Linkiesta FestivalI figli del debito. Ecco come i nostri padri ci hanno rubato il futuro

Dialogo tra Francesco Vecchi, giornalista e autore de “I figli del debito. Come i nostri padri ci hanno rubato il futuro” e Lia Quartapelle, capogruppo Pd nella Commissione Esteri

«Se avete lavorato o vissuto soprattutto dopo il 1992, siete figli del debito». Quello del 1992, anno di Tangentopoli ma anche del Trattato di Maastricht, è il primo punto di riferimento temporale che il giornalista Francesco Vecchi dà nel corso de Linkiesta Festival per tracciare il suo ritratto de I figli del debito (Edizioni Piemme). «I figli del debito sono le ultime generazioni arrivate in Italia, che si sono ritrovate con un enorme debito pubblico», spiega. «E che per di più non ne sono responsabili e non hanno goduto degli anni in cui il Paese, facendo debito, distribuiva soldi a pioggia o assunzioni di massa».

Dei “figli del debito” Vecchi ha dialogato con Lia Quartapelle, capogruppo Pd nella Commissione Esteri della Camera. «All’Italia era stato permesso negli anni precedenti alla caduta del muro di Berlino di essere di manica larga nella gestione della spesa pubblica, perché faceva parte di una certa parte di mondo. Quando è caduto il muro, quella spesa là te la dovevi pagare da solo. Ad oggi abbiamo una credibilità sulla nostra capacità di ripagare il debito che è più bassa della Grecia. Ma non c’è nessuno che chiede una responsabilità politica nella gestione del debito, quando lo spazio fiscale si va via via riducendo sempre di più».

Ma la questione del debito è una questione generazionale o nazionale?

Ma la questione del debito è una questione generazionale o nazionale? Secondo Vecchi, «è una questione generazionale: sui giovani e quelli che stavano fuori dal mercato del lavoro, senza storia pensionistica, è finita la pressione di tutto il Paese. Si sono aperti rubinetti sulla spesa corrente e si sono chiusi sugli investimenti». Prendiamo quota cento: «Con i soldi spesi si potevano dare a ogni nuovo nato 15mila euro», dice Vecchi. «Dobbiamo immaginarci meccanismi che favoriscano la minoranza dei giovani a scapito della maggioranza dei vecchi. Il problema è che oggi il politico che dice “Domani vi raddoppio la pensione“ stravince».

Secondo Quartapelle, si tratta invece di «una questione nazionale più che generazionale. Ed è qui che dobbiamo lavorare: se contrapponi le generazioni, aumenti la divisione e non ti serve a rispondere a quella sensazione di declino e solitudine in cui tutti viviamo. Serve un progetto che parli di futuro dell’Italia: un progetto che interessa a tutti». Noi abbiamo avuto tante cose, ha spiegato la deputata. «Pace, istruzione, sanità. Quello che possiamo mettere in discussione è la qualità di quello che abbiamo ricevuto, in particolare riguardo all’istruzione e alla distribuzione dei servizi nelle diverse aree del Paese. La domanda è: siamo in grado di costruire un progetto nazionale in cui chiediamo agli italiani un impegno per abbattere il debito? Il fatto di avere il debito ha deresponsabilizzato tutti dal fare delle cose sostanziali. Nel momento in cui i problemi sembrano enormi, bisogna recuperare questo spirito di missione».

La domanda è: siamo in grado di costruire un progetto nazionale in cui chiediamo agli italiani un impegno per abbattere il debito?

Francesco Vecchi nel suo libro fa una proposta provocatoria: mettere in comune il debito con gli altri Paesi europei. «Poiché nell’Ue abbiamo firmato trattati in cui si prevede un tetto massimo del 60% di debito sul Pil, l’idea è che quel 60% consentito a tutti possa essere finanziato dalla Bce. Il resto è da procacciare sul mercato. Solo mettendo in comune il debito, si può fare l’Europa, come accade negli Usa». Ma perché i tedeschi si dovrebbero caricare dei mancati sforzi dell’Italia? «Il problema italiano è un problema di credibilità, di mancate riforme e ritardi. Noi paghiamo troppo di interessi suld ebito. Noi dobbiamo agire su quello: dobbiamo dare un segnale della volontà di ridurre il debito. Ci sono stati Paesi che sono riusciti a fare misure sia di controllo della spesa sia di rilancio della crescita: l’Italia non è tra questi. Ora con un governo di riconciliazione nazionale, con Pd e 5S, si possono provare a fare delle cose».