myers, due professionisti neri, comprano casa dal precedente inquilino Bill Wechsler, devono affrontare una serie di attacchi e di violenze razziali
Ma qual era il risvolto pratico di questa evoluzione? Prendiamo la costruzione di Levittown, in Pennsylvania, un sobborgo di Philadelphia ideato nel 1951 dal costruttore William J. Levitt, ideatore di un procedimento che poteva realizzare una nuova abitazione in 26 step e 16 minuti totali. Dal 1952 al 1958, vennero costruite 17.311 abitazioni di quattro tipologie diverse per andare incontro alle diverse possibilità economiche. All’interno del quartiere poi vennero costruite piscine, chiese, campi da gioco e quello che per l’epoca era un gigantesco centro commerciale, lo Shop-A-Rama, il più moderno costruito fuori dalla California. Levitt aveva una sua curiosa visione sociologica che però includeva un punto fermo: non si vende ad afroamericani.
Ma quando nel 1957 Bill and Daisy Myers, due professionisti neri, comprano casa dal precedente inquilino Bill Wechsler, devono affrontare una serie di attacchi e di violenze razziali, tanto che la perseveranza di Daisy nel voler rimanere nel quartiere l’ha portata ad essere definita come la «Rosa Parks del Nord». Altre volte non furono sobborghi, ma intere città ad essere costruite ex novo, come nel caso di Rohnert Park, in California, inaugurata nel 1962. Ma anche la San Fernando Valley, una zona coltivata ad agrumi nelle vicinanze di Los Angeles, divenuta poi il simbolo di un’espansione urbanistica incontrollata.
Tutte queste aree del paese divennero, per usare un’espressione della storica Lisa McGirr, le aree dove sarebbe proliferati i «suburban warriors», professionisti affermati preoccupati dal cambio dei costumi, dall’avanzata del comunismo e dalla crescita dello stato sociale. Questi non volevano affatto che una di queste minacce togliesse loro il benessere consolidato, che doveva restare un rifugio dalla promiscuità e dalla sporcizia dei centri urbani.
E infatti questi furono i centri che spinsero al potere Richard Nixon e a cui, in un certo senso, faceva riferimento nel suo discorso del 3 novembre 1969 dedicato alla «maggioranza silenziosa». Ma anche allora questi centri non erano statici. Fu in queste aree che per la prima volta gli italoamericani divennero membri a pieno titolo della comunità statunitense. E negli ultimi anni questo trend si è accentuato.
Prendiamo il settimo distretto congressuale della California, che comprende le comunità attorno a Sacramento. Senza andare troppo indietro, a Folsom è dove risiede Andy Pugno, un avvocato fondatore dell’organizzazione conservatrice Protectmarriage.com, che nel 2008 riuscì a ribaltare temporaneamente per via referendaria la delibera che consentiva il matrimonio gay nello Stato. Nel 2012 questo distretto vede sfidare il deputato repubblicano di lungo corso Dan Lungren, sfidato dal medico Ami Bera, di origine indiana. Di misura, dopo giorni di riconteggi, Bera prevalse.
Chi scrive si trovava per motivi giornalistici a risiedere in un ricco sobborgo chiamato Fair Oaks e notò come, nonostante la netta prevalenza di cartelli elettorali a sostegno dei candidati repubblicani (compreso il ticket presidenziale Romney-Ryan), il pragmatico dottor Bera fosse riuscito a sconfiggere Lungren. Questo singolo episodio rimasto nella mia memoria era prodromico di un trend che sarebbe esploso nel 2018 a livello nazionale e che nel 2020 potrebbe persino far barcollare lo stato più conservatore d’America, il Texas.
(Tratto dalla newsletter Jefferson-Lettere sull’America. Per iscrivervi cliccate qui)